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Social Justice Index, l’Italia agli ultimi posti

Povertà, educazione, mercato del lavoro e equità intergenerazionale. Nel rapporto elaborato dalla Bertelsmann Stiftung emerge come il Belpaese si trovi agli ultimi posti rispetto alla media europea. Ma le proposte della Bertelsmann riproducono gli stessi meccanismi che hanno determinato le diseguaglianze


Quest’anno la pubblicazione del Social Justice in the EU. Index Report 2017, curato da Daniel Schtraad-Tischer e Christof Schiller, è avvenuta il giorno prima del vertice di Goteborg, dove si è discusso del Pilastro sociale europeo. Nel rapporto elaborato dalla Bertelsmann Stiftung – un think tank legato alla Bertelsmann GA, colosso mondiale dell’informazione – si plaude alla proposta della Commissione di istituire un Pilastro sociale europeo, sostenendo che, assieme al rapporto stesso, il pilastro potrebbe fungere da guida per permettere ai governi di affrontare i problemi sociali dei rispettivi paesi. Il Pilastro sociale europeo dovrebbe essere basato su pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque e inclusione sociale. Tra le principali proposte c’è il salario minimo in ogni paese dell’Unione Europea, a cui Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe (l’associazione delle imprese europee), si è subito detta contraria sentenziando che “Non è con nuovi interventi legislativi a livello europee che si possono creare nuovi posti di lavoro”. Al contrario, la Confederazione europea dei sindacati (ETUC), pur nell’attesa di vedere come verrà messa effettivamente in pratica, ha accolto positivamente la proposta.

Da sinistra invece, se Gabi Zimmer del GUE critica il fatto che siano solo proclami non vincolanti, John Weeks, professore di economia alla SOAS su Social Europe, contesta la compatibilità tra Fiscal Compact e i diritti sociali che il Pilastro vorrebbe sancire. L’europarlamentare Zimmer chiede che venga introdotto un protocollo per il progresso sociale nei trattati, imponendo che la tutela dei diritti sociali prevalga sulla libertà del mercato, un reddito minimo e un salario minimo europei e garantendo buone pensioni eistituendo un vero budget europeo per finanziare investimenti pubblici.
Richieste che sembrano più che legittime se si guarda alla fotografia sull’Europa dell’austerity scattata dal Social Justice in the EU. Index Report 2017. I ricercatori della Bertelsmann rilevano sì una lieve ripresa dopo i duri anni della crisi e dell’austerità, ma allo stesso tempo notano che il gap tra paesi del Sud e del Nord è rimasto ampio. Il tasso di disoccupazione europeo nel 2011 era all’11% ma nel 2016 è ancora all’8,7 (contro il 7% del 2008). L’Italia resta comunque il fanalino di coda rispetto a NEET (giovani non inseriti né in percorsi di formazione né di lavoro) con il 19,9%, contro una media della UE dell’11,5%. Le persone a rischio povertà e esclusione sociale sono il 35,6% in Grecia, il 27,9% in Spagna e il 28,7% in Italia. Nel 2016 il tasso di disoccupazione giovanile italiano risulta essere ancora al 37,8%, contro il 7,1% tedesco e il 47,3% greco. Mentre nel 2008, i tassi di disoccupazione erano, rispettivamente, del 20,4%, 11,9% e 22,7%.

Nel rapporto si dice che l’Italia si trova tra gli ultimi dieci paesi in tutte e sei le dimensioni dell’indicatore che riguarda: 1) prevenzione della povertà, 2) accesso all’educazione, 3) mercato del lavoro, 4) coesione sociale e non-discriminazione, 5) salute e 6) equità intergenerazionale. Secondo il Social Justice Index, l’Italia, sui 28 paesi della UE, è al 25° posto, con 4,84 punti seguita solo da Bulgaria, Romania e Grecia, contro una media europea di 5.85 punti. Al primo posto si trova la Danimarca (7.39), seguita da Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca e Slovenia (6.74 punti).
Solo rispetto alla sanità l’Italia fa meno peggio: seppur collocandosi sotto la media europea, l’Italia si trova al 19° posto nella UE. Infatti il 7,2% degli italiani sostiene di non riuscire ad accedere alle cure mediche a causa del costo, della distanza o dei tempi di attesa troppo lunghi. E non a caso la Euro Health Consumer Index (EHCI) sostiene che i servizi e le prestazioni mediche pubbliche siano peggiorate dal 2008. Questo si riflette – in maniera quanto mai beffarda alla luce della rottura del tavolo con il Governo sull’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita – in un peggioramento delle aspettative di vite senza limitazioni nelle funzioni e senza disabilità a 62,7 anni, mentre nel 2006 erano 64,7.
Rispetto alla giustizia intergenerazionale, che include elementi come la politica pensionistica e il debito pubblico, siamo 26esimi. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono definiti come troppo bassi (1,3% del PIL nel 2015, contro la media UE del 2%). Rispetto alla tutela dell’ambiente, il rapporto registra un miglioramento nell’utilizzo delle energie rinnovabili, ma al contempo mette in luce come l’Italia abbia uno dei tassi di motorizzazione più alti del mondo, a fronte di una rete di trasporti pubblici per le tratte urbane e extraurbane debole.

Se sull’impietosa descrizione dello stato di cose non si può che essere d’accordo (a parte sull’insistenza in merito al debito pubblico alla quale non fa seguito alcuna analisi sul peso degli interessi), è sulle proposte che urge dissentire. Rispetto alla prevenzione della povertà, oltre ad affermare giustamente la necessità di maggiori stanziamenti per l’Istruzione, si sostiene che sia necessario assicurare l’eguaglianza di opportunità nell’accesso al mercato del lavoro. Ma al di là del condivisibile proclamo generico, i ricercatori, citando un altro rapporto della Bertelsmann, il Sustainable Governance Indicators Report (SGI), elogiano il Jobs Act con il suo milione di posti di lavoro ( omettendo che la metà sia a termine). Il SGI Report è il rapporto che dal 2009 la Bertelsmann Stiftung cura al fine di indicare a 41 governi dei paesi OCSE e della UE le riforme da compiere per migliorare la democrazia e la governance.
Ma confrontando i rapporti su Italia e Grecia, mentre si trovano valutazioni positive sulle politiche economiche, del lavoro e fiscali del governo Renzi, si boccia Tsipras su tutti i fronti. Rispetto all’Italia i ricercatori evitano di citare l’abolizione dell’IMU sulla prima casa, mentre sulla Grecia riescono addirittura a dire che: “La ragione principale per cui la situazione lavorativa non è ancora migliorata sta nella riluttanza del governo ad attuare misure che facilitino la creazione di posti di lavoro nel settore privato”.

E infatti a Tsipras, nella nota introduttiva del rapporto SGI sulla Grecia, è richiesto di andare più a fondo con le riforme strutturali, responsabilizzando lui- e non i diktat della Troika – dei valori anemici dell’occupazione. In sostanza, alla povertà e alle disuguaglianza prodotte dall’attuale modello economico, si risponde chiedendo più riforme strutturali dello stesso segno di quelle attuate in tutt’Europa nell’ultimo decennio.