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Scenari di diffuse armi di distruzione di massa

La preoccupazione per il riarmo atomico e per i rischi legati alla guerra in atto in Ucraina hanno dominato la XIX conferenza internazionale di Castiglioncello organizzata dagli scienziati per il disarmo tra il 21 e il 23 ottobre.

Dal 21 al 23 ottobre 2022 si è svolta la XIX Conferenza Internazionale di Castiglioncello (Livorno) organizzata dall’USPID (Unione degli Scienziati Per Il Disarmo, www.uspid.org/) e dalle Pugwash Conferences on Science and World Affairs (pugwash.org) con la collaborazione del Comune di Rosignano Marittimo, del CISP (Centro Interdisciplinare di Scienze per la Pace, Università di Pisa), del CIRP (Centro Interdipartimentale di Ricerche sulla Pace “Giuseppe Nardulli”, Università di Bari), e del Gruppo Interdisciplinare su Scienza, Tecnologia e Società dell’Area di Ricerca del CNR di Pisa. Questa edizione della conferenza il cui titolo era “Nuclear weapons: New risks” è stato dedicato alla memoria di Pietro Greco, il giornalista e divulgatore scientifico prematuramente scomparso nel dicembre 2020.

Alla conferenza hanno preso parte (anche tramite collegamenti a distanza) numerosi ricercatori e studiosi di problemi di disarmo e controllo degli armamenti e delle crisi internazionali fra i quali ricorderemo P. Cotta-Ramusino (Segretario Generale delle Conferenze Pugwash), H. Kristensen (Direttore del Nuclear Information Project della Federation of American Scientists), gli ambasciatori S. Batsanov (Direttore del International Pugwash Geneva Office) e C. Trezza (ex Direttore del Missile Technology Control Regime), K. Simonen (della National Defense University di Helsinki) e E. Kiyaei (Direttore del Middele East Treaty Organization). Una lista completa dei relatori può essere trovata sulla pagina web dell’Uspid dalla quale possono anche essere recuperati numerosi materiali relativi alle loro presentazioni.

Gli argomenti sviluppati nel corso delle sessioni spaziavano dalla consistenza degli arsenali nucleari alle relazioni USA-Russia, dall’attuale stato dei trattati di disarmo al possibile uso di armi nucleari, fino i nuovi pericoli di proliferazione in particolare in Medio Oriente. E naturalmente, dati i tempi in cui viviamo, tutti questi problemi sono stati anche considerati alla luce del conflitto fra Russia e Ucraina che sotto diversi aspetti ha modificato la percezione del rischio nucleare che incombe su tutti noi. Come è noto i punti di vista su questo conflitto sono particolarmente controversi e vanno dalla identificazione dell’attuale regime russo come unico colpevole che andrebbe possibilmente eliminato dalla scena internazionale, alle accuse rivolte all’aggressività occidentale che si è manifestata con l’espansione ad est della NATO degli ultimi decenni. 

Questa polarizzazione di opinioni è stata presente anche lungo tutta la discussione della conferenza, ma una particolare enfasi è stata posta sui rischi di una radicalizzazione del conflitto che chiuderebbe le vie di comunicazione lasciando come unica possibilità per i due contendenti quella di combattere fino alla definitiva sconfitta dell’avversario, con possibili rischi di uso (voluto o accidentale) di armi nucleari. Un’opinione diffusa, anche se non unanime, fra i partecipanti era quella che, invece di dividersi appoggiando le tesi dell’una o dell’altra parte (cosa sempre legittima, ma poco produttiva), sarebbe opportuno promuovere la sospensione dei combattimenti con un cessate il fuoco che divenga premessa per l’apertura di negoziati con garanzie internazionali per la risoluzione della contesa. 

Purtroppo, in questo scenario quanto mai preoccupante, la pubblica percezione dei rischi legati a un eventuale uso di armi nucleari sembra essere particolarmente inadeguata. In particolare durante la conferenza è stata innanzitutto sottolineata l’attuale erosione del regime di non proliferazione dovuta soprattutto allo stato dei trattati (internazionali e bilaterali) relativi alle armi nucleari e agli altri sistemi cosiddetti “di distruzione di massa.” Non solo infatti alcuni di essi sono stati semplicemente abrogati (unilateralmente o meno): ad esempio il JCPoA (Joint Comprehensive Plan of Action) relativo al programma nucleare iraniano, o l’INF (Intermediate-range Nuclear Forces) sui cosiddetti euromissili; ma lo stesso NPT (Non Proliferation Treaty) non gode di buona salute come è stato messo in evidenza dalla impossibilità per la seconda volta consecutiva (nel 2017 e nel 2022) di raggiungere un consenso su una dichiarazione comune alla fine della conferenza quinquennale di revisione. Attualmente solo il trattato bilaterale New-START fra USA e Russia sulla limitazione degli armamenti strategici sembra essere sopravvissuto da una passata epoca di distensione, mentre il recente TPNW (Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons), malgrado la sua importanza politica e morale, soffre per l’attuale non adesione di tutti gli stati nucleari e dei loro alleati.

