Può darsi che la moneta europea tenga, oppure che scappino via i forti paesi del nord, oppure che ci sia un “tutti a casa” generale. Pochi giorni e si vedrà
“…in relazione alla situazione di grande incertezza cui si trovano di fronte i responsabili politici, essi devono essere preparati ad affrontare il peggio…” Ocse, novembre 2011
Premessa
Nell’articolo sulla crisi dell’euro apparso la scorsa settimana su questo stesso sito, veniva paventato un possibile crollo del sistema nell’arco di poco tempo. Tale previsione trova ora conferme sempre più autorevoli e l’orizzonte temporale entro il quale tutta la costruzione della moneta unica, in assenza di interventi politici decisi e adeguati, potrebbe essere messa in discussione viene ormai valutato in appena una decina di giorni. La data limite viene ora stimata essere il 9 dicembre, giorno in cui i leader europei si incontreranno per decidere il da farsi. In mancanza di un accordo convincente in tale occasione, l’euro andrebbe in pezzi.
Le novità più recenti
Cosa è intanto successo di nuovo negli ultimi sette giorni?
Oltre a essere aumentata la consapevolezza della possibile imminenza della tragedia, abbiamo assistito all’avanzare rapido del prosciugamento delle risorse finanziarie disponibili del sistema bancario europeo e alla minaccia di un contagio anche per le banche statunitensi, a nuove previsioni molto negative da parte dell’Ocse sui tassi di sviluppo dei vari paesi europei per il 2012, all’ipotesi, poi smentita, ma che sembra avere comunque una sua plausibilità, dell’intervento del Fondo Monetario Internazionale a favore dell’Italia e forse di altri paesi, alla conferma che il mercato dei titoli di stato dei paesi dell’eurozona non esiste in pratica più e infine al fatto che le grandi imprese internazionali stanno preparando dei piani per far fronte alla possibile rottura della moneta unica. Per altro verso, la stampa e alcuni responsabili politici prefigurano ipotesi di varia natura su come si potrebbe uscire dai guai e si parla in particolare di un piano Merkel-Sarkozy (forse anche con il contributo di Monti) in gestazione. Infine, aumenta il coro delle voci che ipotizzano l’uscita della Grecia dall’euro.
Per quanto riguarda il primo tema, apprendiamo intanto che le banche europee hanno visto in queste ultime settimane prosciugarsi tutte le loro precedenti forme di finanziamento a breve termine, dal mercato interbancario ai prestiti delle istituzioni finanziarie statunitensi. Anche i depositi dei clienti mostrano qua e là segni di cedimento. Resta aperto quasi soltanto il canale della Bce, che appare però limitato a prestiti con scadenza massima a un anno.
Su di un altro fronte, va considerato che gli istituti del nostro continente sono riusciti a collocare nel 2011 sul mercato proprie obbligazioni (Alloway, 2011) per un ammontare totale di 413 miliardi di dollari, contro i 654 di quelle che sono venute a scadenza nello stesso anno, con un saldo negativo, quindi, di 241 miliardi. Se si considerano peraltro nel conto anche i “covered bonds”, obbligazioni privilegiate rispetto ai debiti ordinari delle banche, la situazione migliora, ma non abbastanza e resta comunque un buco di circa 150 miliardi di euro. E bisogna tenere presente che intanto lo stesso sistema bancario è alle prese con la necessità di aumentare il livello dei mezzi propri in relazione ai nuovi parametri fissati dall’European Bank Authority, che vuole aumenti di capitale del sistema per circa 105 miliardi di euro entro il giugno 2012 e in applicazione delle direttive di Basilea 3; comunque, poi, nel 2012 dovrebbero venire a scadenza titoli per un importo ancora più elevato e pari a 720 miliardi di dollari (Alloway, 2011), di cui una buona fetta riguarderà le banche italiane. Infine, anche la riduzione in atto nei livelli di redditività degli istituti va considerata nel quadro.
Tutto questo sta tra l’altro portando, in maniera sempre più vistosa nelle ultime settimane, a una riduzione del livello dei crediti all’economia, in particolare al sistema delle piccole e medie imprese, cosa che non può non contribuire a una nuova ondata recessiva che sta già prendendo forma nel nostro continente.
Intanto le istituzioni finanziarie statunitensi registrano un’esposizione di 767 miliardi di dollari in forma di obbligazioni, derivati creditizi e altri tipi di garanzia, verso debitori pubblici e privati delle economie più deboli della zona euro (Thonas, 2011); esse sono molto preoccupate per tale livello di esposizione e cercano di ridurlo come possono.
