Il voto referendario sull’acqua e sui servizi pubblici è sotto scacco, per la stasi delle istituzioni e la speculazione del mercato, che vuole privatizzare i beni comuni
A pochi mesi dal referendum, la disastrosa crisi finanziaria ha di fatto cancellato la straordinarietà di quell’evento nella memoria dei cittadini. Per i lavoratori e i pensionati, per la gente comune che ha votato, schiacciati da problemi contingenti, l’acqua e il rispetto dei referendum sembrano passare in secondo piano. L’amnesia ha contaminato gran parte del popolo di sinistra, ripiombato – si direbbe – nell’incubo totalizzante: l’antiberlusconismo, senza idee e senza principi, senza alternativa. Anche per molti movimenti a noi vicini, per la chiusura autoreferenziale o gli interessi corporativi, il referendum è ormai lontano. “L’ineluttabilità del mercato” disarma la gente, crea paura. Berlusconi cade e questo è bene, ma che il popolo di centro sinistra esulti e finga di non vedere che non cade per iniziativa dell’opposizione e di un programma alternativo, non è di buon auspicio per la politica di questo paese. Come non lo è non vedere che la crisi è mondiale e ha travolto oltre gli USA, la Grecia, la Spagna (ricordate Zapatero idolatrato dal centro sinistra?), il Portogallo, l’Irlanda ecc. Il governo italiano vara l’ennesimo programma a fotocopia, dettato giorno per giorno dai mercati. Stiamo assistendo a qualcosa che non si era mai visto: il mercato e la speculazione, che sembrano vivere alla giornata, decidono la politica, i programmi di lacrime e sangue per la maggioranza del popolo commissariano le nazioni europee, formano i governi con propri esponenti. Ma può la politica inseguire i mercati e vivere alla giornata?
La stessa democrazia è malata, quando la politica, agli occhi della gente meno abbiente e dei lavoratori, viene screditata, ridicolizzata dai comici e resa inutile. Il programma è unico e le privatizzazioni, la svendita del patrimonio nazionale, restano un punto fermo per tutti. Oggi, dopo il referendum, il movimento dell’acqua non è più forte e più ramificato sul territorio, ed è innegabilmente in difficoltà.
La minaccia dell’ingresso del privato nelle SPA pubbliche è di nuovo all’ordine del giorno, a Cremona e Salerno e persino a Milano ci sono assessori, come Tabacci, che affermano la volontà di privatizzare anche l’acqua. Solo Napoli, dopo 6 anni di movimento, sembra avviarsi verso la ripubblicizzazione. Non conviene riflettere su tutto ciò? In un simile contesto, la strada della ripubblicizzazione ha purtroppo ancora bisogno di accumulare forze, facendo leva su chi, sindaci e imprese, intende resistere alla spinta privatizzatrice sulle SPA in house e spingerle a organizzarsi e associarsi in comitati e in associazioni come Acqua Pubblica Europea presieduta da Anne le Strat, e a cui partecipano tante SPA in house europee. E da qui ripartire per la ripubblicizzazione. Forse possiamo puntare a un asse Napoli-Milano-Bari, tre realtà che nell’immaginario popolare rappresentano le punte più avanzate della partecipazione.
I cittadini, con il loro voto referendario, al di la degli specifici quesiti, hanno inteso affermare che tutti i servizi pubblici locali e il servizio idrico in particolare devono essere pubblici e l’acqua non deve generare profitti. Ma oggi non c’è istituzione italiana che interpreterà questo spirito del mandato popolare o anche solo e semplicemente il suo risultato. Nemmeno il Presidente Napolitano farà sentire la sua voce. La crisi economica, devasta il vivere sociale, la stessa politica che dovrebbe dare risposte. Così a noi, a tutti i movimenti sociali, vengono affidate inedite responsabilità che non si possono più affrontare dentro la gabbia di certezze consolidate.
