Le mobilitazioni contro i cambiamenti climatici stiano ridando fiato ed energia alle reti globali di attivisti. Dopo Seattle e dopo la grande crisi, è l’ambiente il nuovo catalizzatore?
Il 24 ottobre 2009 si è tenuta la giornata internazionale per l’azione sul clima. L’iniziativa, lanciata dalla rete 350 (www.350.org), ha coinvolto oltre 180 paesi con più di 5 mila manifestazioni di piccole, medie e grandi dimensioni. Singoli cittadini, gruppi organizzati e piccoli movimenti locali hanno aderito ad una call globale per la mobilitazione di massa contro le conseguenze a lungo termine dei cambiamenti climatici. Lo stesso giorno, la New Economics Foundation di Londra ha inaugurato il Festival dell’Interdipendenza (http://thebiggerpicture2009.org), dove numerosi economisti ed intellettuali provenienti da tutta Europa si sono confrontati sulla possibilità di costruire un modello di sviluppo economico diverso da quello attuale fondato sulla crescita economica. La settimana prima, l’iniziativa internazionale Stand Up and Take Action, aveva già coinvolto molti gruppi in giro per il mondo, concentrandosi sul legame che esiste tra povertà crescente e riscaldamento globale (http://standagainstpoverty.org). Movimenti per la decrescita, l’autogestione del territorio e l’economia solidale pullulano in gran parte del mondo, dalle periferie delle metropoli europee alle capitali del ‘sud globale’.
Sta finalmente rinascendo un movimento globale? Negli ultimi anni, la società civile globale, che aveva scosso il mondo dopo Seattle fino a diventare la nuova super potenza mondiale alla vigilia della guerra in Iraq, era entrata in una fase letargica sempre più profonda. Paradossalmente, questo processo di regressione accadeva proprio quando la storia cominciava a dimostrare la validità delle proposte avanzate dai tanti movimenti altermondialisti. Gli effetti distorsivi del libero commercio erano stati ampiamente previsti dalle organizzazioni di cooperazione internazionale, molto prima di entrare nella retorica ufficiale di molte amministrazioni statali, a partire da quella di Obama. La crisi economica ha poi confermato l’instabilità strutturale del nostro sistema economico globale, rivelando tutte le debolezze che il pensiero altermondialista aveva identificato da almeno un decennio. Ciononostante, l’avverarsi della profezia si manifestava parallelamente alla crisi del settore civico internazionale.
Oggi sembra che le mobilitazioni contro i cambiamenti climatici stiano ridando fiato ed energia alle reti globali di attivisti. La crisi climatica, infatti, sta diventando il catalizzatore delle tante ingiustizie che affliggono il mondo. Per le organizzazioni locali che difendono i diritti del territorio, il riscaldamento globale rischia di vanificare i risultati di molte battaglie. I movimenti indigeni che hanno duramente lottato per le proprie prerogative si sentono ora minacciati da cambiamenti sistemici che minacciano profondamente le loro comunità. I movimenti contadini vivono sulla propria pelle le conseguenze delle frequenti siccità, seguite da inondazioni che distruggono i raccolti. Povertà, ingiustizie e instabilità economiche si legano vicendevolmente nella crisi ambientale.
La questione climatica è infatti una tempesta perfetta, che fa convergere ed esaspera le crisi molteplici che attraversano il mondo, da quella economica a quella alimentare, da quella energetica a quella sociale. In questo senso, la lotta ai cambiamenti climatici può facilmente aggregare gruppi tradizionalmente diversi, cittadini del ‘nord’ e del ‘sud’ globale, movimenti sociali e organizzazioni non-governative, organizzazioni ambientaliste e sindacati. Secondo Paul Hawken, autore del libro Moltitudine Inarrestabile, stiamo assistendo alla formazione del più vasto movimento civico al mondo. Ovviamente, questa rete di attivisti ha cominciato ad operare soprattutto a livello locale, in molti casi attraverso pratiche concrete nei territori di riferimento. Gradualmente poi è cominciata ad emergere una rete globale che sta riattivando i contatti sopiti del movimento altermondialista. Dal punto di vista della mobilitazione, la conferenza di Copenhagen di Dicembre potrebbe segnare il battesimo di una nuova fase dell’attivismo globale. Si può soltanto speculare sull’evoluzione di questo fenomeno, che per il momento resta ancora in una fase embrionale. La speranza è che si riesca a recuperare le energie e le speranze create dalla stagione di attivismo globale dei primi anni del nuovo millennio per incanalarle verso un’azione collettiva e coordinata. D’altronde la sfida climatica rappresenta un’opportunità storica per rivoluzionare il nostro modello di sviluppo e tutte le ingiustizie da esso create.