Il governo Meloni prepara la cancellazione del sostegno ai più poveri nel 2024. Per Sbilanciamoci! sarebbe un grave errore cancellarlo, anche perché la povertà continuerà a crescere. Servono piuttosto nuove regole per allargare la platea dei beneficiari e ripensare le politiche attive del lavoro.
Ormai è chiaro che la polemica Reddito sì, Reddito no è sterile ed è legittimata solo da un palese intento ideologico. Per i partiti che sono al governo la colpa della povertà è infatti dei poveri stessi, che tra l’altro vengono visti con fastidio e rappresentati come potenziali parassiti sociali o come freni allo sviluppo impetuoso della società di mercato. Sui media e su tutti i canali della disinformazione di massa il tema è ricorrente: i poveri vengono descritti (tutti) come i furbetti del divano (come spiega continuamente la sociologa Chiara Saraceno). Gli immigrati raccontati come gente che arriva in Italia per fare affari, magari con orologi di valore al polso. Le cause strutturali della diseguaglianza, della povertà e dell’immigrazione forzata vengono rimosse. Ma quello che è più grave è che i partiti della destra di governo tendono a rimuovere la questione centrale: quali risposte deve dare uno Stato civile all’emarginazione sociale ed economica di migliaia di famiglie. Tutti attaccano il Reddito di Cittadinanza per ragioni ideologiche ed elettoralistiche. Nessuno (o quasi nessuno) propone ricette per superare lo scandalo vero di un Paese con quasi 2 milioni di persone in povertà assoluta.
Le proposte di Sbilanciamoci
La campagna di Sbilanciamoci! sul Reddito – come su altri punti focali delle scelte di finanza pubblica – ha espresso in questi anni e in questi mesi posizioni molto chiare. Il Reddito di Cittadinanza (le cui norme vanno comunque aggiornate e migliorate) non deve essere cancellato. Si deve piuttosto fare il punto sulle risorse e sulle regole per accedere al diritto, essendo queste oggi troppo stringenti e discriminatorie. Già nella contromanovra per il 2021 Sbilanciamoci scriveva nel suo testo: “La pandemia ha avuto e continuerà ad avere nel prossimo futuro un impatto devastante sul reddito degli italiani. È necessario adottare con urgenza una serie di misure migliorative riguardanti il Reddito di Cittadinanza, che nel complesso comportano uno stanziamento di circa 4,5 miliardi, tali da renderlo uno strumento davvero efficace e inclusivo di contrasto alla povertà di fronte agli effetti della crisi Covid”. Nello stesso tempo si chiedeva “da un lato di aumentare la dotazione del Fondo occupazione al fine di coprire il fabbisogno di ammortizzatori sociali e favorire il recupero occupazionale, dall’altro di implementare un Piano straordinario per la sicurezza sul lavoro: quasi 600 milioni sono destinati a finanziare tali proposte”. Nella controfinanziaria dell’anno successivo, la manovra per il 2022, Sbilanciamoci chiariva un punto importante: “Chiediamo di modificare la scala di equivalenza del Reddito di cittadinanza. L’attuale misura utilizza infatti una scala di equivalenza, differente da quella Isee, che penalizza le famiglie numerose sia in termini di accesso al reddito – per i nuclei numerosi risulta molto difficile soddisfare il requisito di un reddito equivalente non superiore a 6.000 euro annui – sia in termini di importo erogato. Sbilanciamoci! propone di estendere l’utilizzo della scala di equivalenza Isee al calcolo dell’importo del Reddito di cittadinanza e al requisito di accesso relativo al reddito equivalente familiare, per un costo di 2.600 milioni di euro”.
I proclami della premier
Nel frattempo è cambiato il governo e ora il pallino è nelle mani di Giorgia Meloni che non ha mai nascosto in campagna elettorale le sue idee in proposito: il Reddito di Cittadinanza va cancellato. Così dopo uno scontro soft all’interno della maggioranza (pare sia stata la ministra Calderone a suggerire prudenza), è passata la linea di Palazzo Chigi. Per ora, nel corso del 2023, si comincia a svuotare progressivamente il Reddito. Poi dal gennaio del 2024, più niente. Attendiamo di vedere i passaggi finali e formali della manovra del governo per completare la nostra analisi, ma la direzione è già segnata. Sui quotidiani di questi giorni leggiamo per esempio che il governo avrà otto mesi per evitare che dal primo settembre dell’anno prossimo 404 mila famiglie – quelle che non hanno figli minori, anziani sopra i 60 anni o disabili – rimangano senza i soldi del Reddito di cittadinanza. E anche senza una busta paga. La card gialla sarà ricaricata fino ad agosto. Poi il nulla. E dal primo gennaio 2024, il Reddito sarà abolito per tutti.
Nessuno è in grado di dire in questo momento se e come il Reddito di Cittadinanza verrà sostituito con altri strumenti di intervento sociale. Da alcune anticipazioni stampa si è saputo che potrebbe essere sdoppiato in una misura di assistenza per i poveri, affidata ai Comuni. E in un percorso di formazione e riqualificazione offerto agli “abili al lavoro” che incrocerà per forza di cose il programma per l’occupabilità chiamato Gol, finanziato con 4,4 miliardi di fondi Pnrr. La ministra del Lavoro Marina Calderone starebbe pensando ad una riforma complessiva del sistema di welfare per i poveri e l’inclusione, da discutere insieme con le parti sociali, le associazioni e organizzazioni del terzo settore, i centri per l’impiego regionali e le agenzie del lavoro private.
