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Che cosa ci insegna la recente crisi bancaria

Con i recenti provvedimenti del governo si conferma la regola che quando le banche ne hanno bisogno, in Italia come altrove, i soldi i governi li trovano sempre

Tra le moltissime notizie soltanto di questi ultimi giorni, che mostrano una situazione in forte e non sempre positivo movimento su parecchi fronti, si possono ricordare l’avvio dell’aumento di capitale per 13 miliardi di euro di Unicredit, dopo che per lungo tempo il precedente gruppo dirigente della banca ne aveva negato con forza la necessità; la pubblicazione della lista dei principali debitori di MPS da parte de Il Sole 24 Ore, lista che appare equamente distribuita tra imprese facenti riferimento alla “destra” e alla “sinistra”, come sottolinea lo stesso quotidiano; il decollo dell’acquisto di tre delle quattro banche da tempo in difficoltà (Etruria, Carichieti, Carimarche) da parte di Ubi Banca per il prezzo simbolico di un euro, dopo che i tre istituti sono stati ripuliti di 2,2 miliardi di crediti deteriorati; resta ancora senza un nuovo padrone Cariferrara, mentre avanzano le operazioni volte a far sì che la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, affidate nelle mani di Atlante – fondo che intanto va avanti molto faticosamente- che vi ha investito 2,5 miliardi di euro, tornino a funzionare adeguatamente, cosa che richiederà ancora almeno altri 2,5 miliardi di risorse pubbliche; si annunciano peraltro difficoltà anche per altri istituti, al Nord con al Sud; intanto va avanti, con accuse molto pesanti, il processo a carico di Denis Verdini e di altri imputati per le presunte irregolarità commesse al Credito Cooperativo Fiorentino; la fresca fusione BMP-Banco Popolare è ora sospetta di aggiotaggio; è stata sospesa dal Consiglio di Stato la riforma delle banche popolari a suo tempo avviata dal Governo, in attesa di una pronuncia della Corte Costituzionale; sul fronte “estero”, infine, un’agenzia di rating canadese ha declassato i titoli pubblici italiani, rendendo più costoso e più difficoltoso anche l’approvvigionamento di denaro da parte del sistema bancario nazionale. E si potrebbe continuare.

Gli insegnamenti delle vicende bancarie nazionali

Uno specchio dei guai italiani

Ma al di là degli episodi contingenti, può essere importante cercare di individuare i possibili insegnamenti di fondo che ci forniscono delle vicende cui stiamo assistendo da tanto tempo in maniera ora allarmata, ora sconcertata e, insieme a noi, l’opinione pubblica internazionale.

I fatti degli ultimi mesi sono intanto, per molti versi, lo specchio fedele di molti dei problemi italiani, dalle difficoltà del sistema delle imprese ad andare avanti dopo la crisi del 2008 – non unica ragione peraltro delle note vicende-, alla corruzione diffusa ovunque, all’ingerenza fuori misura dei partiti, alla troppo frequente esibizione di incompetenza da parte del management delle imprese, all’assenza di adeguati controlli da parte degli organismi preposti alla bisogna, nel settore finanziario come in diversi altri campi.

Gli errori del governo

In prima linea bisogna sottolineare i molti errori compiuti dal governo Renzi, oltre che peraltro di quelli precedenti, nella gestione dell’intera partita, dagli interventi nella crisi delle quattro banche sino ad arrivare ai meccanismi individuati per la soluzione del caso MPS; i molti professori ed esperti, tra cui alcuni provenienti persino dalla Bocconi, che ruotano intorno all’esecutivo evidentemente erano nel frattempo occupati da qualche altra parte.

Tra le politiche portate avanti dagli ultimi governi, e in particolare dall’ultimo, che sul tema ha esercitato un vero accanimento terapeutico, c’è quella di tentare di arrivare ad una molto maggiore concentrazione del sistema bancario, nella convinzione che un tale processo possa migliorare la situazione.

Ora, che in certi casi sia opportuno aumentare le dimensioni dei nostri istituti appare ragionevole, ma bisogna anche ricordare che, accanto alle pretese economie di scala legate ai processi di concentrazione, si possono anche registrare delle diseconomie di scala e che un sistema industriale quale quello nazionale, in cui il numero delle grandi imprese non finanziarie si conta sulle dita di una mano e che è fatto sostanzialmente ormai di sole piccole e medie aziende, è opportuno sia prevalentemente accompagnato da istituti bancari delle stesse dimensioni che conoscano a fondo il loro territorio. In altri termini, un sistema equilibrato ha bisogno tanto delle grandi (poche) che delle piccole banche. In ogni caso gli interventi del governo sono stati frettolosi ed arruffati.

C’è poi la questione specifica del salvataggio di MPS. Bisogna ricordare, a questo proposito, che è certamente vero che Bruxelles e Berlino guardano con molta diffidenza pregiudiziale alle banche italiane e appare significativa, in particolare, l’esagitata reazione tedesca, nonché di qualche commissario della UE, all’annuncio dell’intervento pubblico nel capitale della banca senese, ma bisogna anche sottolineare che il nostro paese fornisce spesso degli adeguati pretesti a tali interventi ostili.

