Una buona notizia per la materna, mezza buona notizia per le elementari, rinvio per le superiori. Il ministro si piega alla realtà. Ma tanto resta ancora da fare
Proprio non ce la fa Maria Stella Gelmini a tenere da sola la barra. Quando si trattava dei tagli, e perfino delle forzature ideologiche di accompagnamento, è stato il potente Tremonti a guidare le danze, con le sue indimenticabili argomentazioni sull’insuperabile bontà del maestro unico e delle votazioni in decimi . Ora che i tagli tocca tagliarli almeno un pò, all’incontro con i sindacati dell’11 dicembre Maria Stella ci è arrivata sotto la protezione di mezzo governo, Letta, Brunetta e addirittura Sacconi. La marcia indietro, del resto, era annunciata. Mesi di mobilitazione nelle scuole e nelle università, il successo dello sciopero e della manifestazione sindacale unitaria del 30 ottobre, le ripetute tensioni con Regioni e Autonomie Locali, forse anche il sospetto – qualche scheggia di buon senso ci sarà pure, anche in questa maggioranza – che ai mille guai di tante famiglie in questa recessione non si possono aggiungere anche quelli di una materna che chiude le sue porte a mezzogiorno o di un tempo pieno che sparisce nel nulla, tutto questo insieme di circostanze ha finalmente prodotto qualche incrinatura anche nella maggioranza parlamentare. Tant’è che la Commissione Cultura della Camera, presieduta da una Valentina Aprea non precisamente entusiasta del nuovo ministro, pur dando via libera al suo “piano programmatico”, ha suggerito di derubricare in facoltativo quello che doveva essere il pezzo forte del programma, cioè il maestro unico, avanzando per di più parecchie altre condizioni e cautele. Il resto ce l’hanno messo i tempi , troppo stretti per il pesante e poco creativo apparato ministeriale. Impossibile – con una scadenza delle nuove iscrizioni fissata alla fine di gennaio, e ora inutilmente procrastinata di un mese – dare il via al riordino della scuola secondaria superiore : così nelle stanze segrete di viale Trastevere ci sono stati prima arretramenti sulla parte più complicata e più a ridosso delle prerogative delle Regioni, cioè gli istituti professionali; e poi il rinvio anche per l’istruzione liceale e per quella tecnica. Un disastro, del resto, questa pretesa di definire strategie e regolamenti senza discuterne preventivamente con nessuno: nelle ultime settimane è stato tutto un agitarsi di insegnanti di indirizzi sperimentali, di istituti scolastici preoccupati a torto o a ragione di una loro prossima scomparsa o ridenominazione, con la possibilità tutt’altro che remota di nuove fiammate mediatiche e di nuove agitazioni.
Marcia indietro, dunque. Intanto sull’idea perversa di chiudere le scuole materne a mezzogiorno. Il verbale dell’incontro sindacati-governo scrive che sarà “prioritario” il modello a 40 ore settimanali con due insegnanti per sezione, e “residuale” – se richiesto dalle famiglie – la scuola solo antimeridiana. Finito, dunque, almeno per il momento, il timore dei Comuni di dover in qualche modo rammendare i buchi di una scuola che non tenga conto delle mamme che lavorano o che cercano lavoro. Quanto alla scuola primaria, resta in sostanza la linea Moratti – quella dell’articolazione degli orari settimanali a 27,30,40 ore , con le 24 ore e il maestro unico solo se richiesto dalle famiglie (ce ne saranno, di straconvinte dagli argomenti di Gelmini-Tremonti ?). Stesso schema per la scuola media, 29-30 ore per il funzionamento ordinario, e tempo prolungato – se richiesto – a 36-40. Congelato, inoltre, almeno per il 2009-2010, l’incremento del numero massimo degli alunni per classe ; e confermato il rapporto di un insegnante di sostegno ogni due allievi disabili. Rinviato invece al 2010-2011, per assicurare una corretta informazione di famiglie e studenti – e in verità per completare le complesse operazioni di ridefinizione degli indirizzi e di accorpamento delle classi di concorso – il riordino della scuola secondaria superiore. Promessa, infine, una linea più morbida sui precari. Vittoria, allora? La Cisl, pur apprezzando il risultato, dichiara di non essere entusiasta. Ed è una prudenza del tutto sensata: perché dagli schemi di regolamento che il Consiglio dei Ministri dovrebbe approvare la prossima settimana appare invece chiarissimo che la domanda – delle famiglie e delle scuole – dovrà fare i conti con gli organici che saranno decretati annualmente dal governo e attribuiti alle diverse aree regionali : fino al punto che per la prima volta viene affidato ai consigli di istituto il compito di definire, in caso di “eccedenza” della domanda di tempo lungo, pieno, prolungato, i criteri “di accesso”. Che è come dire che è possibile che la scuola non sia in grado di rispondere positivamente a tutte le richieste delle famiglie, e che dunque i diritti non sono eguali. Saranno modificati questi punti dei regolamenti , dopo la prima intesa tra governo e sindacati?
Resta comunque che il movimento ha aperto degli spazi nuovi e importanti. Che potranno essere utilizzati a livello locale, scuola per scuola, per contrastare i prevedibilissimi tentativi di negare nei fatti quello che si scrive negli accordi. Un esercizio certamente più interessante, se non altro perché tiene insieme i diversi attori della protesta e costringe a misurarsi con i bisogni concreti e con lo sviluppo concreto della autonomia scolastica, di quella bizzarra idea del PD di dislocare l’opposizione su un terreno del tutto improprio come la raccolta di firme per un improbabile referendum. C’è molto da fare, sopratutto nel Mezzogiorno, per recuperare il filo da troppo tempo dismesso, non solo del tempo pieno ma della realizzazione di una scuola di base di qualità, di Enti Locali più attenti ai servizi scolastici, al diritto allo studio, a un’edilizia dignitosa e sicura. Ma resta anche l’assurdità di politiche scolastiche che, mentre è assolutamente accertato che i problemi più acuti – quelli che portano al disastro di apprendimenti diffusamente inadeguati e di un’esclusione formativa che colpisce il 20 per cento circa dei giovani, il doppio della media Ue – sono nella scuola secondaria, continuano ministro dopo ministro a concentrarsi preliminarmente sul ciclo di base. E l’impianto culturale e didattico di una scuola media che non costruisce le motivazioni e gli strumenti necessari a proseguire con successo nella scuola superiore ? E il nuovo obbligo di istruzione fino ai sedici anni , formalmente attuato da un anno e già dimenticato, che dovrebbe assicurare a tutti le competenze-chiave e contrastare il tradizionale impianto disciplinarista, enciclopedico, astratto della scuola superiore ? E inoltre quali soluzioni si prevedono per i ragazzi interessati a conseguire una qualifica ora che gli istituti professionali dismettono i cicli triennali professionalizzanti, e per gli allievi dei percorsi integrati attivati dalle Regioni e sottofinanziati ? Problemi urgenti, ma rinviati a un altro momento, e del tutto taciuti nel verbale di accordo governo-sindacati . Così come non c’è una parola sul taglio di 1.500 insegnanti delle scuole per adulti, e della prossima chiusura dei corsi dedicati all’apprendimento della lingua italiana da parte dei migranti e di quelli che si prendono cura dei giovanissimi marginali. Si vola basso, insomma. Come se il solo pericolo venisse, per la scuola italiana, da quello che fa o prova a fare un governo non amico: e non anche da quello che non fa, che rinvia, che non ha l’intelligenza e la capacità di fare. E’ già successo, non una sola volta, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.