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The Nation: Bernie Sanders for President

Il senatore del Vermont ha chiamato a raccolta il popolo per fare una “rivoluzione politica”, per liberare la democrazia Usa dal controllo perverso dei banchieri di Wall Street. L’editoriale pubblicato da The Nation

Un anno fa, preoccupati dal fatto che comuni cittadini sarebbero stati esclusi dal processo di nomina presidenziale, The Nation sostenne che elezioni primarie fortemente competitive sarebbero state un bene per i candidati, per il Partito Democratico, e per la democrazia. Due mesi dopo, il senatore Bernie Sanders lanciò formalmente una campagna che ha trasformato la politica della corsa presidenziale del 2016.

Galvanizzati dalla sua richiesta di giustizia sociale ed economica, centinaia di migliaia di americani hanno riempito i suoi raduni, e oltre un milione di piccoli donatori hanno sostenuto la sua campagna, liberandosi dalla presa mortale dei contributi delle grandi imprese.

L’appello di Sanders per una riforma fondamentale — sistema sanitario pubblico, istruzione universitaria gratuita, uno stipendio minimo orario di 15$ all’ora, lo smantellamento delle grandi banche — ha stimolato i lavoratori di tutto il paese. La sua audace risposta alla crisi climatica ha attirato legioni di giovani elettori, mentre la sua politica estera, che enfatizza il ruolo della diplomazia durante il cambio di regime, parla in modo efficace ai cittadini stanchi della guerra. Ma ancora più importante è il fatto che Sanders ha usato la sua campagna per dire agli americani la verità sulle sfide che ci troviamo ad affrontare. Il senatore ha chiamato a raccolta il popolo per fare una “rivoluzione politica”, affermando che i cambiamenti di cui il nostro paese ha disperatamente bisogno possono verificarsi solo se riusciamo a liberare la nostra democrazia dal controllo perverso dei miliardari e banchieri di Wall Street.

Crediamo che una tale rivoluzione non sia solo possibile ma necessaria — ed è per questo che noi sosteniamo la candidatura di Bernie Sanders. Questa rivista raramente si espone alle primarie del Partito Democratico (lo abbiamo fatto solo due volte: per Jesse Jackson nel 1988, e per Barack Obama nel 2008). Ora lo facciamo, spinti dalla consapevolezza che il nostro sistema lavora “per i pochi” e non “per i molti”. Gli americani si stanno svegliando di fronte a questa realtà, e chiedono un cambiamento. Questa consapevolezza anima sia le primarie democratiche che quelle repubblicane, nonostante abbia portato le due competizioni in direzioni radicalmente opposte.

Alla base della crisi c’è la diseguaglianza, sia economica sia politica. Gli Stati Uniti sono diventati una plutocrazia — in cui, come afferma Sanders, “non solo abbiamo una grande diseguaglianza di reddito e di ricchezza, ma anche una struttura di potere che protegge questa diseguaglianza.” Il ceto medio americano è scomparso, mentre il divario tra ricchi e poveri ha raggiunto i livelli della Gilded Age. La ripresa che ha fatto seguito al collasso economico del 2008 non è stata condivisa. Infatti, di questi tempi negli Stati Uniti sembra che nulla sia condiviso — né la prosperità né la sicurezza, e nemmeno la responsabilità. Mentre milioni di americani sono alle prese con le conseguenze del catastrofico cambiamento climatico, le compagnie dei combustibili fossili alimentano lo scetticismo sul clima in modo da poter continuare a guadagnare dalla distruzione del pianeta. Mentre gli americani sono stufi della guerra senza fine, il complesso militare-industriale e i suoi sostenitori continuano a promuovere incauti interventi militari che hanno prosciugato il nostro paese, danneggiato la nostra reputazione all’estero, e creato una tempesta perfetta di spreco, frode e abuso al Pentagono. Mentre gli americani di qualsiasi orientamento ideologico riconoscono la necessità di una riforma del sistema penale, uomini, donne e bambini afro-americani continuano a essere uccisi per strada da agenti di polizia, e gli arresti di massa continuano senza tregua.

Gli americani sono stufi e stanno reagendo. Considerate separatamente, la lotta per i 15$, la questione della popolazione nera, il movimento per una giustizia climatica, il movimento per i diritti degli immigrati, la campagna per un’imposta sulle transazioni finanziarie, e il rinnovato impegno per un sistema sanitario pubblico potrebbero apparire come cause scollegate tra loro. Prese insieme tuttavia, esse formano un coro crescente di indignazione per un governo che esaudisce le richieste dei super-ricchi ma è incapace di soddisfare i bisogni dei molti. Tutte queste cause condividono una forte rabbia nei confronti di una politica preda di interessi speciali e ingenti somme di denaro, in cui la corruzione dilagante deride l’idea stessa di democrazia.

