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Tutti i soldi alla difesa: la Ue accelera sul riarmo

Nei corridoi di Bruxelles è partita una corsa frenetica alla ricerca di fondi per sostenere l’industria della difesa, con una revisione a tappeto dei meccanismi di investimento. Il risultato è un intreccio di programmi e agenzie che, dopo anni di frammentazione e inefficacia, trovano un nuovo collante: la spesa militare.

A vedere le strane, astruse, sigle che li indicano e il sommesso fermento che hanno intorno può sembrare che si stia parlando di nuovi stupefacenti in circolazione a Bruxelles, invece quando si parla di EDIS, EDF, EDA, EDTIB, DEF, EDIP, SESI si tratta del vasto calderone di programmi e fondi che l’Unione Europea sta preparando o sta modificando in materia di difesa. E a differenza dei soliti slogan, questa volta non è solo di retorica: è in corso una vera e propria riconversione delle priorità dell’Unione, dei suoi strumenti finanziari e delle risorse disponibili.

Da mesi, nei corridoi della Commissione, è partita una corsa frenetica alla ricerca di fondi per sostenere l’industria della difesa, con una revisione a tappeto dei meccanismi di investimento. Il risultato è un intreccio di programmi e agenzie che, dopo anni di frammentazione e inefficacia, stanno trovando un nuovo collante: la sicurezza militare.
La strategia “Defence Readiness 2030”, il nuovo nome – più sobrio – del progetto RearmEU (marzo 2025), è esplicita: rafforzare rapidamente la capacità militare dell’UE, anche a costo di dirottare risorse da pensioni, sanità e welfare, come ha lasciato intendere il segretario generale della NATO, Mark Rutte.

Nel 2021, con il Fondo Europeo per la Difesa, per la prima volta il bilancio pluriennale 2021–2027 includeva una voce “Sicurezza e Difesa”, pari all’1,2% del budget UE. L’ebook “Economia a mano armata 2024” a cura di Futura D’Aprile (Sbilanciamoci) e il recente articolo di D’Aprile et al. (2025) ricostruiscono nel dettaglio come la Commissione sia diventata l’attore centrale del riarmo europeo, finanziando direttamente programmi e gestendo il Fondo europeo per la pace – in realtà un fondo “fuori bilancio” destinato soprattutto alla fornitura di armi all’Ucraina.

Tra il 2022 e il 2023, i fondi destinati ai programmi militari sono aumentati di sette e otto volte, raggiungendo 8,2 miliardi di euro. Nel marzo 2024 è arrivata la Strategia industriale di difesa europea (EDIS): una politica industriale del complesso militare-industriale europeo che punta a coordinare gli investimenti e a prevedere la possibilità di riconvertire la produzione civile in militare in tempi di crisi. Il programma collegato, EDIP (Programma industriale per la difesa europea), dispone di 1,5 miliardi di euro per il periodo 2025–2027.

Ma le risorse non bastano, lamentano a Bruxelles. Mentre si valuta il ricorso a debito comune sul modello del Next Generation EU, la Commissione ha iniziato a drenare fondi da altri capitoli di spesa. La revisione intermedia del Quadro finanziario 2021–2027 ha introdotto modifiche nei fondi strutturali:
– Il Fondo di sviluppo regionale (ERDF), il Fondo per la transizione giusta (JTF) e i Fondi di coesione sono stati adattati per finanziare progetti “dual use” (infrastrutture ad uso civile e di difesa) e di mobilità militare;
– Il Fondo sociale europeo (ESF+) può ora finanziare formazione e competenze legate alla difesa.

Il budget per “Sicurezza e Difesa”, inizialmente di 14,9 miliardi, è cresciuto del 10% con la revisione del 2025. La Commissione ha inoltre proposto maggiore flessibilità per gli Stati membri nel finanziare spese militari senza violare le regole europee. Il Consiglio Europeo, dal canto suo, ha spinto per modificare cinque programmi – Digital Europe, Horizon, EDF, Connecting Europe Facility e STEP (Piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa) – per favorire gli investimenti nel settore militare.

Per il bilancio 2028–2034, l’ambizione è ancora più alta: difesa e sicurezza diventeranno pilastri strategici di un’Europa “più forte e più autonoma”. L’industria del settore chiede già 100 miliardi di euro, e la Commissione valuta di riunire i fondi sotto un unico ombrello: il nuovo European Competitiveness Fund

La militarizzazione ha raggiunto anche la Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Un tempo esclusa dal finanziare la difesa, nel 2022 la BEI ha varato l’iniziativa SESI (Iniziativa strategica per la sicurezza europea) oggi dotata di circa 8 miliardi di euro. Nel 2024 è arrivata la Defence Equity Facility (DEF), con un investimento iniziale di 175 milioni: in pochi mesi sono stati eliminati i vincoli che obbligavano a finanziare solo progetti a uso civile.

