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Ucraina, il negoziato che non c’è

Le elezioni europee si tengono sullo sfondo dei paralleli tra lo sbarco in Normandia di 80 anni fa e una guerra in Ucraina sempre più pericolosa. Politici e media ignorano le possibilità di un negoziato, proposto da più parti, l’unica via per mettere fine al conflitto.

Il 15 giugno si apre a Lucerna, in Svizzera, una “Conferenza di pace per l’Ucraina” che non avrà come tema la pace. L’incontro, convocato dal capo di Stato ucraino Volodymyr Zelenskij subito dopo il vertice del G-7 a Roma, ospiterà delegazioni di 110 paesi. Ma la partecipazione della Russia non è auspicata, Mosca non è invitata e non si parlerà di una possibile fine della guerra. Al centro dei colloqui ci sarà invece il sostegno militare e finanziario della “comunità internazionale” per la continuazione della guerra fino alla vittoria dell’Ucraina. Si parlerà di come ricostruire il consenso intorno a una strategia occidentale che prevede l’invio di nuove armi e finanziamenti al governo di Kiev.

A giugno a Lucerna non si parlerà nemmeno di cosa potrebbe significare per l’Ucraina l’obiettivo della “vittoria”. La posizione degli Stati Uniti non sarà messa in discussione: si vuole il completo ripristino della sovranità territoriale dell’Ucraina sulle quattro regioni contese di Luhansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson, e sulla Crimea. Per raggiungere quest’obiettivo, si accetta che le morti si moltiplichino, che l’Ucraina sia dissanguata in nome dell’eroica resistenza della popolazione ucraina contro l’aggressione russa. Stati Uniti, Nato e paesi europei offrono il loro contributo con discussioni controverse su prospettive di escalation militare che vanno dal colpire gli obiettivi nel territorio russo all’invio di istruttori militari occidentali, oltre al sostegno di intelligence, logistico e strategico. La guerra in Ucraina sta già dividendo l’alleanza della Nato e rischia di travolgere l’Unione Europea quando si tratterà di finanziare la ricostruzione dopo le distruzioni della guerra. 

Qual è il senso di queste posizioni occidentali? Dall’estate del 2023, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, sono stati soprattutto i militari a mettere in guardia dal proseguimento di questa guerra. Sia a Ovest che a Est, nel silenzio dei media. Il 20 febbraio scorso l’ex capo di stato maggiore britannico Lord Julian Richards in una sorprendente intervista alla Bbc ha lanciato un appello a porre fine alla guerra. Ha avvertito che c’era da attendersi una prolungata guerra di trincea con pochi guadagni di territorio e con migliaia di morti insensate, e ha chiesto la disponibilità dell’occidente a negoziare la “pace in cambio di terra”, visto che i guadagni russi erano stati ancora ridotti. Secondo Lord Richards “stiamo chiedendo ai coraggiosissimi ucraini di combattere una guerra che non siamo adeguatamente attrezzati per vincere – non abbiamo nemmeno definito cosa possa significare “vittoria” – e che quindi perderanno. È sempre più il caso di dire che dobbiamo negoziare con i russi”. Nessun giornale britannico – e nemmeno il sito web di Bbc News – ha riportato l’intervista. Il link all’intervista sul programma PM di Radio 4 della Bbc è stato tolto, ma si può leggere sul sito di Peace News.

Nel dicembre 2023 l’alto generale ucraino Valerii Zaluzhnyi ha dichiarato all’Economist: “Come nella prima guerra mondiale, abbiamo raggiunto un livello di tecnologia militare che ci costringe a una situazione di stallo”. Valerii Zaluzhnyi è stato licenziato dal suo incarico poche settimane dopo l’intervista. In realtà Zaluzhnyi non faceva altro che ripetere le parole del generale americano Mark Milleys, capo dello stato maggiore, che nel novembre 2022 ricordava la prima guerra mondiale “quando entrambe le parti erano impegnate in una guerra di trincea per anni con poco terreno guadagnato ma milioni di morti insensate”. E aggiungeva: “Se c’è la possibilità di negoziare; se la pace può essere raggiunta, allora fatelo! Cogliete l’attimo!” (si veda il suo intervento all’Economic Club di New York e sul New York Times ).

