Sei ciclofattorini di Foodora a Torino hanno imbastito una vertenza con la multinazionale tedesca r vedersi riconosciuto l’inquadramento nel contratto della logistica. Loro portano pizze e cibo a domicilio e la loro controparte è una App.
Una sentenza della magistratura civile torinese ha dato ragione a Foodora, la multinazionale tedesca, contro i sei lavoratori ciclisti che chiedevano più salario, maggiori garanzie e finalmente di essere assunti. Tre giornali, liberali in politica e non dei minori – Corriere, Repubblica, Stampa – hanno commentato la vicenda con un atteggiamento in sostanza favorevole ai ciclisti, anche se con argomenti di diversa qualità e spessore. Come mai giornali solitamente severi con i lavoratori, tanto più con lavoratori disorganizzati, hanno creduto loro dovere informare o addirittura prendere posizione? Tra tanti i misteri di queste settimane, un piccolo mistero in più non sconvolgerà le nostre vite; forse ne sapremo di più, il mistero sarà svelato se seguiremo, per quanto possibile, il primo congresso-meeting sindacale dei lavoratori del settore, a Bologna, nel week end.
Uno dei lavoratori sconfitti dal magistrato e da Foodora è Fausto Coppi. Fausto è un nome coperto suggerito da Loris Campetti nel suo libro “Ma come fanno gli operai”, editore Manni, nel capitolo “Metti una sera a cena, con Foodora” dedicato ai ragazzi della gig-economy, nome corrente di “quelli dei lavoretti”. Fausto si spiega così con Loris: “Pensa che siamo arrivati al punto di sognare un inquadramento sulla base di quella schifezza che è il jobs act, dato che almeno riconosce il lavoro subordinato e garantisce qualche minima tutela (…) stiamo pensando di fare una causa…” Ecco, fatto.
Fausto – e Loris – raccontano d’indiani e bangla disposti a lavorare a metà prezzo, rispetto alle tariffe abituali, già irrisorie; di ragazzi di cinquant’anni con famiglia da mantenere senza prospettive di lavoro alternative, senza altre entrate e aggiungono che quelli della gig-economy, con tutti i loro problemi, sono sconosciuti alla sinistra perché la sinistra non li frequenta: la sinistra non scende mai in strada. Il sindacato triplice, per rappresentarli, cosa che in fondo gli piacerebbe fare, li vuol vedere tutti ordinati, in fila, tre per tre e ne ha trattato con un buon numero di Foodora e Deliveroo e simili facendo inserire il “fattorino ciclista” nell’ultimo contratto sulla logistica. Come poi si applichi il contratto logistico ai bangla e alla pizza, questo non è spiegato.
Non vorremmo che il contratto firmato da triplice sindacato e multinazionali del settore servisse solo a discriminare i non iscritti, poveri tra i poveri della città, i ladri di biciclette di una volta, gli schiavi della pizza di oggi, usa-e-getta a metà prezzo e in ogni occasione del giorno e della sera. Forse lo chiarirà, tra mesi, quando sarà il momento, Fausto Coppi stesso, visto che sta preparando una tesi di laurea in legge sui contratti atipici.
“Schiaffo ai fattorini licenziati/ Il tribunale dà ragione a Foodora” è il titolo di un’intera pagina di La Stampa di giovedì 12 aprile. Il sottotitolo è per quelli che vogliono saperne di più: “Niente assunzione per i giovani che consegnano cibo in bici: ricorso respinto. Legittima l’app dotata di Gps che controlla spostamenti e tempi di lavoro”. Fin qui tutto chiaro o quasi. Come anche non occorre che siano spiegate l’intestazione della pagina: “L’Italia che cambia” o l’occhiello “Battaglia sul lavoro”. Poi però c’è la foto: dietro agli avvocati, dietro ai professori, ai cultori del diritto, ecco il popolo dei ciclisti: molte ragazze, giovani uomini molto seri e composti, una barba ingrigita. Ecco i ciclisti. Questa, in tribunale, è l’Italia che cambia.