Mentre arrivano notizie di 7 bus di militari russi evacuati in Bielorussia dalla zona di esclusione di Chernobyl perché contaminati dalle radiazioni, riproponiamo una intervista all’ecologo Beliavski, testimone del dopo-esplosione del reattore 4.
Il professor Gior Beliavski è un ecologo che studia i problemi di Chernobyl e parla dell’emergenza per le radiazioni, delle crepe del sarcofago che ricopre malamente il quarto reattore, dell’eventualità di una nuova esplosione là dentro. E poi anche dei problemi dell’economia di guerra che Chernobyl continua a imporre a comunità molto provate, come quelle di ucraini, bielorussi e russi, in misura indirettamente proporzionale alla grandezza del territorio. Il paese più grande ha avuto relativamente pochi danni rispetto a quello più piccolo – la Bielorussia – per cui un terzo almeno del territorio risente ancora dell’evento.
Quando il reattore esplose, le autorità cercarono in ogni modo di minimizzare il pericolo e limitare le reazioni della popolazione, arrivando ad impedire per decreto che le donne con figli potessero prendere ferie. Erano in preparazione le manifestazioni del 1° maggio, e molti studenti vennero portati a celebrarlo nelle zone irradiate dal reattore impazzito. Il professor Beliavski era uno degli insegnanti che ha portato studenti alla marcia del 1° maggio del 1986 (duemila, dice lui, non riesce ancora a perdonarselo, anche se non era bene informato) e ora vive per aiutare gli studenti di allora e tutti gli altri a tirarsi fuori dal cratere di Chernobyl. “Pensate – afferma con un sorriso – che c’era una corsa ciclistica internazionale e l’hanno fatta passare per i luoghi irradiati, apposta, per mostrare che tutto era sotto controllo”. Con Beliavski abbiamo parlato a varie riprese.
Professore, quanto pesa il disastro di Chernobyl sull’economia ucraina?
Pesa moltissimo. La lunga strada che stiamo seguendo con l’autobus scorre sopra una linea della metropolitana, lunga venti chilometri. Poi c’è un’altra linea di 25 chilometri che costeggia il Dniepr, il fiume di Kiev, e un’altra perpendicolare di quindici chilometri, tutte con diramazioni. Era prevista una quarta linea che adesso sarebbe in funzione. Non si è potuta fare. Chernobyl ha presentato un conto di tre milioni di dollari che finiremo per pagare chissà quando, ma rinunciando per molti anni a moltissime cose utili, a uno sviluppo che ci saremmo meritati.
Quanti sono stati i morti di Chernobyl?
Non esistono statistiche conclusive e i governi, tutti i governi, hanno sempre inteso minimizzare. Del resto di Chernobyl si continua a morire, anche se non lo si può dire. Ufficiosamente si parla di 25 mila-30 mila morti, poi a mezza bocca si arriva a 65 mila. Il risultato dei miei studi, quello che ho saputo da altri ricercatori, anche di altri paesi, mi porta a formulare una stima di 150 mila vite perdute. Soprattutto giovani vite, una generazione di bambini e ragazzi nell’età dello sviluppo che sono stati raggiunti dal vento di Chernobyl.
Cosa si sapeva allora?
Le ho detto della corsa ciclistica che serve bene ad indicare un clima: non è accaduto niente, tutto è sotto controllo. E’ probabile che allora, diffondendo tutte le informazioni esistenti, aiutando e facendosi aiutare, si sarebbero potute salvare migliaia di vite. Giovani vite. Solo nel ’92-’93, dopo l’indipendenza, si è aperto il segreto. Prima se uno andava dal medico, questi non gli diceva mai che il suo male dipendeva o poteva dipendere dalle radiazioni. Il medico scriveva diagnosi diverse. Se il paziente non era convinto, veniva mandato a un altro ospedale. Pochi tra i medici si comportavano in modo meno conformistico e nell’insieme il sistema funzionava bene.
Lei quando l’ha saputo?
L’ho saputo quasi subito. I colleghi fisici mi hanno informato. Qualcosa di terribile è accaduto: non abbiamo modo di dire cosa.
Oltre che tra le giovani generazioni le vittime sono state tra i “liquidatori”. Può dirci chi erano?
I liquidatori erano persone inviate da tutte le Repubbliche sovietiche per lavorare nelle zone irradiate dai venti di Chernobyl. Per portare aiuti, evacuare le persone, guidare le auto, i torpedoni, fare lavori di sterro, seppellire interi villaggi, smantellare, fare da carpentieri, fare da cuochi, da pompieri, da medici nelle zone infettate.
Quanti sono stati?
In tutto 800 mila persone, alcune volontarie, altre comandate. Scrissero tutte insieme una pagina di alto valore civile, con scarse attrezzature, poco protetti a loro volta contro le radiazioni, diedero se non altro un po’ di coraggio alle popolazioni, aiutarono alcuni a fare i profughi e aiutarono altri a rimanere.
Quanto tempo rimasero nelle zone irradiate?
I turni medi dei liquidatori erano di un mese. Alcuni ebbero periodi più lunghi, altri di una sola settimana. La loro mortalità, soprattutto per leucemia, è di 12, 13 volte più alta di quella dei pari età, il fatto è che le loro difese immunitarie si sono abbassate irreparabilmente.
Intervista pubblicata sul manifesto del 29 marzo 2000