La debole ripresa registrata nei paesi della periferia è davvero dovuta alla massiccia dose di austerity somministrata, come vorrebbero alcuni commentatori?
Ci risiamo. Nonostante in molti ora dicano di essere “contro” l’austerità (ma è solo maquillage, un effetto della campagna elettorale), in realtà il mantra della Commissione Europea (CE) nessuno ancora lo ha messo in discussione nei fatti e nelle politiche. E il pensiero dominante insiste, insidioso, a martellare. E noi dobbiamo continuare a denunciarlo, senza dargli tregua.
Austerità, coraggio e fondi della Troika il mix virtuoso che ha salvato la “periferia”. Questo il titolo dell’articolo di Federico Fubini su Affari e finanza di Repubblica del 6 maggio, che così comincia: “E se l’austerità funzionasse? Molti indizi in serie in teoria dovrebbero equivalere a una prova.” L’articolo parla dei paesi dell’Europa del Sud – Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, con l’aggiunta dell’Irlanda, che preferisco chiamare GIPSI, piuttosto che l’orribile PIIGS – per dire che: “La novità di questi mesi è che i Paesi che hanno sperimentato la cura tedesca – quella vera, non il surrogato fatto di aumenti delle tasse – stanno dando segnali di trasformazione. Spagna, Portogallo, Irlanda e in parte persino la Grecia, sembrano diversi e più capaci di camminare sulle proprie gambe rispetto anche solo a 10 mesi fa.“
A parte il mix di certi luoghi comuni non spiegati – quale sarebbe la cura tedesca “vera”? Ma non sono loro che hanno milioni di mini-jobs? E quale sarebbe il legame tra austerità e aumenti delle tasse? – , il punto dell’articolo è che siccome in questi paesi si osserva un minimo di “ripresa” (aumento dell’export, debole aumento del PIL, una certa diminuzione della disoccupazione), allora il merito va dato alle politiche di austerità. Quali politiche in particolare? Le politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro, benedette!
È importante denunciare quanto sia ingannevole questo modo di ragionare. Le politiche di austerità propugnate in particolare dalla CE sono state in particolare di due tipi: flessibilizzazione del mercato del lavoro e riduzione della spesa pubblica per contenere il deficit e ridurre il debito pubblico. I due tipi di politiche, insieme, avrebbero dovuto portare ad un maggiore dinamismo sul mercato del lavoro (in quanto più “liberalizzato”) e ad un minore impatto del debito sul mercato finanziario. Ma, come ha più volte sostenuto Krugman, una politica restrittiva resta una politica restrittiva, comunque la si rigiri, che può portare solo ad una diminuzione della domanda e del prodotto lordo, non ad un aumento. Ma allora, se un aumento c’è stato, è stato esso dovuto alle politiche di austerità? Dal lato del mercato del lavoro forse.
Il caso della Spagna è esemplare: una “riforma” del mercato del lavoro tra le più conservatrici degli ultimi decenni – da rievocare la foga reazionaria delle Maggie Thatcher – tale da infrangere addirittura le regole dell’ILO, che ha portato a due effetti concomitanti: aumento della quota di lavoro part-time e aumento della quota di lavoro temporaneo. Questo ha fatto diminuire la disoccupazione! Come si dice, “bad jobs are driving out good jobs” dal mercato del lavoro (e questo è il bel risultato, la flexploitation). Ma questo non interessa chi guarda all’economia con quegli occhiali: l’importante è (dire) che l’austerità funzioni. E il “coraggio” consisterebbe in questo: sfidare sindacati e forze sociale a rompere il contratto sociale e introdurre maggiore flexploitation. (anche il nostro presidente del consiglio e il suo ministro del lavoro stanno cercando di avere quel “coraggio”).
