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Patto di Stabilità e crescita: una storia di fallimenti

Il nuovo Patto di Stabilità deve ancora essere votato dal Parlamento europeo, che – speriamo – può emendarlo. Anche se migliore del vecchio, il testo della Commissione divide i Paesi in buoni, meno buoni e cattivi, di fatto aumentando il divario tra paesi ricchi e poveri.

Rassegna e storia dei patti di stabilita in Europa

La storia dei vincoli europei sui bilanci pubblici inizia nel 1992. Con il Trattato Maastricht gli Stati membri dell’UE non solo avviano il processo economico-finanziario per adottare l’euro, ma per raggiungere l’obbiettivo della moneta unica sono introdotti dei limiti ai deficit pubblici pari al 3% e al 60% del PIL per il debito pubblico. Per assicurarsi sull’inevitabilità del processo, nel 1997 appare per la prima volta il Patto di Stabilità e Crescita che, tecnicamente, doveva rafforzare il monitoraggio e il coordinamento delle politiche fiscali ed economiche nazionali al fine di far rispettare i limiti di deficit e debito stabiliti dal Trattato di Maastricht, regole che nel 1999 e nel 2005 sono rafforzate.  Infatti, nel 2005 sono stabilite delle regole in una sorte di “Codice di condotta”.

Nel frattempo, arriva la crisi economica internazionale legata ai subprime (2008), che in Europa si allunga ai debiti sovrani (2010) 1. L’Europa, proseguendo la via dell’austerità, introduce alcune riforme importantissime; il Patto di Stabilità è affiancato da nuove regole note come Six Pact (2011) e Two Pact (2013) che rafforzano il coordinamento economico e introducono nuovi strumenti di monitoraggio. Sempre nel solco del sentiero dell’austerità; nel gennaio 2015 la Commissione pubblica una guida dettagliata su come applicherà le regole del Patto esistenti per rafforzare il legame tra riforme strutturali, investimenti e responsabilità fiscale. In sintesi, la storia economica europea è lastricata da continue e incessanti riforme restrittive dell’agibilità pubblica, interrotta solo con la sospensione dello stesso Patto in ragione della crisi pandemica del 2020 2. Si arriva così alla proposta della Commissione del novembre 2022 che delinea le linee guida della riforma del Patto di Stabilità e crescita, per chi scrive apprezzabile 3, la quale contemplava una riforma del quadro di governance economica e una riforma (ampia) della concezione e del funzionamento del Patto di Stabilità; nel marzo 2023 la Commissione adotta una proposta-comunicazione che gli Stati devono adottare. È una proposta che si allontana dal progetto iniziale 4, ma diventa ancora più amara con la decisione presa dai ministri dell’Economia di giovedì 20 dicembre 2023.

Quadro generale del nuovo Patto di Stabilità e Crescita

Il quadro generale del nuovo Patto non è propriamente un organico e chiaro progetto di rilancio della politica economica europea, la quale attraversa una fase economica incerta nel presente e, ancor di più, povera nell’immediato futuro; se consideriamo le sfide geopolitiche in corso, le questioni e riflessioni da fare dovevano essere di ben altro livello e consapevolezza.

In effetti, la distribuzione del PIL a prezzi costanti di quasi tutti i Paesi europei è una frazione di quello che sarebbe necessario per giocare alla pari con il colosso US e cinese. Inoltre, nel tempo l’Europa è diventata via via sempre più marginale nel consesso internazionale.

Proviamo a fissare i passaggi fondamentali del nuovo Patto di Stabilità e Crescita pattuito durante l’ultima riunione dei ministri dell’Economia europei del 20 dicembre 2023, con una avvertenza: il nuovo Patto deve ancora essere votato dal Parlamento europeo e l’esito del voto non è poi così scontato. La bocciatura del Fiscal Compact del Parlamento europeo del 2018 5dovrebbe almeno suggerire un po’ di cautela. Proviamo a fare una sintesi ragionata:

