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DEF, un’altra occasione mancata

Il DEF 2017 si presenta in piccolo come la continuazione, in piccolo, delle politiche seguite in questi anni. Un po’ di sgravi, una riduzione delle tasse (rinviata), qualche spicciolo per il welfare e una montagna di privatizzazioni

Nel DEF reso noto martedì dal Governo compare un allegato con gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) previsti dalla nuova legge di bilancio (novità da tutti salutata positivamente), indicatori fortemente voluti da un gruppo trasversale di deputati (con una proposte di legge a mia prima firma, Sinistra Italiana) che ha ripreso l’esperienza e le proposte di iniziative come quelle di Sbilanciamoci (QUARS), dell’Impronta Ecologica, dell’Indice di Felicità e naturalmente del lavoro dell’ISTAT sul BES (Benessere Equo e Sostenibile). L’idea è che non basta il PIL e che il benessere non si misura solo con i parametri macroeconomici: e questo è positivo.

Il DEF – in cui sono inseriti gli indicatori del BES – è però francamente scoraggiante, con la continuazione, in piccolo, delle politiche seguite in questi anni: un po’ di sgravi, una riduzione delle tasse (rinviata), pochi soldi per i contratti dei dipendenti pubblici, qualche spicciolo per il welfare e una montagna di privatizzazioni. Il tutto condito da dati sballati e ottimistici (come la stima sulla crescita del PIL), che sanno di presa in giro. Il governo prevede per il 2018 un rapporto deficit-pil all’1.2%, mentre la Commissione Europea al 2.5%. Chi ha ragione? La Commissione Europea, perché vi ha già calcolato i soldi (da trovare: sarà complicato) necessari per sterilizzare le clausole di salvaguardia (19.6 miliardi). Per ora, si naviga a vista.

Sinistra Italiana qualche giorno fa ha lanciato le sue proposte racchiuse in quattro verbi: lavorare (con la promozione di un piano straordinario del lavoro), investire (5mila cantieri per le piccole opere), assistere (500euro al mese alle famiglie -1.5 milioni- in povertà assoluta), istruire (diritto allo studio per 9milioni di giovani). Il tutto da finanziare sospendendo il fiscal compact e prendendoci così un punto di PIL (17 miliardi) per fare gli investimenti, riducendo la spesa militare e per le grandi opere, colpendo i privilegi (tassando le multinazionali del web, la finanza speculativa e i grandi patrimoni).

Padoan nella conferenza stampa di presentazione del DEF – non potendo dire granché altro – ha parlato molto di Benessere equo e sostenibile (BES) e si è compiaciuto per i risultati e i progressi fatti dall’Italia. Ma c’è della propaganda: dire che i famigerati 80 euro hanno ridotto le diseguaglianze è una sciocchezza, quando l’ISTAT ha detto proprio il contrario: che quella misura ha favorito le classi medio-alte e non i poveri.

Ma andiamo con ordine.

Non va bene che a fare le stime del BES – sui dati ISTAT- siano i tecnici del MEF (cioè il Governo). Non potranno che fare propaganda al loro operato. L’omissione, la manipolazione, la strumentalizzazione sono dietro l’angolo. Serve l’indipendenza di un istituto (sul modello e la natura dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio) che non sia influenzato dall’esecutivo di turno, altrimenti ci misureremo solo su una versione partigiana dei dati. E infatti sui quattro indicatori scelti (reddito, lavoro, diseguaglianze, emissioni CO2) il DEF cosa fa? Glorifica i risultati raggiunti dall’azione del governo. Così il BES perde credibilità.

Fare un BES governativo con 4 indicatori, quando l’ISTAT lo fa con 130 indicatori, anche questo serve a poco. Meglio poco che niente si potrebbe dire. Ma è veramente troppo poco. Così non abbiamo una vera idea del Benessere equo e sostenibile del nostro paese.

E poi la trattazione degli indicatori è discutibile e strumentale. Presentare le performance italiane senza alcun paragone con gli altri paesi europei (come invece l’ISTAT correttamente fa nel suo rapporto) è scientificamente e politicamente inaccettabile: un modo per evitare un confronto per noi impietoso e per impedirci di renderci conto su dove siamo. Affrontare l’indicatore delle diseguaglianze senza trattare il tema della povertà (come invece l’ISTAT correttamente fa nel suo rapporto) è un modo abile per indorare la pillola. E presentare gli 80 euro come una misura di riduzione delle diseguaglianze (quando l’ISTAT disse esattamente il contrario in un’audizione in Commissione Bilancio) significa fare marketing.

Parlare di indicatori del lavoro prendendo solo la “mancata partecipazione al lavoro”, senza citare la precarizzazione e senza ricordare l’aumento del numero degli inattivi (+0,4%, dati ISTAT di aprile) – di coloro che non cercano più lavoro – è un inno alla parzialità. A proposito: il bilancio di genere che fine ha fatto? Era previsto dalla nuova legge di bilancio, ma ci risulta “non pervenuto”.

Il BES governativo sbandierato da Padoan è molto meno significativo di ciò che sembrava in partenza e del lavoro che seriamente fa l’ISTAT. C’è ancora molto lavoro da fare. Comunque un’occasione mancata in un DEF deprimente.