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Quanto ci costa realmente l’inflazione

Osservando la serie storica dei prezzi alla produzione nei paesi di punta europei si scopre una diversa dinamica delle pulsioni inflative che tanto preoccupano adesso le industrie.

I costi di produzione (crescita dei prezzi) e la crescita dei prezzi al consumo coincidono con quanto leggiamo sui giornali? Se il prezzo delle materie prime o la carenza delle stesse hanno determinato un aumento dei costi di produzione e, quindi, una crescita dei prezzi alla produzione in via più o meno permanente, questo incremento non sarebbe almeno visibile nella statistica? Inoltre, che relazione c’è tra aumento dei prezzi alla produzione e quelli al consumo?

Sui giornali leggiamo le recriminazioni del capitale: data la crescita dei prezzi dei cosiddetti beni intermedi e delle materie prime, le imprese rivendicano aiuti pubblici per attutire l’impatto del corso dei prezzi che, alla fine, potrebbero scaricarsi sui beni finali. Sembrerebbe un richiamo alla politica a beneficio dei poveri cittadini che si vedrebbero aumentare i prezzi e, quindi, determinare una riduzione del loro potere d’acquisto. Ovviamente non manca nemmeno la riflessione circa il possibile aumento permanente dell’inflazione che prefigurerebbe un aumento dei tassi di interesse, con tutte le conseguenze del caso rispetto al corso dei titoli pubblici. La riflessione è potenzialmente seria, ma quanti si sono presi la briga di osservare la serie storica dei prezzi alla produzione e al consumo? Sempre troppo pochi. Analizzando la dinamica dei prezzi di produzione e consumo (Eurostat) possiamo almeno osservare come Francia, Germania, Italia ed Europa a 19 si sono comportate.

Quello che registro, invece, è la stabilità dei prezzi alla produzione dei Paesi considerati (Europa 19, Francia, Germania e Italia), in particolare a partire dal 2012. Il rimbalzo del 2012 potrebbe essere attribuito alla crescita del PIL successiva alla crisi del 2008, così come a quella dei debiti sovrani. La serie storica conferma anche che al termine del 2012 i prezzi alla produzione tendono a stabilizzarsi. È un fenomeno importante per valutare se con il 2021 può accadere la stessa cosa. Osservo anche che l’Italia è l’unico Paese che registra dei veri aumenti dei prezzi alla produzione nel 2021, diversamente da Francia, Germania ed Europa 19. Una prima puntualizzazione la possiamo fare: 1) si osserva la forte sensibilità dell’Italia rispetto alla variazione dei prezzi dei beni intermedi e delle materie prime internazionali; 2) si osserva anche la tenuta (stabilità) degli altri Paesi rispetto a questo aspetto; 3) osserviamo anche che nel tempo i prezzi alla produzione tendono, in generale, a stabilizzarsi come esito dei processi innovativi e tecnologici. 

Dobbiamo quindi avere paura dell’aumento dei prezzi? Data la serie storica considerata, sarebbe più interessante guardare cosa si cela dietro la sostanziale riduzione (stabilità) dei prezzi nella produzione. Personalmente, credo che la stabilità dei prezzi nella produzione dipenda dal consolidamento dell’intensità tecnologica degli investimenti e, ovviamente, dal contenimento del costo del lavoro in generale, ma la crescita italiana dei prezzi alla produzione dell’ultimo anno (2021) sembrerebbe proporzionale alla bassa intensità tecnologica degli investimenti. Ogni qual volta si manifesta un “incidente” economico internazionale, l’Italia è incapace di governare o mitigare le dis-economie esterne. Alla fine, la ridotta dimensione delle imprese, con tutte le implicazioni dal alto della produttività – sempre più bassa di quelle medio grandi –, qualche effetto di struttura deve pur manifestarlo.

Dalla comparazione tra i prezzi alla produzione e prezzi al consumo, in realtà, emerge qualcosa di più, in particolare per Francia e Italia. Sebbene i prezzi alla produzione siano sostanzialmente stabili, quelli al consumo registrano una dinamica più alta. Evidentemente, nella così detta catena del valore di Italia e Francia deve pur esserci un qualche fenomeno (sociale ed economico) particolare tra la produzione e la vendita al pubblico di beni e servizi. Intendiamoci, l’inflazione al consumo dell’Italia rimane contenuta quanto se non di più della media europea, ma dal 2012 si osserva una certa distanza tra i prezzi alla produzione e i prezzi al consumo. Questa distanza meriterebbe una riflessione sulle possibili e/o potenziali politiche pubbliche. Non si tratta di “comprimere” i costi delle materie prime, piuttosto di modificare l’assetto economico e di potere del nostro Paese che subisce gli eventi esterni quasi fosse sempre una valanga. Si pensi alla riduzione dei costi energetici via legge di bilancio che non discrimina tra fonti rinnovabili e convenzionali. Tale politica ripropone gli stessi difetti e limiti del sistema economico; questi limiti non sono più tollerabili se consideriamo la sfida europea legata a Next Generation EU. Semmai si intravvedono extra-profitti che sono l’altra faccia della medaglia della despecializzazione italiana.

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