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Un nuovo Piano industriale per la mobilità sostenibile

Nel Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza finanziato dal Recovery Plan deve affermarsi un chiaro indirizzo strategico: per muoverci liberi e sicuri dopo il Covid e per il rilancio industriale e occupazionale del Paese serve una mobilità collettiva, elettrica, condivisa, ciclopedonale, multimodale.

Il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza (PNRR) – circa 209 miliardi tra prestiti e fondo perduto – in arrivo dal Recovery Plan-Next Generation UE europeo, rappresenta una seria opportunità per fare innovazione e mettere la sostenibilità al centro delle scelte per il futuro dell’Italia. Sul fronte mobilità e infrastrutture dobbiamo recuperare ritardi cronici, essere in linea con i piani europei di riduzione dei gas serra al 2030 del Green Deal (-55%) e di decarbonizzazione ed emissioni zero al 2050. Una sfida complessa che richiede intelligenza e risorse, insieme a scelte politiche coerenti e decisamente coraggiose.

Purtroppo non abbiamo in Italia un Piano aggiornato dei Trasporti e della Logistica (PGTL, fermo al 2001) che abbia incorporato tutti gli obiettivi ambientali, di sostenibilità, accessibilità, emissioni zero, elettrificazione, il PNIEC. Ma anche le innovazioni recenti degli ultimi anni come la mobilità condivisa, servizi MaaS (mobilità come servizio), la bicicletta a pedalata assistita, la rivoluzione digitale nei servizi, i PUMS delle città.

È essenziale quindi – in assenza di PGTL che non si può certo adottare in poche settimane – costruire almeno una cornice chiara di riferimento che determini i vincoli, la missione e le opportunità. Solo in questo modo saremo nelle condizioni di scegliere i progetti appropriati, evitando risorse a pioggia in modo frammentato e/o ancora peggio investire ancora nella mobilità insostenibile.

La strategia del MIT “Italia Veloce”

Il documento di riferimento “Italia Veloce” presentato dalla Ministra dei Trasporti e Infrastrutture (MIT) Paola De Micheli, allegato al DEF 2020, fa una disamina apprezzabile dello stato dei trasporti, parla di Italia resiliente e innovativa, inserisce le giuste parole dedicate a città, sharing, elettrificazione, intermodalità, PNIEC, ciclabilità, manutenzione delle reti, smart road. Ma poi la tabella con gli investimenti prioritari prevede una lunga lista di autostrade e potenziamenti stradali, che alimentano nuovo traffico.

“Italia Veloce” inoltre sottovaluta gli impatti ambientali e sanitari negativi del sistema: non assume la sostenibilità ambientale e gli obiettivi di riduzione dei gas serra al 2030 e 2050, la qualità dell’aria, la decarbonizzazione, come elementi chiave di analisi e selezione della strategia e degli interventi.

  • Le innovazioni di servizio e tecnologiche nella mobilità, che vengono richiamate nella prima parte descrittiva, non sono poi riprese quando si propongono gli investimenti.
  • L’elettrificazione dei veicoli pubblici e privati, individuali, collettivi e in sharing, non rientra come un obiettivo essenziale nella strategia, nelle azioni e interventi.
  • Per gli investimenti per le infrastrutture vi è ancora una robusta programmazione per lo sviluppo Autostradale e stradale, alimentando crescita del traffico, inquinamento, emissioni di gas serra e congestione. Anche la parte destinata agli Aeroporti non dovrebbe essere incoraggiata e sostenuta stanti le emissioni di gas serra pro-capite del settore dell’aviazione.

Le Linee Guida del PNRR

Sono le stesse distorsioni che ritroviamo nelle Linee Guida adottate per il PNRR per la parte mobilità e infrastrutture, ora in discussione in Parlamento. A settembre il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE) ha presentato le “Linee guida” per la definizione del PNRR italiano, indicando nove obiettivi economico-sociali, tra cui “Sviluppo delle infrastrutture” e “Paese verde e sostenibile”. Questi obiettivi prevedono investimenti in sei missioni specifiche, tra cui la Rivoluzione verde e transizione ecologica e le Infrastrutture per la mobilità.

Le misure indicate per ciascuna missione sono generiche, non è indicata una stima dei costi e quindi non vi sono ipotesi di ripartizione delle risorse disponibili. Non viene nemmeno mai richiamato quel vincolo essenziale che arriva dalla UE secondo cui il 37% deve essere destinato alla spesa green per contrastare i mutamenti climatici. E che le associazioni ambientaliste italiane ed europee chiedono di portare al 50% per accelerare la giusta transizione, di cui peraltro vanno definiti i criteri di valutazione superando i cosiddetti “Rio Markers”, già obsoleti, e istituita una cabina di regia per controllare il rispetto di questi vincoli.

Leggendo la scheda sulla Rivoluzione verde si nota l’assenza della elettrificazione come obiettivo per i trasporti (si parla di graduale de-carbonizzazione e di una non meglio definita “mobilità di nuova generazione”). Mentre nella scheda Infrastrutture per la mobilità si parla di grandi investimenti per Alta Velocità, lo sviluppo della Rete Stradale e Autostradale; al contempo le reti per la mobilità urbana non sono indicate e si parla genericamente di “mobilità pubblica e privata a impatto ambientale sostenibile”. Non ci siamo.

