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L’Europa al bivio e le scelte decisive per l’Italia

In questi giorni si gioca una partita cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Unione Europea. Una rassegna del dibattito in corso e delle possibili soluzioni in campo. E una proposta: un piano nazionale di raccolta sul mercato interno con un’emissione straordinaria di titoli a breve scadenza e tasso zero.

Nonostante il pronunciamento del Parlamento Europeo, resta incerto se l’Italia riuscirà a far passare una soluzione per azzerare il differenziale di rischio che il mercato attribuisce al suo debito. L’Europa continua a non avere un assetto federale e questo rende l’impresa che ci attende oltremodo ardua. La proposta in campo è quella di Eurobond, più o meno diversamente definiti, usando l’argomento dell’emergenza Covid-19 per vincere le resistenze dei paesi del rigore. La politica del rinvio, cui siamo purtroppo abituati, rischia di protrarre oltre la data fissata per il Consiglio Europeo lo stato di incertezza, con i danni che comporta. Non è dunque tempo perso ragionare su un ventaglio di soluzioni.

Una soluzione potenzialmente compatibile con l’assetto attuale dell’Europa intergovernativa viene prospettata da Massimo Amato, con l’emissione di un titolo che minimizzi il rischio di debito in quanto “asset davvero safe”, evitando sia di far ricadere il peso sui più deboli, come avverrebbe con il MES, per quanto siano alleggerite le condizionalità, sia di dare vita a quella mutualizzazione incontrollata, che temono i paesi contrari agli eurobond. Si darebbe vita a una debt agency per immettere sul mercato un bond comune ottenendo la liquidità necessaria per costruire un portafoglio di debiti pubblici da finanziare su un orizzonte infinito così da trasformarli di fatto in una perpetuity, portando per ogni Stato le rate annuali in linea con il suo rischio fondamentale. Per l’Italia, al rating BBB attuale, si passerebbe da una spesa per interessi di circa 70 miliardi a una di poco superiore ai 25 miliardi; per la Germania si tratterebbe di pagare un tasso prossimo allo zero.

La soluzione appare interessante, anche perché contribuirebbe a risolvere il persistente controsenso dei tassi di interesse negativi, che comincia a impensierire il sistema pensionistico e assicurativo tedesco: saprà farsi strada nel consesso dei capi di governo europei fino a produrre una volontà politica comune? Non sono autorizzate eccessive illusioni, ma neanche si possono deporre le armi senza combattere.

Un’altra proposta animata dallo stesso intento, avanzata da più parti e ultimamente lanciata in forma di appello da 101 economisti ipotizza il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca Centrale Europea (Bce), come largamente praticato dalle maggiori banche centrali. I Trattati europei non consentirebbero questo tipo di intervento alla Bce, ma è già avvenuto che la stessa Bce sia andata in questa direzione con il lancio del programma Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), con il quale è stato rimosso il limite di 750 miliardi per il nuovo Quantitative Easing e si è estesa notevolmente la gamma di titoli acquistabili, senza dover rispettare il limite del 33% per i titoli di Stato e del 50% per le emissioni sovranazionali (quest’ultima misura appare come un’apertura di fatto alla emissione di Eurobond).

Soprattutto, si è superato il criterio per cui gli acquisti dovevano avvenire in proporzione alle quote di partecipazione alla Bce: l’Italia ne ha perciò beneficiato più degli altri paesi, tanto che si è arrivati a ipotizzare che buona parte delle emissioni in programma potrà essere acquistato dalla Bce fino a coprire un fabbisogno extra per l’emergenza stimato fra 121 e 158 miliardi. Tuttavia, questo sarà sufficiente ad abbattere il costo del debito italiano, prevenendo un’impennata dello spread? Rispetto all’impennata di metà marzo (di nuovo quota 300) la discesa attorno a 170 in corrispondenza di queste mosse della Bce era sembrata incoraggiante, ma con il passare dei giorni la discesa si è fermata e si è tornati sopra i 200, confermando una volatilità dei mercati che possiamo ritenere riducibile solo con misure, magari inizialmente contenute, ma assolutamente leggibili dal mercato come indicative di una diversa volontà politica comune.

A fronte di queste difficoltà non manca, neanche a sinistra, chi, come Stefano Fassina, sempre nell’intento di sottrarsi alla logica del MES, vorrebbe affidare alla Bce il compito di sterilizzare (perpetuity) sia i titoli di Stato già acquistati dalle banche centrali nazionali nell’ambito del Quantitative Easing (per l’Italia quasi 400 miliardi), sia quelli da acquistare nella fase di emergenza sanitaria e ricostruzione economica e sociale. Stampare moneta, insomma: europea, se possibile, ma senza escludere l’eventualità di un “Italexit” per stamparsela in proprio. Naturalmente, è appena il caso di ricordare l’irreversibilità di una tale operazione; e che i suoi esiti complessivi, nell’attuale contesto di crescente incertezza, sono davvero poco prevedibili.

