REFRESH. La caduta della quote di mercato, le scelte strategiche di business, l’andamento della Chrysler e quello della Fiat, le ipotesi di cessioni clamorose. Le ultime cifre dal mercato dell’automobile e dal pianeta Marchionne
Mentre continua e si aggrava il conflitto sul fronte delle scelte dell’impresa torinese nel nostro paese con le questioni strettamente collegate dell’occupazione e delle lotte sindacali, sono maturati negli ultimi mesi diversi eventi importanti sull’andamento del mercato, nonché sui risultati di bilancio della società e soprattutto su alcune sue scelte strategiche. Proviamo a sintetizzarli.
L’andamento dei conti e quello del mercato dell’auto
Il miglioramento nei risultati di bilancio della Fiat – dopo la perdita di 850 milioni di euro del 2009, l’esercizio 2010 dovrebbe registrare un ritorno all’utile, sia pure di importo relativamente modesto- appaiono in questi mesi come i più spettacolari dell’industria dell’auto europea, ma contemporaneamente le sue perdite di quote di mercato in Europa sono anche le più ampie nel suo settore.
La rivista “Automotive news” già qualche mese fa registrava il fatto che nel terzo trimestre del 2010 la Fiat guidava la classifica nella redditività per gli azionisti, con un ritorno complessivo sul capitale del 32,9% -contro un 28,4% della BMW, il 22,6% della Renault, il 15,5% della Volkswagen, il 10,7% della Daimler. Nello stesso tempo, la società era però la prima nella lista relativa alle perdite di quote di mercato nel nostro continente nel mese di ottobre del 2010, con una caduta dei volumi pari al 36,4%, contro il 29,3% della Ford, il 21,5% della Renault e il 13% della Renault. E la caduta continuava in misura rilevante nei mesi successivi sino a tutto dicembre.
La contraddizione tra i due fatti si spiega, tra l’altro, con un miglioramento dei risultati della consociata brasiliana e con la forte ripresa del mercato nel settore dei veicoli industriali e delle macchine movimento terra e agricole.
Assistiamo così ad un conflitto di tipo classico tra gli interessi degli azionisti di una società e quelli dei suoi dipendenti, almeno di quelli italiani.
Perché la caduta delle quote di mercato
La caduta delle quote di mercato della società si spiega da una parte con alcune sue debolezze tradizionali, accentuate dalla crisi – insufficiente copertura della sua rete distributiva e di assistenza, scarsa presenza di prodotti nelle fasce medie ed alte dello stesso mercato –, insieme peraltro all’assenza di nuovi modelli.
All’ultimo salone dell’auto di Parigi Marchionne non ha a suo tempo portato nessuna novità, mentre quelle delle altre case apparivano abbondanti. Slitta ancora il debutto di tre nuovi ed importanti modelli, la nuova Fiat Panda, la Lancia Ypsilon e la monovolume che dovrebbe sostituire la Musa, l’Idea e la Multipla, ciò che significa ovviamente anche un prolungamento della cassa integrazione per i lavoratori degli stabilimenti interessati.
Quali le ragioni di tale stallo? Sono state avanzate almeno tre spiegazioni: la carenza di risorse finanziarie che induce a rallentare gli investimenti, la distrazione del gruppo dirigente, concentrato oggi sull’avventura della Chrysler e degli altri paesi –Serbia, Russia, Cina, ecc.-, mentre l’ultima possibile ragione, quella ufficiale dell’azienda, parla del fatto che sarebbe meglio per il lancio dei nuovi modelli attendere la ripresa del mercato. Ma i concorrenti non stanno certo aspettando la ripresa ed essi si affermano con delle novità che sottraggono quote alla casa torinese, quote che sarà poi difficile recuperare.
L’andamento della Chrysler
I risultati annunciati nel novembre e nel dicembre 2010 mostrano un miglioramento sul fronte commerciale e su quello economico-finanziario. Tra l’altro, la quota di mercato della società negli Stati Uniti è cresciuta al 9,6% nel terzo trimestre rispetto all’8% dello stesso periodo del 2009, mentre viene annunciata anche una rilevante riduzione delle perdite complessive, che dovrebbero comunque collocarsi ancora intorno ai 450 milioni di dollari per l’intero anno.
Nell’intero 2010 la Chrysler ha venduto negli Stati Uniti 1.100.000 veicoli, con una crescita del 17% rispetto all’anno precedente. Da rilevare che contemporaneamente la Fiat brasiliana ha esitato nell’anno 760.000 vetture, mentre in Italia il gruppo torinese ne ha collocate soltanto 590.000. Il nostro paese è diventato così soltanto il terzo mercato di riferimento per il gruppo. Si tratta quasi di una rivoluzione.
