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Un governo extraparlamentare

Il governo Meloni è extraparlamentare. Perché fa una legge di bilancio su cui il Parlamento non metterà bocca. Perché manda armi in Ucraina di cui le Camere non sanno niente. Perché vuole il premierato. E intanto abusa della decretazione. Per gli attacchi alla magistratura, e per l’illiberale decreto sicurezza.

Quello di Meloni è un governo extraparlamentare. 

Negli anni ‘70 erano definiti extraparlamentari i gruppi della nuova sinistra (non avevano rappresentanti alle Camere) e talvolta anche i gruppi di estrema destra (molto di meno, perché avevano legami e intrecci con il MSI di Giorgio Almirante che in Parlamento sedeva). 

Oggi è il governo Meloni ad essere extraparlamentare. Lo è perché fa una legge di bilancio su cui il Parlamento non metterà bocca. Lo è perché manda armi in Ucraina di cui le Camere non hanno nessuna nozione (solo il Copasir ha qualche informazione più dettagliata). Lo è perché vuole approvare una riforma (quella del premierato) che metterà fuori gioco del tutto il Parlamento. Per non parlare della subalternità ai vari gruppi di potere che condizionano le scelte economiche e di spesa pubblica del governo e l’attacco alla magistratura.

A differenza degli anni ‘70 quando la sinistra extraparlamentare voleva entrare e contare in Parlamento, oggi il governo Meloni vuole fare a meno del Parlamento, umiliarlo, declassarlo a Camera di ratifica. Nei primi due anni di governo il 41% delle leggi approvate in Parlamento sono decreti legge (cioè del governo): ne fa 3 al mese. In tutto sono 72, e la Meloni insidia il record di uno dei governi Berlusconi con 80 decreti legge in due anni: una competizione tra giganti.

Vi è un vizio autoritario che – gratta, gratta – riemerge come un riflesso pavloviano di una destra che nel suo simbolo la fiamma tricolore: quello di un passato fascista e antidemocratico. Con il disegno di legge “sicurezza” (anche questo di iniziativa governativa!) ora in discussione al Senato si va nella stessa direzione: la repressione del dissenso, della disobbedienza civile, della protesta sociale.

Tutto questo ci interessa e ci preoccupa. La campagna Sbilanciamoci è nata per sensibilizzare la società civile, per  interloquire con le istituzioni rappresentative, rafforzando anche in questo modo la democrazia, il dialogo tra cittadini e rappresentanti del popolo. Solo in questo modo si rafforza la coesione sociale e una cittadinanza consapevole e attiva. Se il Parlamento viene ridotto a organo di ratifica e il governo ad un regime con l’uomo o la donna sola al comando e – poi –  i punti di riferimento diventano Orban e la Le Pen allora ci aspettano tempi bui. 

Ma non è detto, anche perché queste pulsioni autoritarie nascondono l’incapacità di risolvere i problemi del paese: una sanità definanziata, una scuola abbandonata a sé stessa, la crescita del lavoro precario, le alluvioni che mettono in ginocchio i territori. E allora la reazione democratica non si farà attendere. Il paese ha bisogno di risposte ai problemi, non di slogan e narrazioni all’insegna di “legge ed ordine”. Anche perché la legge sono i primi loro a non rispettarla.

Un’Italia capace di futuro ha bisogno di buone politiche e di una democrazia vera, che funzioni, a partire dal parlamento.