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Fermiamo la nostra corsa alle armi

Di fronte all’estendersi dei conflitti, all’aumento delle spese militari, ai rischi di catastrofe, è necessario ricostruire la nostra avversione alla guerra. L’e-book di Sbilanciamoci! e Greenpeace offre dati, ragioni e argomenti. Qui la prefazione di Carlo Rovelli all’e-book, pubblicata dal Corriere della Sera del 1° maggio.

Penso che ci troviamo su una china drammaticamente pericolosa. L’“Orologio dell’Apocalisse”, la valutazione periodica del rischio di catastrofe planetaria iniziata nel 1947 dagli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists, non ha mai indicato un livello di rischio alto come ora. Le tensioni internazionali sono cresciute bruscamente. Molti governi moltiplicano forsennatamente le spese militari. Si parla apertamente di una possibile guerra atomica. La demonizzazione reciproca si è impennata: nelle narrazioni di molti paesi, “gli altri” vengono dipinti come criminali pazzi e pericolosi, in perfetta simmetria. C’era un tempo in cui i leader mondiali, da Clinton a Gorbaciov, da Mandela ai politici che hanno fermato la guerra civile in Irlanda, pensavano in termini di “risolvere i problemi senza spargere sangue”. Oggi i politici parlano in termini di “vincere e abbattere il nemico, non importa se costa spargere sangue”. Queste sono le parole che vengono pronunciate sempre più spesso a Washington come a Tel Aviv, a Mosca come a Berlino. Un esasperato nazionalismo si diffonde in vari paesi del mondo, dall’India agli Stati Uniti, e cresce ovunque. La catastrofe climatica è già in corso, e le contromisure che stavamo ini- ziando a prendere sono già state accantonate, messe in secondo piano dall’urgenza di litigare. Il mondo scivola inesorabilmente verso un’altra delle sue periodiche catastrofi: quando gli esseri umani si massacrano l’un l’altro, pieni di ardore, convinti da ogni parte di essere nel giusto, dalla parte del vero Dio, della Democrazia, della Santa Patria, tutti convinti che gli aggressori, i cattivi, siano gli altri.

La fonte dell’instabilità recente è chiara. Il piccolo gruppo di nazioni composto da America, Canada, Europa, Australia e Giappone, minuta minoranza dell’umanità, disponeva fino a ieri di una gigantesca supremazia economica ereditata dal colonialismo, che dalla fine della guerra fredda ha permesso un controllo politico pressoché completo del pianeta. Il diffondersi della prosperità nel mondo sta modificando radicalmente la situazione, lasciando a questo piccolo gruppo ormai praticamente la sola supremazia militare. Il mondo sta cercando di adattarsi a questa nuova geografia economica. Se sarà in grado di farlo in maniera pacifica o violenta, è la questione che deciderà la storia di questo secolo.

Su questo scenario pericoloso si sovrappone l’immensa e scellerata pressione esercitata dai fabbricanti di armi di tutto il mondo. Gli smisurati proventi dell’industria militare generano un potere che spinge all’incremento degli armamenti e al loro uso, per il solo motivo che qualcuno ci guadagna. È celebre la denuncia di questo stato di cose fatta dallo stesso presidente americano Eisenhower, che ben conosceva il sistema dall’interno. In Italia, un personaggio che ha giocato un ruolo centrale per la potente industria militare italiana è ora ministro della difesa. Il sito web del ministero della Difesa ora menziona fra le sue priorità quella di aumentare, per lucro, la vendita di armi. Le decisioni strategiche di armamento del nostro paese possono essere influenzate dai fabbricanti di armi. La vita e la morte delle persone, la guerra e la pace, dipendono dagli interessi economici di questo o di quello.

Quello di cui il pianeta ha bisogno oggi sono teste fredde, capaci di pensare globalmente, di pensare all’interesse comune, ai pericoli comuni, di calmare il gioco che si sta facendo sempre più pericoloso per tutti. Servono leader ragionevoli capaci di cercare soluzioni pacifiche agli inevitabili conflitti di potere. La maggior responsabilità è sulle spalle dell’Occidente, che deve decidere se accettare serenamente la rinegoziazione dell’equilibrio del potere globale, resa inevitabile dalla diffusione della prosperità nel mondo, o rimanere arroccato alla sua attuale posizione di pre- dominio. Deve decidere se accettare un pianeta più democratico a livello globale o continuare ad arrogarsi esplicitamente, come ora, una rapace leadership mondiale.

L’Europa, al momento molto spersa, potrebbe giocare un ruolo importante nel calmare le acque. L’Italia, in tutto ciò, è in prima linea. Mentre altri paesi europei come Austria, Irlanda, Spagna, cercano posizioni di neutralità o equilibrio, e invocano la calma, l’Italia è totalmente allineata ai più bellicosi. È uno dei principali produttori di armi al mondo e uno dei principali fornitori di armi ad Israele. Ha preso il comando delle operazioni militari europee contro lo Yemen, non autorizzate dalle Nazioni Unite, in palese violazione del diritto internazionale. È complice di ripetute violazioni della legalità internazionale in questa guerra e in diverse altre precedenti, non autorizzate dalle Nazioni Unite, in cui ha partecipato. Ma soprattutto, è in prima linea nella forsennata corsa agli armamenti che ci sta spingendo verso l’abisso.

L’Italia ha nel suo DNA culturale e politico una profonda avversione alla guerra, rinforzata nel secolo scorso dalla chiara consapevolezza del disastro generato dall’esaltazione della guerra e dalla glorificazione delle armi che hanno caratterizzato il ventennio di Mussolini. Esiste un’Italia vasta che desidera un mondo più pacifico, ma che al momento non trova un riferimento politico da sostenere, se non nelle parole del Papa. Esiste un’Italia consapevole che non vuole la corsa agli armamenti che ci sta portando alla catastrofe. Questo libro è uno strumento per questa Italia. Dati, riflessioni, idee per cercare di fermare questa corsa verso l’ennesima follia dell’umanità.

Questo testo, prefazione dell’e-book “L’economia a mano armata”, è stato pubblicato dal Corriere della Sera del 1° maggio 2024

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