Mentre l’Occidente è in grave crisi, il sistema finanziario cinese è sotto stress, l’economia frena e l’Fmi propone di ridurre il controllo statale sull’economia
Premessa
Mentre il mondo occidentale è toccato da una crisi molto grave, che riguarda sia gli aspetti finanziari che quelli reali dell’economia, una parte consistente dei paesi emergenti, con in testa i cosiddetti Bric, è riuscita sino a oggi a stare abbastanza lontana dalle difficoltà. Tuttavia, in questo momento il riflesso dei problemi dei paesi ricchi e una serie di questioni interne stanno provocando qualche difficoltà anche per i paesi emergenti. Così il Brasile registra un rallentamento del Pil, forse temporaneo, ma comunque abbastanza vistoso, mentre la Russia è alle prese con dei rilevanti problemi politici e con l’incapacità di sviluppare un sistema industriale moderno – i due fenomeni sembrano tra loro collegati –, mentre l’India mostra crescenti tensioni provocate, da una parte, dall’inefficienza della sua classe politica e di governo e, dall’altra, dall’emergere del fenomeno di una vistosa corruzione dei suoi apparati pubblici: anche in India l’economia rallenta e il sogno di superare i ritmi di sviluppo cinesi sembra debba essere accantonato, almeno per il momento. La Cina, infine, che, come al solito, presenta comunque dei risultati migliori di quelli degli altri tre paesi citati, deve confrontarsi con questioni abbastanza complesse. Uno dei nuclei centrali di tali problemi ruota intorno alla situazione e alle prospettive del suo sistema finanziario.
Il sistema finanziario ombra e la sua dinamica
Per cominciare a concentrare l’attenzione sulle difficoltà attuali del sistema finanziario cinese vogliamo analizzare la questione della crescita recente del sistema finanziario ombra nel paese. Il fenomeno dei sistemi finanziari “nascosti” o comunque lontani da quelli ufficiali non tocca oggi soltanto la Cina o i paesi del Terzo Mondo, ma riguarda anche quelli più sviluppati, dalla Gran Bretagna, con la sua rete di prestatori del giorno di paga – payday moneylenders, che anticipano per un breve periodo piccole somme in contanti a chi non riesce ad arrivare al giorno dell’incasso del salario o dello stipendio, esigendo un tasso di interesse che supera, in certi casi, il 4.000% annuo –, al fenomeno giapponese dei sarakin, istituti criminali che negli anni novanta prestavano denaro alle piccole imprese giapponesi in crisi, facendo intervenire come esattori le bande del crimine organizzato. Ma esso assume caratteri particolari, come al solito, nel paese asiatico. Il sistema non ufficiale è composto di trust companies, banche private, pescecani della finanza, privati cittadini. Mentre le trust companies, che costituiscono comunque la parte più importante di tale sistema ombra, sono imprese regolarmente registrate e con un’organizzazione nota, il fenomeno assume anche forme nascoste. Tanto che non ci sono stime realistiche sull’estensione del problema. Quelle della Banca Centrale cinese parlano di oltre 600 miliardi di dollari, pari all’8% dell’ammontare dei prestiti ufficiali all’economia nazionale. Ma i numeri veri dovrebbero essere molto più elevati. China Confidential (Kynge, 2011) valuta che il sistema finanziario ombra fornisca persino più credito all’economia di quanto riesca a fare il sistema bancario ufficiale, mentre le stesse banche hanno cominciato a prestare soldi alla rete informale per ottenere maggiori rendimenti dai loro capitali.
Bisogna ricordare che il sistema del credito informale ha radici storiche abbastanza consolidate nel paese: quella che sembra cambiata è l’estensione del fenomeno. In particolare, all’origine di tale crescita sta il fatto che, a partire dai primi mesi del 2009, il governo ha deciso di incoraggiare i governi locali a farsi prestare grandi somme di denaro dal sistema bancario per finanziare un ampio programma di investimenti in infrastrutture, allo scopo di sostenere lo sviluppo economico del paese, che minacciava di rallentare pericolosamente. Così, tra l’altro, le banche hanno accresciuto del 63% i loro prestiti all’economia tra il 2008 e il 2010, per la gran parte al settore immobiliare e delle grandi opere, ai governi locali e alle piccole imprese. Parallelamente, il governo ha cercato di mantenere a livello moderato il costo del denaro, per ridurre il carico di interessi passivi che le stesse comunità locali avrebbero dovuto sopportare. Per farlo, le banche hanno dovuto mantenere contenuti anche i tassi di interesse sui depositi della clientela, in ogni caso molto più contenuti del tasso di inflazione; questo ha spinto progressivamente i depositanti a ritirare una parte dei loro soldi dalle banche e a prestarli invece al sistema finanziario ombra, che tende a pagare dei tassi di interesse molto più elevati.
La risposta delle banche all’esodo di depositi è stata quella di emettere titoli di prestito particolari, che si presentano come strumenti di investimento a breve termine, sono tenuti fuori bilancio e offrono tassi di interesse molto più interessanti; la manovra ha avuto successo, ma ora le autorità di controllo hanno introdotto diverse restrizioni. In ogni caso, la capacità del governo cinese di controllare il settore finanziario è fortemente messa in discussione.