Nel caso specifico citato, con lo Stato che dovrebbe acquisire intorno al 70% del capitale dell’istituto, succede tra l’altro che, nella sostanza, si vogliono tutelare al massimo gli investitori, scaricando tutti gli oneri del salvataggio sui contribuenti. Ma tale decisione non è affatto in linea con le normali regole di Bruxelles e di Francoforte, fornendo essa così un buon assist ai falchi di Berlino e permettendo di continuare ad additare al mondo il nostro paese come quello che non rispetta mai le regole.

I soldi per le banche si trovano sempre, mentre è in crisi il rapporto cittadini-istituzioni

Con i recenti provvedimenti del governo si conferma la regola che quando le banche ne hanno bisogno, in Italia come altrove, i soldi i governi li trovano sempre. Consideriamo che per il salvataggio di pochi istituti si impiegano ora 20 miliardi di euro, pronti plausibilmente a trovarne degli altri, se necessario; consideriamo anche che per il cosiddetto job act lo stesso governo ha trovato con facilità altri 20 miliardi circa, da versare questa volta agli industriali. Aggiungiamo anche soltanto la mancata lotta all’evasione fiscale, che avrebbe potuto invece, se perseguita adeguatamente, portare nelle casse dello stato altro denaro. Tutto questo indica che, nonostante le politiche di austerità, pur molto dannose, ci sono ancora da noi delle rilevanti risorse mobilitabili, risorse che avrebbero potuto ovviamente essere impiegate in modo anche molto diverso da quanto fatto.

La cattiva gestione della partita bancaria ha anche contribuito ad aumentare una crisi già abbastanza profonda riscontrabile certamente da tempo nei rapporti tra cittadini e istituzioni.

I risparmiatori sono stati traditi da una fiducia evidentemente mal riposta in istituti che frequentavano magari da decenni e con i quali avevano instaurato spesso un rapporto molto stretto; si è anche fortemente ridotta la fiducia in organismi sino a ieri quasi oggetto di culto quali la Banca d’Italia, mentre si ci è sentiti traditi anche dalle improvvide mosse del governo, anche se queste ultime non hanno destato troppa sorpresa, rientrando nella norma.

Le difficoltà italiane nei problemi più generali delle banche

Le difficoltà delle banche italiane si collocano in un quadro molto complesso e in grande mutamento nel sistema bancario europeo e mondiale. Gli aspetti di questo, per molti versi tumultuoso, mutamento sono molto numerosi.

La crisi del nostro sistema finanziario va prima di tutto inquadrata nelle più generali e crescenti difficoltà delle banche europee, che, tra l’altro, fanno fatica a reggere il ritmo della concorrenza nel settore, di fronte in particolare a degli istituti statunitensi sempre più agguerriti. Pesano sui risultati il mediocre livello di sviluppo economico del continente, la presenza di tassi di interesse negativi, gli elevati livelli di crediti in sofferenza, le incertezze che gravitano sul futuro dell’Eurozona (Mclannahan, Arnold, 2017), la minore capacità manovriera degli istituti europei rispetto a quelli Usa. Ricordiamo, peraltro, che quelli italiani sono tra i meno redditivi d’Europa, tra quelli dotati del più basso livello di mezzi propri, quelli infine con il più alto livello di crediti deteriorati.

Va intanto avanti rapidamente la rivoluzione tecnologica nel settore, che presenta almeno due dimensioni, che tendono comunque ad intrecciarsi tra di loro.

La prima fa riferimento allo sviluppo delle tecnologie numeriche nell’organizzazione interna delle banche, ciò che comporta tra l’altro una tendenziale e pesante caduta dell’occupazione nel settore. La seconda ha a che fare invece con l’assalto al mercato finanziario da parte di nuovi protagonisti provenienti dall’economia numerica e che minacciano pesantemente gli equilibri di questo come di altri campi di attività. Anche in questo caso gli istituti italiani sono tra quelli più in ritardo nel far fronte alle minacce.

La terza fa riferimento alla prossima messa a punto delle nuove regole di Basilea, che comporteranno molto probabilmente la necessità di aumenti di capitale che potrebbero essere molto rilevanti per le banche europee e, in particolare, per quelle italiane, già in difficoltà su tale fronte già con le vecchie normative.

Infine, di fronte ai guasti prodotti nell’ultimo periodo dal sistema bancario internazionale e alla scarsa incisività dei tentativi di riforma da parte dei governi, nonché alla potenzialità dell’evoluzione tecnologica, ci si interroga sempre più se non si debba ripensare interamente il ruolo delle banche, comunque ridimensionandolo. Ma questo è un discorso che richiederebbe un altro articolo.

Testo citato nell’articolo

Mclannahan B., Arnold M., Us banks outperform European lenders, Financial Times, 16 gennaio 2017