Una grande confusione è stata inoltre generata nelle pubbliche discussioni dalla minaccia dell’uso di cosiddette armi nucleari “tattiche” a causa principalmente di una loro definizione intrinsecamente imprecisa che si riferisce alla loro gittata e al loro uso sul campo di battaglia piuttosto che alla potenza degli ordigni utilizzati. Si tratta infatti di armi particolarmente pericolose perché generano l’illusione di poter rendere più controllabile uno scambio nucleare e quindi più credibile una strategia di deterrenza. Purtroppo invece esse da un lato contribuiscono a oscurare le differenze fra armi nucleari e convenzionali, e dall’altro sono specialmente propense ad un loro uso accidentale con il possibile innesco di uno scambio nucleare generalizzato, divenendo così proprio un anello debole della deterrenza. Inoltre esse possono rappresentare uno strumento di ricatto da parte di stati nucleari ai danni di stati non-nucleari e richiederebbero pertanto almeno un trattato internazionale relativo al loro uso. 

Per l’Europa e per l’Italia il problema delle armi tattiche riveste una particolare importanza a causa di quelle americane da molti anni schierate sul loro territorio in un regime di nuclear sharing (condivisione nucleare). È noto infatti (anche se non ufficialmente) che circa 100 testate B-61 sono ancora schierate in basi e aeroporti di Germania, Belgio, Olanda, Italia e Turchia come ultimo residuo di quelle ben più numerose presenti durante la Guerra Fredda.

In Italia ce ne sono circa 35 (stima del 2021): 20 ad Aviano e 15 a Ghedi. Sebbene la Russia schieri sul proprio  territorio un numero ancora più grande di armi analoghe (si stima che siano circa 5-600), la loro pericolosità per i paesi ospitanti (messa in evidenza dalle simulazioni, si veda ad esempio sgs.princeton.edu/the-lab/plan-a) e la loro sostanziale inutilità come strumento di deterrenza ne consigliano la rimozione − anche unilaterale − come più volte sollecitato dalle associazioni organizzatrici della conferenza ( vedere qui i documenti finali ).

È stato mostrato che l’instabilità del regime nucleare nel quale viviamo viene considerevolmente accresciuta dal ruolo sempre più grande che sta assumendo l’Intelligenza Artificiale nell’automazione delle funzioni di comando e controllo sul campo di battaglia. La inevitabile possibilità di errori e la loro vulnerabilità a contromisure dell’avversario rendono particolarmente preoccupante l’affidamento delle decisioni cruciali a questo tipo di tecnologie. Qualche speranza di rafforzamento dell’attuale regime di controllo degli armamenti potrebbe invece venire dalla adozione da parte degli stati nucleari di dichiarazioni di Non Primo Uso (NFU, No First Use) di armi nucleari: una politica, già adottata da Cina e India (e in passato dall’URSS), che rinforzerebbe ed estenderebbe la cosiddetta Negative Security Assurance (risoluzione 984/1995 del CS dell’ONU) in base alla quale i 5 stati nucleari hanno promesso di non attaccare con armi nucleari gli stati non-nucleari che siano membri del NPT. Sfortunatamente le dottrine strategiche degli stati nucleari sono in genere abbastanza contorte da permettere sempre qualche forma di primo uso in casi considerati eccezionali, ma possibili. 

A questi preoccupanti scenari sono stati infine contrapposti gli strumenti offerti da una diplomazia generosa e testarda: inclusione, dialogo e impegno ad affrontare storiche inimicizie, come è avvenuto ad esempio con alterne vicende in Medio Oriente, dove il ruolo di mediazione di paesi come l’Oman ha favorito il raggiungimento di accordi sulle risorse idriche e l’istituzione del MEDRC (Middle East Desalination Research Centre). Ed è proprio in questo spirito che si muovono oggi organizzazioni come il Middle East Treaty Organization (METO) il cui scopo è quello di facilitare il raggiungimento di accordi per sbarazzare il Medio Oriente dalle armi di distruzione di massa che oggi lo infestano, e in particolare per favorire in quell’area l’istituzione di una Nuclear Weapons Free Zone (NWFZ) simile a quelle che da tempo esistono in altre regioni del pianeta. Malgrado le inquietudini sollevate dal generale deterioramento del clima politico internazionale, è proprio da questi esempi che sembra possibile trarre gli auspici per una società nella quale la guerra non sia più utilizzata come strumento per risolvere i conflitti.

L’autore Nicola Cufaro Petroni è membro del Consiglio Scientifico dell’USPID