Nel settembre 2023 in Germania il generale in pensione Harald Kujat  e altre tre personalità – Peter Brandt, figlio dell’ex cancelliere tedesco Willy Brandt, Horst Teltschik, consigliere di politica estera dell’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl, Hajo Funke, politologo – hanno pubblicato un piano di pace realistico su come si potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina attraverso un cessate il fuoco e successivi negoziati di pace sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Si chiede un cessate il fuoco immediato lungo la linea del fronte e il contemporaneo avvio di negoziati di pace. Sui principali nodi del conflitto le proposte prevedono un’Ucraina neutrale, garanzie di sicurezza per la sovranità e l’integrità territoriale di Kiev, una soluzione politica per il futuro status delle regioni di Luhansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson, nonché della Crimea. I negoziati dovrebbero far seguito ai colloqui di pace russo-ucraini che si erano tenuti nel marzo 2022.

Un cessate il fuoco lungo la linea del fronte del settembre scorso non significava una sconfitta o una vittoria per nessuna delle due parti: avrebbe dato alla Russia un guadagno di territorio di circa il 10% nelle quattro regioni contese, dichiarate formalmente parte della Russia nel settembre 2022, ma senza alcun controllo de facto su nessuna delle regioni. Oggi – otto mesi dopo la presentazione del piano – la situazione è cambiata solo marginalmente. La forza della proposta dei quattro tedeschi è che integra una precedente proposta sviluppata su invito del Vaticano e quelle avanzate dalla Cina e altri paesi del Sud del mondo. Come in questi casi, il piano tedesco presuppone che si tenga conto anche degli interessi di sicurezza russi, come indicato nella lettera di Mosca alla Nato e agli Stati Uniti del 17 dicembre 2021.

Per i governi e i media europei la possibilità di negoziati che mettano fine alla guerra in Ucraina non merita attenzione. “Putin non vuole negoziare” è la tesi unanime, e per la “conferenza di pace” di Lucerna si afferma che è la Russia a non voler partecipare. Si tratta di convinzioni così forti da ignorare anche le notizie.

Il 24 maggio scorso l’agenzia britannica Reuters ha annunciato che Putin è ora pronto a un cessate il fuoco sul fronte attuale e a successivi negoziati di pace. Le fonti erano cinque stretti consiglieri del presidente russo; tre di questi sostenevano che una priorità del Cremlino è evitare a tutti i costi una nuova mobilitazione di soldati, che danneggerebbe la popolarità di Putin. Secondo due funzionari, Mosca considera i limitati guadagni territoriali russi come sufficienti per presentare la fine della guerra in Ucraina come una vittoria. Tre fonti russe di alto livello avevano già dichiarato alla Reuters nel febbraio 2024 che gli Stati Uniti avevano rifiutato una proposta russa per un cessate il fuoco sulla linea del fronte. Queste aperture di Mosca al negoziato non sono state riprese né dalla stampa, né dai diplomatici europei. 

Un appello internazionale che chiede l’immediato avvio di negoziati per evitare un’escalation della guerra in Ucraina, firmato da undici studiosi e personalità europee – tra cui Luciana Castellina, Peter Brandt, Wolfgang Streeck, Colin Archer, Carlo Rovelli – è apparso il 22 maggio su Corriere della sera, Frankfurter Rundschau, Freitag e, nei giorni successivi, su l’Humanité e in altri siti in una decina di paesi. Il testo chiede un’iniziativa di dialogo e “diplomazia dal basso” al Parlamento europeo che sarà eletto nei prossimi giorni. Ma il silenzio della politica e dell’Europa sulla necessità di porre fine alla guerra in Ucraina è assordante, anche alla vigilia del voto europeo.