Lo stesso Fubini torna il giorno dopo sostenendo che “Va meglio di noi anche l’euro-periferia: Spagna e Grecia corrono il doppio“. Guardare ai dati sul PIL o le esportazioni è senz’altro importante. Ma se l’economia si “riprende” non è a causa dell’austerità. Le esportazioni crescono per due fattori di fondo: maggiore domanda e minori prezzi anche se, certo, nel lungo periodo c’è anche il fattore “qualità”. Se sulla domanda non ci si può fare molto, è sui prezzi che evidentemente si può agire. E qui torniamo al punto: un mercato del lavoro più “flessibile” è un mercato del lavoro che sfrutta meglio e di più i lavoratori che, come corollario, vengono a costare meno e consentono così la diminuzione dei prezzi (e l’aumento della produzione e del PIL). Grande merito dell’austerità! Abbiamo dato ai mercati del lavoro più flexploitation, veniamo ripagati con più PIL e esportazioni. (1)
E i salari? E i redditi? E che dire di quegli indicatori di equità e coesione sociale come povertà, diseguaglianza e compagnia bella? I cosiddetti “costi sociali” dell’austerità: quelli non contano, quelli non fanno titolo, se non come un “male” (una malattia sociale), e non fanno macroeconomia. [Ci sono anche economisti che sono arrivati a dire che l’austerità è buona perché nonostante il minor prodotto si lavora meno e quindi si ha più tempo libero!] (2)
I GIPSI sono tra i paesi che hanno pagato di più non solo la cosiddetta crisi, ora entrata nel suo sesto anno, ma le politiche di austerità che la CE ha propugnato e che la “troika”, quando chiamata, ha imposto. Forse anche l’Italia doveva ricorrere alla “troika”, si dice, invece che fare da sola e procedere ad inutili manovre che però non hanno agito a fondo come quelle degli altri GIPSI.
Della diseguaglianza se ne parla ormai come di un problema ricorrente, quasi non fa più notizia. Ultimo in ordine di tempo, l’importante libro di Thomas Piketty (3) e il dibattito che ha sollevato. Periodicamente l’OCSE e Eurostat ci informano che la diseguaglianza è in aumento, è grave, non si vedono segni di una sua diminuzione e che ha conseguenze terribili. Eppure non si fa nulla (o molto poco). Si tollera, come si tollera la povertà. Come se fosse ineluttabile, perché in effetti è intimamente connaturata al modo di funzionare del sistema capitalistico. (4)
Anche il Censis del buon De Rita se ne è accorto e titola “Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l’Italia”, aggiungendo che “i 10 uomini più ricchi del Paese hanno un patrimonio pari a quello di 500mila famiglie operaie messe insieme.” (5) L’austerità uccide, letteralmente (il numero dei morti dovuto a sistemi sanitari meno egualitari è in aumento), titola un libro di Stuckler e Basu, due studiosi di Oxford e Stanford.
I GIPSI sono oggi tra i paesi dove la diseguaglianza è più alta in Europa, dove la diseguaglianza è aumentata di più e dove anche la povertà è molto più alta di prima e del resto d’Europa. Le notizie dalla Grecia di alberi tagliati nei parchi per riscaldarsi, suicidi, persone che vivono sotto le lamiere o che non hanno di che pagare le cure mediche sembrano provenire a qualche paese dell’ex “terzo mondo”. Ma oggi il terzo mondo è qui da noi: il primo è più ricco di prima, il secondo lavora, fatica e si mantiene con livelli di reddito costanti e quindi sempre più lontano dai ricchi, il terzo è quello che scivola nella zona della povertà. Il fatto è che nel primo sono sempre più in pochi, mentre è il nostro terzo mondo quello le cui fila sono in aumento.
E cosa fa il nostro governo, cosa propongono il nostro presidente del consiglio e il suo ministro dell’economia? 80 euro di più al mese per 10 milioni di persone a reddito basso! Ma c’è il problema della “copertura”… Qui casca l’asino: se fosse un governo che ha in mente la giustizia e l’equità sociale e che volesse davvero fare qualcosa contro la diseguaglianza non avrebbe questo problema: basterebbe infatti aumentare l’IRPEF di 80 euro sui redditi più alti per toglierla a quelli più bassi… ma questo non si può dire e non si può fare. Aumentare le tasse è cattivo mentre l’austerità è buona.
Non stanchiamoci di dirlo: l’austerità è cattiva. Smascheriamo questo pensiero dominante.
(1) Chi studiava economia 20 anni fa, si ricorda di una politica che assomigliava molto a questa: si chiamava beggar thy neighbor, impoverisci il tuo vicino. (2) Si veds Oscar Jorda e Alan Taylor su Vox.(3) Si veda ad esempio l’articolo di Krugman, The Piketty Panic, e il recente dibattito su varie colonne e siti web, come Economist’s View.
(4) Consiglio l’intervento di Amartya Sen su perché la povertà dovrebbe essere ancora intollerabile ed è invece tollerata.
(5) Anche se poi il Sig. Bertelli di Prada dice: “non prendiamocela con i ricchi, non è colpa loro” (e forse ha ragione, è colpa di chi li lascia arricchire così)