Durante l’estate 2024, il Fondo Europeo per gli Investimenti (EIF) ha firmato un memorandum con il Fondo per l’innovazione della NATO, unendo risorse per sostenere l’industria europea della difesa.

Da ultima, per il momento, è arrivata la modifica di InvestEU, nato nel 2021 per favorire la ripresa post-Covid e la transizione verde e digitale. Questo strumento, finanziato con il bilancio europeo e gestito da BEI e Commissione Europea, funziona garantendo parte del capitale pubblico ai fondi privati, così da ridurre il rischio e stimolare nuovi investimenti. 

InvestEU poteva già investire in difesa. Tuttavia, negli ultimi mesi ha subito un’accelerazione significativa verso questa nuova priorità. A settembre 2025 ha fornito per la prima volta una garanzia a un fondo di credito privato, Sienna hephaistos private investments, che investe in imprese che producono armi. Con la garanzia pubblica, il fondo ha raccolto ulteriori somme da investitori istituzionali, quali fondi pensione, attirati dalla nuova convincente opportunità finanziaria.

Ma la vera trasformazione è avvenuta con un atto delegato della Commissione, trasmesso a fine agosto 2025 al Parlamento Europeo, con il quale si annunciava la modifica delle linee guida che limitavano sostanzialmente gli investimenti in difesa e sicurezza di InvestEU.

È necessario e urgente, si legge nella comunicazione, che InvestEU possa finanziare qualsiasi prodotto e tecnologia a uso prevalentemente militare, ma soprattutto, che possa finanziare imprese della difesa – e i loro fornitori –  anche in Paesi “associati” all’UE, categoria che la Commissione non ha definito con chiarezza e che potrebbe includere qualsiasi Paese terzo con accordi di cooperazione economica, finanziaria o di altro tipo. Il rischio è che imprese esterne all’UE possano beneficiare dei fondi europei con garanzia pubblica, senza alcuna trasparenza sui contratti, perché l’intermediario è un fondo privato.

Sorge immediata la domanda: Israele e Stati Uniti rientrano tra i Paesi associati? Nel dubbio, la Commissione ha previsto una deroga: se l’azienda non è collegata a un Paese associato, può comunque ricevere il finanziamento se un Paese membro fornisce una speciale garanzia. 

Il 23 ottobre 2025 una mozione del gruppo The Left, firmata da Pasquale Tridico (Movimento 5 Stelle), ha tentato di bloccare al Parlamento Europeo la modifica di InvestEU. Ma a Strasburgo la mozione è stata respinta: 401 voti contrari, 124 a favore, 41 astenuti. Per gli italiani presenti, oltre al Movimento 5 Stelle, hanno sostenuto la mozione Alleanza Verdi e Sinistra, Lega e il solo deputato Marco Tarquinio per il Partito Democratico. In generale, la divisione dei voti ricalca quella già vista su altre iniziative di militarizzazione dei programmi europei, con il gruppo dei Verdi (fatta eccezione per la componente italiana) e quello dei Socialisti e Democratici a fare da stampella alla maggioranza di destra nel progetto di militarizzazione dell’economia dell’UE, con Forza Italia (Popolari Europei) e Fratelli d’Italia (Conservatori e Riformisti Europei) in prima linea.

La modifica di InvestEU si ispira direttamente al White Paper della Commissione sulla cosiddetta Defence Readiness: rendere attrattivi per i capitali privati gli investimenti nel settore della difesa, garantendo profitti e coprendo i rischi con fondi pubblici.
In pratica, i soldi dei contribuenti europei servono a creare un mercato sicuro per gli investitori privati, un po’ come accadde durante la pandemia: il pubblico pagava, Big Pharma incassava. Ora lo schema si ripete con la difesa, ma con un attore in più oltre allo stato e ai produttori di armi: i grandi gestori di fondi globali come BlackRock che vedono nella militarizzazione dell’economia una nuova redditizia opportunità, in quella che sta diventando una bolla finanziaria gonfiata dal riarmo, come racconta Alessandro Volpi su Altreconomia.

La differenza, però, è sostanziale: i vaccini servivano per fermare una pandemia, le armi alimentano conflitti e per essere prodotte in scala a un certo punto devono essere usate. L’Unione Europea sembra comunque pronta a svolgere il suo compito di alfiere del capitalismo finanziario, e adesso anche guerrafondaio, made in USA.