Con il primo quesito (abrogazione della legge Ronchi) abbiamo eliminato solo l’obbligatorietà alla gara per tutti i servizi pubblici locali. Da qui partono tutti i tentativi di smontare il referendum, violando la Costituzione, con il bastone (le minacce di commissariamento) e la carota (il premio una tantum per chi fa entrare il privato): ignorando il responso referendario che toglie l’obbligatorietà alla privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali e non solo per l’acqua; avvalendosi della libera facoltà dei sindaci di scegliere il tipo di gestione, per forzarli alle gare o alle fusioni, anche per il servizio idrico; cercando cavilli giuridici per non attuare il secondo quesito sul 7% di profitti.
Privi di finanziamenti, isolati, ricattati dai partiti spesso indifferenti, costretti al tran-tran quotidiano, per molti sindaci non sarà facile trovare il coraggio politico per respingere bastoni e carote, contrastare l’ingresso dei privati e intraprendere la strada della ripubblicizzazione che malgrado tutte le nostre denunce non decolla.
Forse dovremmo dotarci di una strategia più articolata:
– sollecitare tutti, sindaci e imprese, ad aderire a una piattaforma contro la privatizzazione; premessa indispensabile ogni percorso di ripubblicizzazione;
– affrontare il problema dello scorporo dell’acqua dalle multiutility, come Iren a Genova/Reggio Emilia, A2A a Brescia, ACEA a Roma, sapendo che sarà quasi inevitabile il passaggio dell’acqua in una SPA in house e che forse occorreranno interventi legislativi, e inoltre calcolare e accantonare risorse per il recupero delle quote attinenti all’acqua (attingendo dal 7%, con un ruolo della Casa Depositi e prestiti?), tenendo presente che il 2013 e le elezioni sono vicine, e anche noi dovremmo attivarci nella campagna elettorale, misurarci con i partiti, le coalizioni e i programmi;
– trattare il nodo delle partecipate come quelle toscane e anche in questo caso individuando gli interventi nazionali e i passaggi graduali con i quali trovare o accantonare le risorse per riprendere le quote dei privati;
– impedire che la strada ormai tracciata ed evidente della privatizzazione porti, svendendolo, l’intero servizio idrico italiano e parte di quello energetico nelle mani dei privati. Le SPA in house saranno messe a gara, le SPA quotate e non, in poco tempo diverranno totalmente private e il privato non sarà altro che le ormai onnipresenti multinazionali francesi, più qualche banca internazionalizzata. La Cassa depositi e prestiti sarà funzionale a tale disegno e definitivamente trasformata in una banca privata al servizio delle privatizzazioni di tutte le infrastrutture italiane.
Nell’apertura di trattative, nell’individuazione di percorsi, nella gradualità priva di fretta, sta forse il modo per sostenere l’iniziativa dei comitati e determinare l’esistenza di un soggetto partecipativo legittimato a concorrere alle scelte. Passata l’euforia per il governo dei tecnici, con le elezioni del 2013 ormai imminenti, si riapriranno contraddizioni politiche sia nel centro sinistra che nella Lega, per la quale non varrà più il suo essere all’opposizione e al governo; ed è su questo che occorre fare leva. La campagna di obbedienza civile, va sostenuta senza riserve, ma non sfugge a nessuno quanto sia difficile la sua generalizzazione e la sua realizzazione in gran parte delle situazioni. E se non decolla? La domanda è: esiste un piano B o ci limitiamo ad urlare contro tutti i partiti compresi quelli che danno qualche segno di ascoltarci? È possibile accompagnare questa campagna con una strategia più flessibile verso gli enti locali in cui l’ingresso del privato non è ancora avvenuto? È possibile una trattativa che non si limiti alla tariffa e a quantificare la riduzione della tariffa corrispondente al 7% dei profitti abrogati, ma che, forte di un rapporto con le realtà che non vogliono privatizzare, rimetta sui tavoli l’insieme delle nostre proposte?