È però il caso di verificare se una soluzione alternativa, del “farcela da soli” senza comportare sconvolgimenti definitivi dell’assetto istituzionale europeo, possa avere qualche consistenza o non sia un bluff da pokeristi “polli” destinati a lasciarci le penne. Quella che andrebbe scandagliata più a fondo è la realizzabilità di un’operazione spesso evocata (sulla carta una elementare somma algebrica, ma all’atto pratico una sorta di ricerca della pietra filosofale): fare incontrare le due anomalie (rispetto al resto d’Europa) del nostro paese, il primato del debito pubblico con il primato del risparmio privato.

Qualche segnale recente farebbe pensare che questo sia il momento adatto per un appello al “patriottismo”, visto che le banche italiane a marzo, grazie anche ai prestiti a tasso negativo della Bce, hanno impiegato oltre confine 57 miliardi di euro, in parte per l’acquisto di titoli di Stato nazionali da venditori esteri, e in parte, naturalmente, per l’acquisto di safe asset (come i bund tedeschi) al fine di ribilanciare il portafoglio. Questa nazionalizzazione del debito sovrano, tuttavia, rischia di neutralizzare l’intento della Bce di immettere liquidità là dove ce n’è più bisogno, dirottandola invece, ancora una volta, verso la Germania. Non è dunque questo il tipo di “solidarietà nazionale” più utile al Paese.

A tal proposito, filtrano indiscrezioni secondo cui il Tesoro avrebbe allo studio l’idea di uno o più prestiti nazionali per la ricostruzione; su un’ipotesi di questo genere sembrano convergere, da opposte sponde, le opinioni di Giulio Tremonti (che l’ha ventilata di recente) e di Romano Prodi, intervenuto a sostegno. Nella versione di Tremonti la proposta prevede che l’emissione abbia una scadenza lunghissima (perpetuity, di nuovo) “con rendimenti moderati, ma sicuri e fissi” e una serie di altri incentivi (condoni urbanistici, rientro agevolato di capitali dall’estero, esenzione fiscale “presente e futura”).

Si riaffaccia qui il vecchio vizio di voler considerare i benefit connessi al titolo come estranei al suo rendimento: ma non è così, almeno dal punto di vista di chi paga rendimenti e benefit. Una soluzione di questo tipo avrebbe, forse, qualche vantaggio contabile per connotarsi come “titoli di rendita”, piuttosto che come debito; ma dal punto di vista della spesa corrente, andrebbe ad accrescere quella per interessi e servizi connessi. Resta l’incognita di come il mercato considererebbe poi questi titoli: perché un conto è che un titolo irredimibile (perpetuity) sia emesso da un’agenzia europea, come nell’ipotesi Amato, dove opportuni meccanismi di compensazione sono applicati dall’agenzia stessa; altro conto è lasciare al mercato giudicare la credibilità di uno Stato su una scommessa del genere che, poi, potremmo anche non essere gli unici a giocare.

La via alternativa che qui si prospetta, nell’ipotesi, come si è detto, di dover “fare da soli” a fronte di una perdurante irresolutezza europea, è di saggiare la possibilità di andare in direzione esattamente opposta. Anziché un appello “sulla fiducia” che, in definitiva, dovrebbe guadagnarsi la necessaria benevolenza a suon di agevolazioni, con i rischi connessi, lo Stato potrebbe proporre un piano in più step progressivi ai risparmiatori, privati e istituzionali, assumendosi l’onere di dar conto nel tempo della sua attuazione. Come? Con un’emissione straordinaria di titoli a breve scadenza (un anno) a tasso zero, con condizioni di rinnovo privilegiate per chi rinuncia a collocarli nel mercato secondario (mantenendo il codice ISIN “speciale” secondo le regole vigenti); verificando la praticabilità tecnica del ricorso, per un’emissione a tasso predeterminato e quantità definita all’esito, del sistema MOT, sulla piattaforma di Borsa Italiana. La brevità della scadenza abbatte il rischio e non rende improponibile un tasso zero, che in ogni caso è più alto di quello negativo dei bund, o, per le banche, di quello, sempre negativo, sui depositi in Bce.

Nella prima fase del collocamento si chiederà ai privati (persone fisiche e soggetti al dettaglio) un atto di fiducia, ragionata, sul futuro del paese. Così come si potrebbe – se non appare scandaloso in confronto a recenti provvedimenti – consentire a non residenti di esservi ammessi anche in mancanza dell’attestazione richiesta all’intermediario estero, a condizione che il rimborso alla scadenza sia destinato a conti di deposito vincolati presso soggetti nazionali.

Per la parte del fabbisogno che non sarà coperta dagli ordini di acquisto della prima fase, saranno poi chiamati in causa i soggetti istituzionali, con in testa quelli a totale o prevalente capitale pubblico. Ci si aspetta che lo Stato torni a esercitare il suo ruolo primario rispetto al mercato, con un piano di raccolta che punti a rendere disponibili tutte le risorse che servono per il rilancio economico. E qui, naturalmente, sta la vera sfida: sulla capacità di avanzare un insieme di proposte convincenti, che sostengano una crescita del Pil più alta di quella del debito.

* Rita Castellani, Università di Perugia
** Giovanni Principe, già ISAE, ISFOL