Parziale retromarcia
Per quanto riguarda la manovra 2023 il governo (malgrado le intenzioni di Meloni e Salvini) è stato costretto ad accantonare l’idea della cancellazione immediata della legge sul Reddito, una scelta che avrebbe permesso di risparmiare 1,8 miliardi. Si è scelta quindi la strada della cancellazione progressiva, come ha spiegato la stessa ministra Calderone: “C’è un anno transitorio nel quale comunque tutte le persone in difficoltà saranno tutelate, chi non è in grado di lavorare avrà piena tutela e chi è in grado di lavorare invece avrà una riduzione dei mesi di sostegno, si porterà da 12 a otto mesi. Dal 2024 rivedremo l’intero sistema”.
Le nuove regole
Intanto ecco le nuove regole che varranno da subito. Oggi si possono rifiutare fino a due offerte “congrue” di lavoro senza perdere la card del Reddito. L’idea prevalente nel governo è quella di disattivare la tessera in futuro dopo il primo rifiuto. All’inizio erano possibili tre rifiuti prima di perdere il beneficio, poi il governo Draghi ha ridotto a due le possibilità di diniego di un’offerta di lavoro. Le famiglie coinvolte dall’applicazione delle nuove regole sono 404 mila. Secondo quanto calcolato nella Relazione tecnica alla misura, i dati Inps indicano in 1,039 milioni il numero medio annuo dei nuclei beneficiari: di questi i nuclei interessati sarebbero appunto oltre 400 mila, mentre 635 mila non sarebbero toccati. Le novità stabiliscono che nel 2023 i percettori occupabili tra 18 e 59 anni percepiscano il sostegno per massimo 8 mensilità. Restano esclusi i nuclei con la presenza di minori, di anziani sopra i 60 anni e di disabili.
Il Reddito compie quattro anni
Per ricordarlo diciamo anche che il Reddito di Cittadinanza è stata la più importante misura proposta dal Movimento 5 Stelle durante la campagna elettorale del 2018. Fu introdotto nel 2019 dal primo governo di Giuseppe Conte, guidato proprio dal Movimento 5 Stelle insieme alla Lega. Era uno strumento pensato per le famiglie e gli individui che si trovano in difficoltà economica, ma non è mai stato equiparato ad un sussidio di disoccupazione. Si tratta piuttosto di una misura di sostegno al reddito che rimane disponibile una volta terminati gli strumenti ordinari, come la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione. Alcuni dei beneficiari hanno anche un lavoro, che però non consente loro di raggiungere una soglia di reddito tale da uscire dalla povertà. Il fenomeno del lavoro povero – denunciato continuamente dai sindacati e in particolare dalla Cgil – è un fenomeno sempre più esteso e radicato nel sistema attuale del mercato del lavoro. Per quanto riguarda il Reddito di Cittadinanza c’è da dire infine che l’assegno è mensile, ma ha un importo fisso: dipende dal numero di componenti della famiglia, dall’Isee, dalle eventuali integrazioni per pagare l’affitto. L’erogazione dell’assegno è legata a un percorso di inserimento lavorativo, obbligatorio per i percettori tra i 18 e i 65 anni. Non è invece obbligatorio per i disabili o per chi ha a carico disabili o minori di tre anni.
Il mistero degli occupabili
Ora con le nuove regole gli “occupabili” sono persone tra i 18 e i 59 anni che possono oggettivamente lavorare e che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni. Con le nuove regole, nel 2023 alle persone che ricevono il reddito e definite “occupabili” sarà erogato l’assegno al massimo per 8 mensilità, invece delle attuali 18 rinnovabili. Durante questo periodo dovranno frequentare corsi obbligatori di formazione o riqualificazione professionale. Il sussidio decade se queste persone non frequentano i corsi o nel caso in cui rifiutino la prima offerta di lavoro “congrua”. Dal 2024 sarà tutto cancellato. Si può essere favorevoli o contrari a strumenti di questo genere ed è soprattutto chiarire fino in fondo la natura delle politiche assistenziali e di quelle legate al collocamento lavorativo. Ma è un dato di fatto che l’intervento pubblico con il Reddito di Cittadinanza ha quantomeno evitato una ulteriore mattanza sociale con la pandemia. L’Istat, l’istituto centrale di statistica, ha spiegato che questo tipo di intervento pubblico ha avuto un ruolo importante nel proteggere le famiglie dalla povertà: nel 2020 il Reddito di cittadinanza e il Reddito di emergenza (un sussidio straordinario erogato proprio a causa della pandemia) hanno evitato che circa un milione di cittadini arrivasse sotto la soglia della povertà assoluta.
Come si crea lavoro?
Rimane poi aperta l’altra questione gigantesca: come si creano posti di lavoro stabili e che cosa è oggi il lavoro e il suo mercato. Per avvicinarci a trattare con serietà queste questioni bisogna prima di tutto diradare le nebbie della propaganda. Lo ha spiegato bene su il manifesto Chiara Saraceno. La vulgata comune racconta di un mercato del lavoro florido. Dicono che il lavoro esiste e c’è spesso chi tira fuori casi di imprenditori che non trovano manodopera. “Ma è una balla, anche perché offrono salari troppo bassi oppure perché mancano le specializzazioni che non sono quelle dei percettori del reddito. Chi cerca un operaio specializzato in Friuli lo trova tra i percettori del reddito in Calabria? Temo di no, non funziona così”.