C’è poca scuola nei programmi elettorali delle forze politiche ma soprattutto di istruzione si parla solo per sottolineare risvolti identitari. L’impressione è che a prevalere sia l’intenzione di spremere dal gran calderone dello scontento scolastico il massimo possibile di consensi.
Dell’affidabilità dei programmi elettorali è sempre lecito dubitare. Succede spesso che non brillino per fattibilità, o che siano formulati in modo troppo generico rispetto al quanto, al come e qualche volta anche al perché. Vale anche per quelli sulla scuola, ed è stato così anche in altre stagioni politiche. Ma i tempi e i modi di altre campagne elettorali offrivano utili occasioni di capire, discutere, confrontare, rianimando passione e partecipazione. Non è così questa volta. Finora infatti di istruzione non si è parlato affatto, o solo di sfuggita e per sottolineare elementi o risvolti identitari: per esempio lo sport nella scuola contro le “devianze” giovanili, da parte di Giorgia Meloni; oppure, con il PD e i 5Stelle a rivendicarlo e la Lega a contrastarlo, lo ius scholae, che però non è affatto una politica scolastica ma una mini riforma delle norme vigenti sulla cittadinanza. Segno che le dichiarazioni dei leader sulla centralità dell’ istruzione rispetto alle sfide dell’evoluzione tecnologica, ambientale, sociale di un Paese in cui un giovane su due esce dalla scuola con competenze insufficienti e una parte consistente non arriva al diploma, non sono granché solide. Non è un aiuto alla chiarezza, inoltre, la sovrapposizione tra i programmi delle coalizioni ( quando ci sono ) e quelli dei partiti che le compongono. Ma ciò che più disturba è che i programmi consistano per lo più in elenchi di obiettivi non ordinati e coordinati secondo priorità, privi di un quadro strategico di riferimento.
L’impressione è che a prevalere sia l’intenzione di spremere dal gran calderone dello scontento scolastico il massimo possibile di consensi. Obiettivi come ami lanciati nella veloce e distratta corrente elettorale a gruppi di pressione e a interessi specifici, richiami a sensibilità culturali ed educative particolari, talora antichi e obsoleti cavalli di battaglia. Populismo è una parola grossa, ma diffuse curvature populiste ci può stare.
Il primo dato è che gli studenti non ci sono, e tanto meno la crisi di attrattività e di significati dell’apprendimento scolastico, mentre spiccano piuttosto le politiche del personale, incentrate sugli stipendi “non europei” e sul solito precariato, con un approccio che guarda più all’espansione degli organici che alla qualità organizzativa e professionale. Il secondo è l’assenza pressoché totale, che in verità non nasce da oggi, di proposte di modifica ordinamentale e di attenzione a tutti gli ambiti educativi e formativi che pure sono parte del sistema, la formazione professionale, l’istruzione per gli adulti, il lifelong learning, e a emergenze come l’esercito dei senza diploma, i NEET giovanissimi con al massimo la licenza media, gli studenti con back groundmigratorio. La terza è l’oblio di temi decisivi come l’autonomia scolastica, la governance del sistema di istruzione e formazione, il rapporto tra Stato e Regioni (mentre è martellante, nel centrodestra, quello delle scuole paritarie e della “libertà di scelta educativa delle famiglie” tramite buono scuola). La quarta è il silenzio sulla semplificazione delle procedure burocratiche nemiche giurate dell’efficienza, in primis quelle relative all’assegnazione delle supplenze. Ma l’elenco di quello che non c’è potrebbe essere parecchio più lungo.