Per costruire un Piano coerente di spesa per la mobilità serve una cornice strategica d’insieme, dato che non disponiamo di un Piano Generale dei Trasporti e Logistica, aggiornato e sostenibile. E occorre tener conto che i progetti devono essere cantierabili entro il 2023 e conclusi entro il 2028. Pare quindi anche inutile tirare fuori dai cassetti progetti del passato, molto impattanti e molto costosi, come il ponte/tunnel delle Stretto di Messina rilanciato in grande stile ora che arrivano le risorse UE.

Proposte di intervento per muoversi sostenibilmente

Per dare una svolta verso la mobilità sostenibile si deve partire da sei ambiti di intervento, scegliendo le azioni conseguenti e a cascata i progetti su cui puntare, che richiedono risorse pubbliche. E che dovranno raccordarsi con gli investimenti in corso utili, dal Piano di investimenti delle ferrovie e di Anas ai PUMS delle principali città italiane.

(1) Muoversi in città. Occorre realizzare nuove reti tramviare e metropolitane, il potenziamento del trasporto collettivo e nuovi autobus elettrici, far crescere la mobilità condivisa. Per la mobilità in bicicletta siamo molto indietro e dobbiamo investire su reti ciclabili, interventi di moderazione del traffico e sicurezza stradale. Vanno finanziati in progetti previsti dai PUMS delle grandi città, ma anche le reti ciclabili delle città medie e piccole.

(2) Cura del ferro per trasporto locale e aree metropolitane. Abbiamo un deficit di trasporto ferroviario locale: serve il completamento dei nodi ferroviari, nuovi treni per i pendolari, l’incremento dei contratti di servizio per aumentare i servizi sia nelle aree dense con alta frequenza, sia nelle aree a bassa densità per garantire accessibilità. Bene anche la strategia di AVR, l’alta velocità di rete, per velocizzare le ferrovie esistenti e connettere in modo diffuso le città italiane (invece di pezzi inutili di alta velocità). Le stazioni devono diventare hub della mobilità con parcheggi per bici, sharing e auto, percorsi ciclabili e pedonali.

(3) Mobilità elettrica dei veicoli e dei servizi. Puntare sulla elettrificazione è una necessità: per la sharing mobility, il trasporto collettivo, la e-bike, per i motoveicoli e le auto private (ma devono diminuire di numero), per i veicoli commerciali leggeri. Serve investire per le infrastrutture di ricarica, per nuovi autobus elettrici, per ricerca e produzione di batterie, per sostenere la riconversione dell’industria dell’automotive. Anche nei porti è necessaria l’elettrificazione delle banchine.

(4) Manutenzione delle reti stradali e autostradali. La viabilità esistente ha un enorme deficit di manutenzione, di interventi di messa in sicurezza, di adeguamenti infrastrutturali locali e tecnologici, di servizi digitali e smart road. Una quota di risorse deve essere dedicata a recuperare questo deficit nelle reti pubbliche esistenti, che incrementa incidentalità stradale e degrado delle infrastrutture.

(5) Merci e logistica urbana sostenibile. Per il trasporto delle merci bisogna investire nell’intermodalità gomma/ferro e gomma/mare per ridurre il trasporto su strada, con infrastrutture e sistemi logistici adeguati, incentivi coerenti ed eliminazione progressiva dei Sussidi all’autotrasporto. Il parco mezzi deve essere ammodernato con veicoli puliti. Per la distribuzione in città servono la riorganizzazione del sistema di consegne, veicoli commerciali elettrici e sviluppo della Logistica a Pedali.

(6) Mobilità dolce. Questa estate sono aumentati i viaggiatori e le viaggiatrici a piedi e in bicicletta, lungo i cammini, sentieri, trekking, ciclovie turistiche e strade a basso traffico. Un nuovo turismo dolce vissuto nei piccoli borghi, nella natura, negli appennini, che costituisce uno sviluppo di economie locali, di tutela dal dissesto, contro l’abbandono delle aree interne. Questo è il momento di investire per realizzare le dieci grandi Ciclovie turistiche già pensate per l’Italia, di rendere concreta la rete dei Cammini Italiani, di attuare la legge per le ferrovie turistiche del 2017: reti di mobilità dolce da integrare con il trasporto locale e il sistema di accoglienza ai viaggiatori.

Le proposte di Legambiente-Kyoto Club

In occasione della settimana europea della mobilità sostenibile 2020, Legambiente e Kyoto Club hanno presentato Green Mobility, come asse strategico per l’Italia del Recovery Plan con sei proposte di riconversione industriale e riforme strutturali.

Alle prime sei proposte di medio termine, Legambiente e Kyoto Club hanno affiancato sei proposte immediate per la manovra di Bilancio 2021. In primis, conferma e rifinanziamento dal 2021 del bonus mobilità senz’auto in tutte le città inquinate (300 milioni di euro all’anno); estensione del welfare mobilità dal TPL alla mobilità sostenibile per milioni di lavoratori e famigliari; 10% dell’Iva per tutti i servizi di sharing mobility, al pari del TPL; mobilità pedonale e ciclabile sicura in città + mobilità scolastica (600 milioni); rimodulazione delle accise e cessazione dei sussidi a biocarburanti dannosi come l’olio di palma (costo zero); riformulazione del piano rete ricarica elettrica e rifinanziamento con meccanismi incentivanti per i privati.

Perché per le due associazioni ambientaliste “la mobilità collettiva, elettrica, condivisa, ciclopedonale e multimodale” è l’unica possibilità per tornare a muoverci più liberi e sicuri dopo la crisi Covid-19 e per il rilancio industriale e occupazionale del Paese.