Questi movimenti che rivendicano una maggiore uguaglianza e giustizia hanno trovato in Bernie Sanders un alleato e promotore. In contrapposizione alle demagogie della destra che sfrutta queste crisi per fomentare divisione, il senatore del Vermont ha raggiunto una fiera tradizione democratica-socialista per rilanciare il semplice ma potente concetto di solidarietà.

Dobbiamo guardare all’altro e non imporci sull’altro, dice Sanders, e uniti cambiare la politica corrotta che ci toglie tutto quello che abbiamo. Il finanziamento della sua campagna riflette questo impegno, rifiutando il sostegno dei super-PACS e contando invece su milioni di donatori della società civile. Grazie all’integrità della sua campagna, Sanders è il solo che può unire i movimenti emergenti in tutto il paese in un’unica, pressante e incontrollabile richiesta di cambiamento sistemico a livello politico.

Per più di trent’anni, Bernie Sanders ha sfidato tutti i pronostici e ha sostenuto istanze e idee molto al di fuori della sempre più ristretta mappa politica del nostro paese. Come sindaco di Burlington, ha guidato la lotta per mantenere la riva del Lago Champlain aperta al pubblico e organizzato la riqualificazione sostenibile del centro della città, presentando sempre bilanci in pareggio. Come membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Sanders ha contribuito a organizzare il Congressional Progressive Caucus e ha assicurato il sostegno agli emendamenti per proteggere le pensioni ed espandere i centri di salute comunitari. Come membro del Senato americano, si è schierato fermamente contro gli abusi di sorveglianza, le guerre per scelta, la deregolamentazione delle banche e i salvataggi dei miliardari. La sua efficace presidenza del Comitato del Senato sugli affari dei veterani è stata riconosciuta sia dai repubblicani che dai democratici.

Nonostante crediamo che Sanders potrebbe essere un grande presidente, sappiamo comunque che il suo cammino verso la Casa Bianca rimane ripido. Al momento della stampa, il senatore compete per la vittoria in Iowa e nel New Hampshire e sta guadagnando terreno rispetto a Hillary Clinton che è la favorita nei sondaggi nazionali. Il suo messaggio economico-populista è stato accolto favorevolmente da molti progressisti e giovani elettori, ma deve ancora conquistare un sostegno profondo tra gli afro-americani, i latini, gli asiatico-americani che formano l’elettorato principale del Democratic Party.

La sua campagna è attenta alla necessità di costruire una coalizione più ampia, e Sanders rappresenta per i Democratici quel candidato che può davvero tradurre le parole in fatti: dimostrante per i diritti civili negli anni ’60, sempre pronto a sostenere la giustizia razziale, l’uguaglianza delle donne, i diritti LGBT. Sanders inoltre è un candidato che si è sempre mostrato disponibile ad ascoltare e imparare. Sfidato dagli attivisti dei diritti dei neri, Sander da allora ha delineato un programma coraggioso per costringere la polizia a render conto delle proprie azioni, ridurre gli arresti di massa, e riformare le discriminanti leggi sulla droga.

Gli elettori possono fidarsi di Sanders perché egli non deve la sua carriera politica ai grandi signori della finanza dello status quo. Liberato da queste catene di interesse speciale, egli può adottare le misure coraggiose di cui il paese ha bisogno. Sanders è il solo che propone di 1) smantellare le banche troppo grandi per fallire ( too-big-to-fail banks), 2) di investire nell’educazione pubblica, dal pre-K universale all’università pubblica gratuita, 3) contrastare il potere delle case farmaceutiche e delle imprese di assicurazione con riforme di assistenza sanitaria per tutti. Egli è il solo che ha proposto di conferire agli operai una retribuzione dignitosa. È il solo che è disposto a dare lavoro agli americani per ricostruire le nostre fatiscenti infrastrutture, e ad affrontare i cambiamenti climatici rendendo gli Stati Uniti leader nel settore delle energie rinnovabili. Il suo audace programma dimostra che i soldi in politica non allargano il dibattito, bensì restringono la gamma di possibilità. Sanders lo ha capito, ma temiamo che non sia chiaro per il suo principale avversario alle primarie democratiche.

Hillary Clinton è una candidata dotata di una straordinaria esperienza, intelligenza, determinazione e forza che ha saputo rispondere al populismo dei nostri tempi: contestando il tipo di accordi di libero commercio che Bill Clinton e Barack Obama hanno sempre sostenuto; richiedendo riforme per Wall Street e un aumento delle tasse per i ricchi; difendendo coraggiosamente la Planned Parenthood; sfidando la National Rifle Association; e sostenendo i sindacati. Se fosse eletta, sarebbe sicuramente meglio di tutti gli estremisti che si sono candidati alle primarie repubblicane (lo stesso vale per l’ex governatore del Maryland Martin O’Malley). Comprendiamo che è fondamentale tenere la presidenza lontana dalle mani della destra dei Repubblicani, specialmente quando il prossimo presidente rimodellerà la Corte Suprema. Non si può altresì negare che se fosse eletta, la Clinton distruggerebbe il fitto soffitto di vetro e sosterrebbe i diritti delle donne come nessun altro presidente farebbe.