Occorre affrontare ancora e sempre i 50 litri gratuiti, la fiscalità generale, il risparmio d’acqua fissato nei piani di ambito, la progressività della tariffa, gli strumenti e le forme della partecipazione, le modalità di finanziamento del servizio, il reinvestimento nell’ammodernamento degli impianti e, (perché no), l’accantonamento generalizzato del Centesimo di euro ogni metro cubo, per la cooperazione internazionale, cercando anche nelle ONG interlocutori attivi. La chiusura ai profitti per i privati è per noi scontata, ma possiamo al contempo pretendere (come a Berlino è stato fatto con un referendum) la pubblicizzazione dei bilanci, dei profitti, degli investimenti, della formazione della tariffa. È cosa così disdicevole porre e perseguire con iniziative anche questi obiettivi?
L’abbiamo forse scordato, ma si è vinto il referendum perché abbiamo parlato per 12 anni il linguaggio universale dell’acqua, non abbiamo accettato il piano che i contabili volevano imporci parlando solo di tariffe, di soldi che non ci sono e di efficienza dei privati. È necessario ritornare tutti a comunicare e formare.
La manifestazione del 15 ottobre ha comunicato cose negative, ha collocato l’acqua e il movimento nello spazio di un’area politica e di una strategia precostituita più o meno antagonista. Del neoliberismo siamo tutti antagonisti, ma questo termine nel nostro paese si tramuta spesso in proposta politica, strategica e organizzativa, con alle spalle una lunga storia di sovrapposizione sui movimenti e di fallimenti. La storia del movimento dell’acqua è cosa diversa, sta agli antipodi, è articolata, è frutto di un lavoro capillare locale, nazionale e internazionale, non urlato, non testimoniale, educativo delle coscienze, rivolto a tutti, ricostruttivo del perduto senso comune dell’interesse generale e della solidarietà con chi ne soffre l’assenza; è fatto di carovane nei punti caldi del mondo.
Il mercato e la politica
Il mercato cancella la politica, le istituzioni, il respiro universale e, ancora più grave, cancella l’idea di partecipazione. Ricordare al popolo di sinistra e ai movimenti alcune verità è opportuno:
– vincere sull’acqua è vincere tutti e bisognerebbe concentrare le forze di tutti i movimenti per respingere l’attacco al referendum sull’acqua;
– fare politica non è la cancellazione dei partiti, ma non può più essere la sola ricerca del potere, non può più essere l’esercizio di far vincere il proprio partito, la propria squadra, la propria ipotesi più o meno coerente rivoluzionaria o riformista che sia.
– fare politica è, prima di tutto, far crescere la coscienza e la partecipazione del popolo e costruire un nuovo senso comune tra la gente.
– la politica sta oggi in bilico tra il “male” procurato dal mercato e la “vita” che i movimenti le infondono con i loro contenuti. A loro tocca la grande responsabilità di riscriverla.