La stabilizzazione del sistema bancario
Vediamo a questo punto la questione del settore finanziario in termini più generali. Il governo cinese è intervenuto nell’ottobre del 2011 per cercare di stabilizzare il sistema bancario, che nell’ultimo periodo aveva subito, tra l’altro, una perdita di fiducia degli investitori, con una rilevante caduta dei corsi dei titoli azionati dei vari istituti. Diverse le cause: il timore che il forte incremento dei prestiti alle imprese per superare la crisi comportasse un rilevante e parallelo aumento nei livelli dei crediti inesigibili; il timore di un rallentamento nei tassi di crescita dell’economia cinese; il già citato fenomeno della perdita di depositi del sistema finanziario formale a favore di quello ombra. A tutto questo bisogna aggiungere la delicata situazione del settore immobiliare. Negli ultimi due anni, il comparto stava andando progressivamente fuori controllo, con un andamento dei prezzi delle case che nelle grandi città ha raggiunto incrementi record, oltre che fiammate speculative alimentate da denaro abbondante e a buon mercato. Il governo è poi intervenuto, innalzando a più riprese il livello dei tassi di interesse e quello delle riserve obbligatorie delle banche, fissando inoltre criteri finanziari più stringenti per poter accedere all’acquisto di una proprietà immobiliare. Tale intervento sta ottenendo i risultati sperati, attenuando i livelli di incremento dell’inflazione e raffreddando la bolla immobiliare. Ma tutto questo comporta un pericolo sia per i tassi di crescita complessivi dell’economia (nel 2010 il settore delle costruzioni immobiliari, ora in difficoltà, ha pesato per più del 13% sul Pil del paese e rappresentava il 25% degli investimenti totali) che per la situazione delle banche, che rischiano di veder crescere il livello dei crediti inesigibili. In effetti, molti degli operatori del mercato immobiliare si trovano almeno in crisi di liquidità. Così, è stato annunciato che la Central Huijin, il braccio domestico del fondo sovrano cinese (CIic) e già oggi il principale azionista delle principali banche del paese, acquisterà in misura rilevante titoli azionari delle quattro principali banche nazionali.
Sullo sfondo delle questioni del sistema finanziario risiede una caratteristica particolare del suo rapporto con il potere politico. Il budget pubblico cinese corrisponde ancora oggi, nonostante i progressi dell’ultimo periodo, soltanto al 25% del Pil – nel 2011 tale livello dovrebbe peraltro salire al 27% –, contro il 40% e anche più di quello della maggior parte dei paesi sviluppati (chi forse troppo e chi invece troppo poco). Dal momento che si tratta di un livello non adeguato a sostenere tutte le attività proprie di uno stato moderno, il governo del paese tende a usare il sistema bancario come un sostituto della spesa pubblica, per finanziare in particolare una parte degli investimenti. In Cina tra l’altro è normale che il governo convochi le banche, e lo fa di frequente, per dettare loro la linea, in particolare se esse debbano espandere o contrarre il livello dei crediti all’economia o se debbano alzare o ridurre il costo del denaro e i tassi di interesse da riconoscere ai depositanti. Agli occhi dell’Occidente, dove una crisi devastante ha mostrato che il sistema finanziario è del tutto fuori controllo e si comporta da padrone rispetto al potere politico, questo può forse apparire una situazione ideale. Tuttavia, anche nel caso cinese non mancano gli inconvenienti. Quando nel 2007-2008 la crisi occidentale ha cominciato a estendersi al resto del mondo e ha lambito pericolosamente anche la Cina, il settore finanziario del paese si trovava in buona forma, anche grazie alla profonda ristrutturazione del sistema avvenuta negli anni precedenti, con la quale al sistema finanziario e alle comunità locali venne dato il compito di finanziare un grande programma di opere pubbliche e di aiutare il sistema delle imprese ad andare avanti, allentando i cordoni della borsa. Oggi la spinta potenziale per un forte aumento della spesa pubblica – da finanziare in gran parte con un rilevante aumento delle imposte – si scontra da una parte con la resistenza politica e sociale a tali mutamenti, dall’altra con la constatazione che il modello alternativo dei paesi occidentali non ha dato una grande prova di sé, come dimostra l’attuale crisi dei budget pubblici sia in Europa che negli Stati Uniti.
Anche per questo il recente studio del Fondo monetario internazionale (IMF, 2011) relativo alla riforma del sistema finanziario del paese, per quanto molto moderato e rispettoso nei toni – bisogna mostrarsi ossequiosi di fronte a un nuovo padrone del denaro –, non sarà accolto con favore nei circoli governativi. Dopo aver sottolineato la crescita rilevante dei fattori di instabilità nel sistema, il rapporto indica la via della riforma nel senso di un progressivo allentamento della presa da parte dei poteri pubblici, insieme a un accresciuto ruolo del mercato, grazie alla liberalizzazione e all’avvio della privatizzazione del sistema: la stessa strada che ha prodotto i ben noti disastri da noi.
Conclusioni
Il sistema finanziario cinese e la stessa economia del paese si trovano di fronte a difficoltà importanti. Il primo mostra segni evidenti di stress, mentre l’economia sembra frenare la sua corsa. Il rallentamento della crescita nelle esportazioni a seguito della crisi occidentale e i problemi del settore immobiliare pongono delle minacce di rilievo ai tassi di crescita del Pil. Appare evidente, in generale, la necessità di rilevanti mutamenti. Ma sembra plausibile che, come altre volte nella sua storia recente, il paese cercherà di individuare delle vie relativamente originali per far fronte alla situazione, senza ricorrere in maniera acritica a delle formule che hanno fatto il loro tempo da noi.
Testi citati nell’articolo
International Monetary Fund, People’s Republic of China: financial system stability assessment, IMF country report, n. 11/321, novembre 2011
Kynge J., Cracks in Beijing’s financial edifice, www.ft.com, 9 ottobre 2011