Ma i limiti di una presidenza Clinton sono chiari. La sua presa di posizione in merito alla ricerca di una convergenza e di un compromesso pragmatico con i Repubblicani a Washington non porteranno a quel cambiamento di cui si avverte un così forte bisogno. La Clinton è aperta ad innalzare l’età pensionabile, piuttosto che ad aumentare i benefici totalmente inadeguati. Rigetta il sistema sanitario universale e si rifiuta di considerare l’idea di smantellare le grandi banche. Inoltre temiamo che potrebbe accettare un “grande accordo” in materia di bilancio con i Repubblicani che porterebbe austerità per i prossimi decenni.

In politica estera, la Clinton è indubbiamente esperta, tuttavia la sua esperienza non le ha impedito di commettere degli errori. Ora riconosce che è stato sbagliato nel 2002 dare il suo voto per autorizzare George W. Bush a invadere l’Iraq, ma apparentemente non ha appreso la lezione. La Clinton è stata una delle principali sostenitrici del rovesciamento di Moammar El-Gadhafi in Libia, che ha lasciato dietro di sé uno stato fallito, divenuto una base alternativa per l’Isis. Ha appoggiato l’intervento degli Stati Uniti per rimuovere Bashar al-Assad in Siria, una strategia che non ha fatto altro che alimentare una guerra civile orribile. Ora la Clinton sostiene lo scontro con la Russia in Siria chiedendo una no-fly zone. Si è mostrata favorevole all’accordo nucleare del Presidente Obama con l’Iran ma poi ha esplicitamente rifiutato rapporti migliori con quel paese, sostenendo invece i bellicosi impegni per fornire a Israele ancora più armi. Se eletta, la Clinton sarà un’altra “presidente guerriera” in tempi in cui l’America ha disperatamente bisogno di pace.

L’approccio di Sanders è diverso e migliore. Il senatore non ha parlato tanto quanto vorremmo riguardo le opportunità e le sfide globali, e noi lo sollecitiamo a focalizzarsi di più sulla politica estera. Ma ciò che ha detto (e fatto) ci inspira fiducia. Oppositore della guerra in Iraq fin dall’inizio, ha criticato l’idea di “cambiamento di regime” e la presunzione che l’America da sola deve controllare il mondo. Sanders rifiuta una nuova guerra fredda con la Russia, sostiene l’accordo sugli armamenti nucleari con l’Iran e dedicherebbe nuove energie per smantellare arsenali nucleari e inseguire la non proliferazione. Inoltre, è da tempo sostenitore della distensione dei rapporti con Cuba e della reintroduzione di una politica di buon vicinato nell’emisfero. La politica estera di Sanders creerebbe anche le condizioni per ricostruire nel nostro paese una prosperità largamente condivisa. Il senatore guiderebbe un’iniziativa internazionale per porre fine all’opprimente austerità che minaccia di creare un’altra recessione globale, e sosterrebbe un New Deal verde per contrastare i cambiamenti climatici. Infine, come leader dell’opposizione al TPP, cancellerebbe il corporate trade regime che ha devastato il ceto medio americano.

Gli oppositori di Bernie Sanders lo dipingono come un idealista (lo è!) di una crociata donchisciottesca. Intanto, i corporate media hanno vergognosamente prestato poca attenzione ai successi della sua campagna, concentrandosi principalmente sulle ultime scandalose dichiarazioni rilasciate da Donald Trump e dai candidati repubblicani che concorrono con lui alle primarie. Nonostante ciò, i sondaggi mostrano che Sanders è pronto a sfidare l‘eventuale candidato conservatore, ottenendo spesso risultati migliori rispetto alla Clinton in questi accoppiamenti. Inoltre, contrariamente alla modesta platea di persone presenti alle tappe della campagna della Clinton, le immense folle ai raduni popolari di Sanders suggeriscono che il senatore riuscirà a incoraggiare l’affluenza alle urne a Novembre.

Resta da vedere se la sua candidatura scatenerà una “rivoluzione politica” tale da fargli vincere le primarie e poi la presidenza degli Stati Uniti. Sappiamo che la sua corsa ha già creato lo spazio per un movimento progressista più forte e ha dimostrato che un tipo diverso di politica è possibile. Questa è una rivoluzione che dovrebbe proseguire a lungo, a prescindere da chi vince le elezioni.

Bernie Sanders e i suoi sostenitori stanno indirizzando la storia verso la giustizia. La loro è una rivolta, una possibilità, e un sogno che noi orgogliosamente sosteniamo.

Il testo è stato pubblicato da The Nation il 14 gennaio 2016. Leggi qui la versione originale dell’articolo

(Traduzione di Victor Murrugarra)