Riprendere la nostra storia
È necessario limitare gli angusti spazi dei dilemmi sulle forme aziendali, ci rendono rissosi tra noi e immiseriscono la forza del nostro messaggio. Occorre riprendere ancora l’insieme della narrazione dell’acqua, il diritto umano, il nesso con la crisi finanziaria, con un’agricoltura e dei consumi insostenibili, con la natura che ci presenta i conti, con i limiti del paradigma della crescita, con i tagli della spesa pubblica ecc… Abbiamo parlato di un nuovo senso comune affermando che i Diritti Umani non sono cancellabili dall’andamento dei mercati. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, non si sospende sulla base dei responsi di Standard & Poor’s, perché sono punti fermi del percorso della civilizzazione umana. L’acqua sta rendendo visibile e percepibile alla gente la rottura di ogni relazione collettiva nella nostra società, la tragedia delle alluvioni, i mutamenti climatici, il degrado del territorio e del patrimonio culturale del nostro paese, la decadenza delle reti dei servizi pubblici. Insomma, si tratta della messa in sicurezza del nostro paese come risposta politica e occasione di rilancio occupazionale che fa a pugni con i tagli alla spesa pubblica. E ancora, rispondere al “dove trovare i soldi” colpendo la speculazione finanziaria con la patrimoniale o con un movimento mondiale sulla Tobin Tax è cosa che riguarda il movimento dell’acqua dentro ai Forum Sociali Mondiali e nel Forum Sociale Europeo, entrambi in piena crisi. È incredibile: i Forum Sociali Mondiali hanno lanciato la Tobin Tax quando le istituzioni di tutto il mondo l’osteggiavano e l’ignoravano. Ora che ne parlano molti governi, il Forum Sociale Mondiale tace, non ne parla più. Forse è il momento di riprenderla nell’ambito delle delibere di iniziative popolari europee che si intendono lanciare.
Dopo il referendum
Subito dopo la vittoria c’è chi ha pensato che si chiudeva un ciclo di 12 anni e che pertanto dovevamo proiettarci verso un più ampio movimento dei beni comuni: dall’acqua ai servizi pubblici, dal lavoro a internet, ecc…Dentro tale prospettiva l’acqua diluisce la propria forza e non serve nemmeno alla crescita di altre narrazioni. Quali sono beni comuni? Ma sopratutto: quale comune denominatore, quali obiettivi comuni, quale vertenza li possono tenere assieme? Qualcuno ha pensato alla nascita di uno spazio alternativo, di lotta, dentro al quale far convergere tutto ciò che si scontra nei territori e nel sociale (dalla TAV ai precari). Entrambe sono state delle scappatoie che hanno allentato la nostra guardia. Quali e quanti sono i beni comuni? Ecco è un esercizio che ci porta solo a disquisizioni teoriche: il lavoro è un bene comune? L’acqua è un servizio pubblico come gli altri? Oggi i beni comuni da affrontare in modo convergente sono i grandi elementi della vita: Aria – Acqua – Terra/cibo – Fuoco/Energia, caratterizzati da Esauribilità, Indispensabilità, Insostituibilità, Universalità del diritto, Necessità di partecipazione. Auspicabile è la crescita di narrazioni mature su questi beni fondamentali, che possano poi trovare convergenze ed obiettivi comuni. Oggi un movimento con la stessa o forse superiore maturazione di quello dell’acqua è il movimento sulla Terra, la sovranità alimentare, il cibo sostenibile, l’agricoltura compatibile e la difesa del territorio dal degrado; e l’altro può essere quello dell’energia. Tra questi vanno trovate convergenze. Il movimento dell’acqua ha cercato consenso tra tutti, non “l’avversità” verso tutti. Il movimento dell’acqua può e deve essere un modello per il nuovo ciclo di lotte e di pensiero, che si annuncia con i giovani in piazza a New York, a Madrid e con i ragazzi che spalano il fango a Genova ecc… Anche per loro la chiusura nel recinto degli antagonisti, è un qualcosa con cui dovranno fare i conti.
Abbiamo parlato a tutti
Pensiamoci: 27 milioni di italiani hanno votato il referendum. Da oltre 30 anni il PCI/PD, con alchimie politiche, insegue un “centro” senza mai riuscire ad acchiapparlo ed ecco che il movimento dell’acqua su un tema forte, che da solo può esemplificare il cammino dell’alternativa politica, ha conquistato il centro, la destra, i credenti e i non credenti e questo deve pur insegnare qualcosa a tutti i movimenti accumunati nella duplice crisi in cui si dibatte il mondo. Forse non abbiamo riflettuto sufficientemente su: quale modo di fare politica, quale rivoluzione culturale sta dietro allo straordinario risultato del referendum? Quale responsabilità viene consegnata ai movimenti?