Il positivo risultato del collocamento del nuovo Btp Italia indica l’opportunità di intraprendere, ora, scelte ancora più coraggiose: un’emissione a breve scadenza e tasso zero, concentrando la premialità sui rinnovi alla scadenza per gli investitori che non avranno collocato i titoli sul mercato secondario.
Con l’emissione del nuovo Btp Italia a 5 anni, collocato per 22,3 miliardi a fronte di una richiesta record di 33,5 miliardi, si è avuta conferma delle indiscrezioni secondo cui il Tesoro starebbe tastando il terreno per uno o più prestiti nazionali per la ricostruzione: qualcosa corrispondente al “dovremo farcela da soli” che si è sentito pronunciare dal Presidente del Consiglio come alternativa a un insuccesso, tutt’altro che improbabile, dell’operazione franco-tedesca, fortemente sollecitata dal nostro governo, di un Recovery Fund. Che potremmo meglio tradure nel “fare la nostra parte”.
Si starebbe dunque facendo strada per davvero l’idea che questo possa essere il momento adatto per un appello al “patriottismo” e che si possa così avverare il sogno da sempre accarezzato dai nostri governanti di fare incontrare le due anomalie (rispetto al resto d’Europa) del nostro paese: il primato del debito pubblico con il primato del risparmio privato, come avevamo segnalato in un nostro precedente intervento ospitato in questa sede.
Il richiamo all’amor di patria ha subito trovato eco nella propaganda della destra nazionalista, senza che fosse accompagnato da una pur minima indicazione concreta. Tra gli “addetti ai lavori” tuttavia le ipotesi operative non mancano: quelle che circolano con più insistenza ruotano un po’ tutte attorno all’idea di attirare i risparmiatori con condizioni più remunerative di quelle offerte sul mercato per le scadenze temporali più lontane, fino all’ipotesi limite della perpetuity, un prestito di cui si paghino solo gli interessi senza che il capitale venga mai rimborsato (con i rischi connessi, ben evidenziati da Mauro Gallegati in un suo recente intervento su questo sito).
Per il nuovo BtP si è invece scelto di proporre una scadenza più ravvicinata (5 anni) dei classici Buoni Poliennali, con un tasso quindi meno oneroso (1,4% lordo, cedola semestrale) ma reso accattivante con la copertura totale dall’inflazione e con un premio finale, come le norme vigenti consentono di fare, pari all’8 per mille del capitale investito per la “fedeltà” degli investitori “pazienti” che resistendo alla tentazione di realizzare sul mercato secondario li conservano fino alla scadenza.
C’è stato subito chi, come Bloomberg, si è affrettato a fare propaganda al MES calcolando un onere presumibile nel quinquennio di 1,45 miliardi contro i 110 milioni che l’importo collocato costerebbe al tasso dello 0,1% del MES: calcolo che ovviamente salta a pie’ pari la questione delle condizionalità. Resta però da dire che se si trattasse di un assaggio di quella che sarà la linea delle prossime emissioni, il tema degli oneri si porrebbe in primo piano.
Se però il Tesoro avesse voluto, più saggiamente a nostro avviso, sondare il mercato avendo in serbo anche altre ipotesi più coraggiose, allora ci sentiamo di tornare a invitare, proprio alla luce della “prova del nove” che questa emissione ha rappresentato, a una riflessione attorno all’idea di andare con coraggio nella direzione opposta. Anziché guadagnarsi la fiducia degli investitori a suon di agevolazioni, con i rischi connessi, proporre un piano in più step assumendo l’impegno di dar conto nel tempo della sua attuazione: un’emissione a breve scadenza (un anno) a tasso zero, paragonabile a quelle delle ultime emissioni a breve e certamente più conveniente rispetto ai tassi negativi della BCE e dei Bund, concentrando la premialità sui rinnovi alla scadenza per gli investitori che non avranno collocato nel frattempo i titoli sul mercato secondario.
In questa linea di ragionamento, il premio alla scadenza annuale potrebbe essere ben inferiore all’1,4% (che ora è per di più su cedole semestrali) ma pur sempre superiore rispetto ai tassi di mercato a breve. Se fosse messo in chiaro con la clientela che quelle condizioni sarebbero concesse agli investitori fedeli per i successivi rinnovi (tra un minimo di 5 e un massimo di 10) ma praticate una tantum e mai più ripetute per nuove emissioni di durata analoga, si scoraggerebbe l’attendismo e l’opportunismo, che potrebbero deprimere la domanda, sia retail che istituzionale. Così come non andrebbe trascurata qualche semplificazione nella procedura di accreditamento degli investitori retail residenti all’estero che indicassero come destinazione finale un conto vincolato sul territorio nazionale.
È vero in definitiva quanto osserva Francesco Lenzi su il Fatto, che se si vuole evitare che gli investitori optino per una strategia di “attesa della prossima emissione a condizioni sempre più vantaggiose” occorre che “gli italiani continuino ad aver fiducia nell’affidabilità dello Stato, e che lo Stato faccia tutto quello che serve, anche di più, per meritarsi questa fiducia.” Che quindi il governo dia prova di essere in grado, innanzi tutto, di formulare quel programma di azione, convincente e credibile, di cui finora si è avvertita la mancanza. E che, nel tempo, si dimostri in grado di portarlo avanti.
Non si dica che immaginiamo una missione impossibile: se lo è davvero, non c’è strategia finanziaria in grado di risolvere il problema del debito senza scaricare un onere insostenibile sulle spalle delle future generazioni. A meno di non prendere sul serio la favola del Campo dei miracoli (e il Gatto e la Volpe). Ma sull’economia “reale” e sul da farsi, Sbilanciamoci! ha il merito di aver aperto un dibattito a cui torneremo a offrire volentieri il nostro contributo.
* Rita Castellani, Università di Perugia.
** Giovanni Principe, già ISAE, ISFOL.
Gli autori ringraziano Ruggero Paladini per i preziosi suggerimenti.