Comunque, di fronte all’ottimismo del gruppo dirigente sulle prospettive dell’azienda statunitense, molti esperti del settore e almeno una parte della stampa internazionale –si vedano, ad esempio, sul Financial Times gli articoli in proposito di Lex dell’8 novembre e di J. Gapper del 14 gennaio 2010- rimangono però dubbiosi sulle effettiva possibilità per la casa americana di farcela nel medio-lungo termine a stare con profitto su di un mercato così difficile come quello americano.
Le scelte di business
A livello di scelte di business, la Fiat fa intravedere negli ultimi mesi alcune notizie clamorose: essa potrebbe arrivare a vendere la Magneti Marelli e almeno in parte la Ferrari, forse anche l’Alfa Romeo, sino all’Iveco e alla Cnh.
Quanto sono realistiche tali voci? Basandoci anche sulle notizie che appaiono in particolare su “Automotive news”, si possono fare alcune ipotesi che sembrano abbastanza plausibili.
Il gruppo ha bisogno, come al solito, di soldi. Mentre alcuni governi, quali quello francese e statunitense, hanno aperto durante la crisi i cordoni della borsa a favore dei produttori nazionali, la Fiat non ha ottenuto nulla in Italia e si è trovata così, anche per questo, in qualche difficoltà sul fronte finanziario, anche se è riuscita poi ad andare comunque avanti. Ma ora i soldi sarebbero necessari, tra l’altro, per aumentare la sua quota azionaria nella Chrysler portandola al 51% entro il 2013. La possibile vendita del 39% della Ferrari –è di tale percentuale che si parla- potrebbe fruttare tra gli 0,9 e gli 1,4 miliardi di euro. Quella della Magneti Marelli tra 1,2 e 1,4 miliardi di euro. Si otterrebbero così quei 2,0-2,5 miliardi di euro che servirebbero alla società.
Si può aggiungere che alla Ferrari sarebbe interessata la Volkswagen, che comprerebbe volentieri anche l’Alfa, ma sarebbe certamente una tragedia per il paese se il comando sulla società di Maranello passasse in mani straniere.
Per quanto riguarda la componentistica, mentre la cessione della Magneti Marelli sarebbe in linea con quanto già in passato deciso praticamente da tutte le case automobilistiche del mondo, bisognerebbe peraltro considerare le prevedibili ricadute sul fronte dell’occupazione e su quello degli input tecnologici per la stessa Fiat, che sino ad oggi ha goduto ampiamente del know-how della società.
Invece la messa sul mercato dell’Alfa Romeo sembra, almeno per il momento, improbabile, ma certo se il gruppo non riuscisse entro due-tre anni a far risalire fortemente le vendite del marchio, attualmente di poco superiori alle 100.000 unità contro un obiettivo che era stato fissato qualche anno fa in almeno 300.000, la cessione resterebbe l’unica opzione disponibile.
L’Iveco
Il settore dei veicoli industriali, dopo la forte crisi degli scorsi anni, ha visto nel 2010 una rilevante ripresa del mercato, di cui hanno profittato tutti i principali produttori, compresa l’Iveco. Ma il comparto, in attesa nei prossimi anni di una rilevante offensiva dei produttori cinesi, presenta già numerosi problemi, tra i quali quello di una capacità produttiva esuberante. Sono in atto, quindi, sia dei tentativi di raggruppamento tra le varie case, che delle prove di collaborazione su alcuni progetti specifici.
L’Iveco si trova in una situazione di relativa debolezza per le sue più ridotte dimensioni rispetto ai principali colossi del settore. Ecco che la Daimler, qualche mese fa, si è dichiarata disponibile a rilevarla e aperta anche all’eventualità di acquistare l’intera nuova società Fiat Industrial. Per il momento non se ne è fatto nulla, ma apparentemente soltanto per una divergenza non troppo grande sul prezzo di cessione. La questione si riproporrà probabilmente in un lasso di tempo non troppo distante.
Conclusioni
Il gruppo Fiat sta attraversando un momento di ripensamento strategico, sollecitato in parte anche da interessi esterni. Gran parte delle sue energie sono oggi concentrate sulla creazione di un forte raggruppamento nel settore dell’auto, con in prospettiva la fusione tra Chrysler e Fiat. Tutto il resto conta molto meno e sembra comunque subordinato a tale opzione, che appare però, per molti aspetti, abbastanza rischiosa da portare avanti con successo.
Al di là di questa scelta di tipo generale, noi non sappiamo cosa succederà in concreto all’azienda a livello di business e di mercati geografici entro i prossimi tre- quattro anni, ma siamo quasi certi che ci saranno dei profondi rivolgimenti, che toccheranno inevitabilmente e fortemente i lavoratori e il paese; ci si troverà, molto probabilmente, di fronte ad altri problemi e ad altre sofferenze di cui non si sentiva certo il bisogno.
Nell’ambito della nostra inchiesta sulle Grandi imprese italiane, alla Fiat erano già stati dedicati i seguenti articoli di Vincenzo Comito:
“La Fiat: l’auto, l’Italia e il resto”e “Fiat, l’attacco e il distacco”