Sono due le proposte di maggior peso anche perché più trasversali. Una, sostenuta da Azione-Italia Viva, Forza Italia, PD (curiosamente non i 5Stelle che pure l’hanno in passato molto cavalcata ), è lo sviluppo del Tempo Pieno nella primaria – peraltro già presente nel PNRR e pienamente coerente con la crescita costante della domanda – con plurime ma non equivalenti declinazioni, dall’allineamento delle aree meridionali alla situazione media del Centro-Nord fino alla generalizzazione in tutto il primo ciclo. L’altra è allineare gli stipendi degli insegnanti italiani ai livelli ( quali ? c’è chi dice “medi”, ma non è affatto chiaro ) degli insegnanti europei. Chi la propone ( 5Stelle, Lega, PD) si guarda bene dal quantificarla ( solo il PD precisa almeno “entro cinque anni” ) astenendosi diplomaticamente dal pronunciarsi sulle alternative, da tempo in campo, tra aumenti eguali per tutti o declinati, con l’introduzione di carriere non basata più sulla sola anzianità, sulla diversità di impegno, qualificazione professionale, funzioni e figure della scuola autonoma ( a cui accennano invece Azione-Italia Viva e Forza Italia ). Entrambe le proposte ( quale viene prima ? ) implicano programmi impegnativi, che nel primo caso coinvolgono anche l’edilizia scolastica e i servizi dei Comuni, e molto onerosi sul piano dei costi. Tuttoscuola, che si è meritoriamente dedicato a calcolarli, segnala che solo la generalizzazione del Tempo Pieno costerebbe 12 miliardi di Euro l’anno, 3 di più del Reddito di Cittadinanza. Anche altre proposte implicano costi molto alti ( 8 miliardi l’anno ) come quella di non oltre 15 alunni per classe ( Sinistra Italiana ), un obiettivo mai avanzato neppure negli anni Settanta ( e sensatamente circoscritto, da Azione-Italia Viva, alle sole aree di emergenza socio educativa ). Un libro dei sogni ? Fatti anche altri conti, Tuttoscuola calcola che l’insieme delle proposte di maggiore impatto richiederebbe un incremento di 15-20 miliardi della spesa attuale (che ammonta a circa 70 miliardi annui), non coerente con il quadro macroeconomico approvato in Parlamento. Perché gli insegnanti ( e l’opinione pubblica ) che sanno leggere e scrivere dovrebbero crederci? Non si lastrica così la strada di ulteriori frustrazioni ? L’enfasi sulla quantità più che sulla qualità, accompagnato dal cautissimo silenzio sul fatto che, per mero andamento demografico, perdiamo ogni anno quasi 100.000 iscritti, caratterizza anche altre proposte sul personale. Tra cui l’impegno a immettere in ruolo 150.000 precari (Lega ) e l’aumento del numero già abnorme ( quasi 200.000 ) degli insegnanti di sostegno (PD ) : tacendo, in questo secondo caso, l’imbarazzante realtà di un modello di inclusione che non funziona e delle tante specializzazioni che, anche per inefficienze delle università, non ci sono.
Trascurando le non poche stranezze spigolabili dai programmi ( ma non si può tacere di una Lega che oggi promette lo sviluppo di quell’alternanza scuola lavoro a cui qualche tempo fa il suo ministro Bussetti ha tagliato finanziamenti e tempi ), può essere utile sintetizzare i tratti caratterizzanti di quelli delle formazioni più importanti. I più dotati di una qualche coerenza interna sono quelli del Centro destra, di Azione- Italia Viva, dei 5Stelle, del PD. Il primo si caratterizza per una specifica attenzione alle scuole paritarie, alla libertà di scelta educativa di rito lombardo ( voucher ), all’istruzione tecnica e professionale e al rapporto scuola lavoro. Il secondo, l’unico a richiamare l’esigenza di un riordino dei cicli di cui la politica tace da anni, elenca titoli sensati sul rapporto istruzione, formazione, lavoro ( quindi alternanza ma anche formazione con modello duale e apprendistato formativo) e sulla necessità di sviluppare l’educazione civica. Il programma 5Stelle, incentrato sull’educazione affettiva e sessuale, vuole introdurre nelle scuole un bel pò di educatori e psicologi, come se l’istruzione fosse un apparato dedicato in primo luogo a lenire tormenti e disturbi della preadolescenza e dell’adolescenza. Il PD ha un programma tradizionalmente espansivo, in nome dell’equità sociale della scuola e del superamento delle diseguaglianze, con la proposta di obbligatorietà/gratuità delle scuole dell’infanzia e di obbligo di istruzione fino ai 18 anni. Intenzioni condivisibili ma proposte non convincenti, come si è visto dalla cattiva accoglienza del pubblico del Meeting di Rimini. Il primo per gli impatti disastrosi che, in assenza di apposite e costose contromisure, potrebbe produrre sulle scuole paritarie e comunali ( che sono quasi metà dell’offerta, e maggioritarie in gran parte del Nord). Il secondo perché inutile in una scuola che, per ben altri motivi dalla durata dell’obbligo, non riesce ad eliminare i gravi insuccessi scolastici e gli abbandoni neppure nella scuola media e tanto meno nel mai riformato biennio delle superiori. Per non parlare della grandinata che pioverebbe sul sistema di istruzione formazione per la qualifica e il diploma, che è un antidoto prezioso, soprattutto dove si sviluppa su 4 anni e si svolge con modello duale, agli abbandoni precoci.
E poi ci sono, si sa e si può immaginare, le politiche di una destra illiberale e provinciale. La Lega scrive, per esempio, che tutte le attività educative con risvolti valoriali – educazione alla cittadinanza, alla legalità, alle pari opportunità, contro il bullismo e contro le discriminazioni nonché l’educazione sessuale – devono essere preliminarmente autorizzate dai genitori. Un’ insostenibile invasione di campo, in una scuola già fin troppo assediata da un rapporto con le famiglie non sempre appropriato, nella responsabilità ed autonomia delle scuole che fa temere politiche di regimi di altri paesi e di altri tempi. Cui si aggiunge la tetra coloritura degli slogan no alla propaganda, all’ideologia gender e, già che ci siamo, anche alla DAD. Ma bisogna saperlo che non vengono solo da qui i problemi.
Fiorella Farinelli – Politica e saggista, docente esperta di istruzione e formazione, componente dell’Osservatorio nazionale per l’Integrazione degli alunni stranieri
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