Per quanto riguarda invece le stime più recenti dell’Ocse (Oecd, 2011), va rilevato che esse, che appaiono in generale piuttosto allarmate, prevedono un forte ridimensionamento dei tassi di crescita dell’economia per il 2012 rispetto alle previsioni precedenti. Così, per l’insieme dei paesi membri dell’organizzazione le ultime cifre parlano di un aumento del pil del 1,6% per l’anno prossimo contro una stima precedente del 2,3%, mentre per i paesi europei la previsione è ora dello 0,2% – siamo praticamente alla stagnazione –, contro quella precedente del 2,0%. Per l’Italia, poi, si parla di un -0,5%, mentre anche la valutazione sull’andamento futuro dei livelli di disoccupazione per il nostro paese appare in peggioramento. Ma l’organizzazione ipotizza risultati ben peggiori per tutti in caso di una rotta dell’euro.
In relazione poi al possibile intervento del Fondo Monetario Internazionale, si è parlato della mobilitazione di 600 miliardi di euro a tassi relativamente moderati (4-5%) a favore dell’Italia per permetterle di passare indenne almeno l’anno prossimo. Ma ci sembra che un’ipotesi di questo genere sia difficilmente sostenibile; non si capisce dove il Fondo potrebbe prendere risorse di tale importo, risorse che certamente oggi esso non possiede – la sua attuale dotazione viene stimata in poco più di 400 miliardi di dollari. Un’idea che sembra prendere in qualche modo corpo a questo riguardo è comunque quella di una qualche operazione di collegamento tra le risorse del Fondo Monetario e quello del fondo salva-stati. Per altro verso, per tenere a galla Italia, Spagna e qualche altro paese minore per i prossimi tre anni è stato calcolato che servirebbero sino a circa 2.000 miliardi di euro.
Le ipotesi in campo
Entro pochi giorni si potrebbe quindi assistere a un passo cruciale della crisi. Secondo quanto riferisce tra gli altri Davies, 2011, gli scenari possibili appaiono a questo punto in sostanza tre, sia pure con qualche variante.
Il primo e il più consolante fa riferimento al raggiungimento rapido di un accordo per un’unione “fiscale”, con la fissazione di parametri rigidi e molto impegnativi da osservare da parte dei paesi membri e con controlli severi e sanzioni adeguate per i trasgressori, secondo più o meno le indiscrezioni che trapelano da Berlino e da Parigi. L’accordo economico-finanziario sarebbe accompagnato da un limitato disegno per fare qualche passo in avanti anche sul fronte dell’unione politica. Si potrebbe, ad esempio, arrivare a un ministero delle finanze a livello di eurozona e/o all’elezione a suffragio diretto del presidente europeo, mentre si farebbe forse intravedere sullo sfondo una serie di misure più incisive.
A questo punto la Bce potrebbe sentirsi autorizzata a intervenire se non altro per estendere i prestiti al sistema bancario, oggi in grave difficoltà e allargarli sino a una scadenza di almeno tre anni, nonché per finanziare in qualche modo il fondo salva stati. Si potrebbe a questo punto varare un primo programma di eurobond, sotto forme tutte da definire, nonché trovare qualche forma specifica di intervento a favore in particolare di Italia e Spagna per i prossimi due-tre anni.
Su questa ipotesi gravano almeno due grandi incognite: i mercati si accontenteranno di tale scenario? E comunque, i politici dell’eurozona arriveranno a varare tale pacchetto minimo di misure? Si può, se non altro, esprimere qualche dubbio su ambedue i fronti.
Per altro verso, va ricordato che le misure difensive sul fronte finanziario andrebbero parallelamente accompagnate da un grande piano per lo sviluppo dell’area e in particolare da provvedimenti di sostegno per aumentare la competitività dei paesi del Sud Europa.
Una seconda ipotesi prevede invece che gli stati periferici abbandonino l’euro, con il ritorno alle monete nazionali; una terza, che siano invece i paesi forti a uscirne, con molte possibili varianti. Ad esempio, se sono gli stati del nord a lasciare, può anche darsi che quelli rimanenti poi si separino e tornino alle monete nazionali o che invece, cosa più improbabile, si mantenga l’euro come moneta comune.
Lasciamo da parte almeno per il momento per scaramanzia le conseguenze, in alcuni casi tragiche, almeno all’interno di alcuni dei paesi della zona euro, di tali ipotesi negative. Vorremmo in ogni caso non doverne parlare in un prossimo articolo.
Testi citati nell’articolo
Alloway T., Europe’s banks feel funding freeze, www.ft.com, 27 novembre 2011
Davies G., Thinking the unthinkable on a euro break-up, www.ft.com, 27 novembre 2011
Oecd, Economic Outlook, Parigi, novembre 2011
Thomas L. jr, Pressure keeps building for a solution to eurozone morass, International Herald Tribune, 28 novembre 2011