  • Il primo e condizionate passaggio del nuovo Patto è il seguente: la Commissione Europea metterà a punto i piani nazionali di spesa che diventano una sorta di indicatore per valutare e giudicare i piani predisposti dai singoli Paesi. Questi piani hanno una durata di 4 anni e devono assicurare la riduzione del deficit e del debito pubblico. La durata del Piano può allungarsi a 7 anni solo se sono assicurati investimenti e riforme per la crescita. Una ipotesi complessa e difficile, non tanto per i piani di investimento che dovrebbero seguire lo schema di Next Generation EU, forse il primo e credo ultimo piano europeo di politica economica, piuttosto per i presupposti sottesi al piano europeo che segue logiche e modelli econometrici che assumono come riferimento il così detto prodotto potenziale.
  • Il secondo oggetto del nuovo Patto riguarda il debito pubblico. Per garantire il rientro del debito pubblico, fortunatamente cresciuto durante la pandemia, si chiede agli Stati con un debito superiore al 90% del PIL, per esempio Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia e Belgio, una riduzione media annua del rapporto pari a 1 punto, che diventa 0,5 per i Paesi con un debito pubblico tra il 60 e il 90% del PIL. La Commissione antepone il taglio del debito (numeratore) alla crescita (denominatore), in profonda discontinuità con la proposta della stessa Commissione del novembre 2022, che metteva al centro della sua proposta la sostenibilità del debito e non la riduzione dello stesso 6. La formulazione del nuovo Patto divide i Paesi in: buoni, meno buoni e in cattivi. In qualche misura, la Commissione fornisce degli indicatori (ideali?) alla speculazione finanziaria e concorre in questo modo a far crescere il costo del servizio del debito pubblico. Nei fatti aumenta la forbice tra paesi “ricchi” e “poveri” 7.
  • Il terzo snodo del Patto è legato al deficit; formalmente rimane al 3% del PIL, ma in realtà l’obbiettivo (benchmark) è l’1,5% del PIL, con delle implicazioni “strutturali” che possono financo aggravare il raggiungimento di questo obbiettivo. Questo obbiettivo sarebbe una sorta di “clausola di salvaguardia” per assicurare ai governi uno spazio finanziario sufficiente per rispondere a eventuali shock economici. Questa definizione è migliore del pareggio di bilancio del “vecchio” Patto di stabilità, ma i presupposti sottesi a questo rientro sono quelli del primo punto, cioè dei piani di spesa di 4 o 7 anni delineati dalla Commissione europea a cui i governi devono in qualche modo adeguarsi. 
  • Sempre sul tema del deficit, in particolare rispetto alle procedure di infrazione ogni volta che il deficit supera la soglia del 3%, i Paesi devono ridurre il deficit di 0,5 punti di PIL. Una volta che il deficit ha raggiunto il 3%, l’entità del miglioramento annuale deve essere pari a 0,4% se il Paese sceglie un percorso di rientro di 4 anni e/o dello 0,25% se il percorso di rientro è di 7 anni, fino a quando non si raggiunge il benchmark dell’1,5% del rapporto deficit/PIL 8. Visto che i Paesi partono da situazioni di finanza pubblica diverse e hanno anche prospettive economiche diverse, questi ultimi obiettivi sembrerebbero per forza richiedere invece un percorso di aggiustamento differenziato. Matematicamente, il sistema appare sopra-determinato, con troppi vincoli da rispettare simultaneamente 9 .

Conclusione

Il quadro generale che emerge dal Patto è il seguente: è a margine migliore del vecchio Patto, ma elude completamente la politica economica pubblica predisponendo piani di austerità che intaccheranno la struttura dei sistemi economici europei, lo Stato sociale e indeboliscono l’intera Europa nella nuova geografia economica internazionale. L’aspetto curioso del nuovo Patto di Stabilità è relativo a una sorta di regime transitorio: nessun governo sembra voler assumersi la responsabilità del Patto. Infatti, le norme contemplano un regime transitorio tra il 2025 e il 2027 che considera alcune attenuanti, quali il costo del servizio del debito e alcune spese strategiche come quelle per la difesa. 

Forse il Parlamento europeo potrebbe intervenire per correggere i più gravi errori del Patto e potrebbe diventare una occasione per riconsegnare al Parlamento il ruolo di vero “gendarme” della democrazia. Come sottolinea con “amarezza” l’economista Gustavo Piga 10, la riforma del Patto avvia un processo di disgregazione dell’Unione e in particolare del nostro Paese. Inoltre, la riforma è disastrosa sul piano democratico, economico e geopolitico.

In aggiunta ai problemi appena ricordati, il sistema delle regole fiscali che emerge dalla contrattazione tra Paesi è molto più complicato di quello originariamente proposto dalla Commissione. Se uno degli obiettivi della riforma era la semplificazione delle regole fiscali, la versione uscita dall’accordo certamente non lo soddisfa. La speranza è che nella contrattazione finale con la Commissione e il Parlamento si riesca almeno a ridurre le inconsistenze o a chiarirne meglio i passaggi.

Il regime transitorio valido fino al 2027 è un espediente per affrancarsi dalle proprie responsabilità. Quello che manca è un progetto europeo all’altezza della sfida che dovrebbe affrontare.

NOTE:

1 Il dissesto dei conti pubblici della Grecia, reso noto nell’ottobre 2009, ha segnato il passaggio a una nuova fase della crisi, quella del debito sovrano, interrompendo la ripresa già incerta dopo la crisi dei subprime. La crisi ha avuto epicentro nei paesi periferici dell’eurozona (Portogallo, Irlanda e Grecia) per poi estendersi nel corso del 2011 a Spagna e Italia.

2 Consiglio, “Statement of EU ministers of finance on the Stability and Growth Pact in light of the COVID-19 crisis”, marzo 2020, disponibile qui: https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/03/23/statement-of-eu-ministers-of-finance-on-the-stability-and-growth-pact-in-light-of-the-covid-19-crisis/.

3 https://sbilanciamoci.info/la-bocciatura-del-fiscal-compact-apre-alla-riforma-del-bilancio-ue/

4 https://sbilanciamoci.info/considerazioni-sul-nuovo-patto-di-stabilita-ue/

5 https://sbilanciamoci.info/la-bocciatura-del-fiscal-compact-apre-alla-riforma-del-bilancio-ue/

6 https://sbilanciamoci.info/la-riforma-del-patto-di-stabilita-e-crescita-europeo/

7 Rispetto al concetto di Paesi ricchi e poveri europei, è il caso di ricordare che nessuno dei paesi europei è tecnicamente attrezzato per misurarsi con l’economia americana e cinese.

8 I Paesi sotto procedura dovranno concordare l’uso dei fondi pubblici con la Commissione europea nel rispetto delle traiettorie di aggiustamento del debito.

9 Bordignon M., 2023, Nasce il nuovo Patto di stabilità e crescita, La voce.info, https://lavoce.info/archives/103237/nasce-il-nuovo-patto-di-stabilita-e-crescita/

10 Intervista di Carlo di Foggia a Piga G., 22 dicembre 2023, UE e Italia contro sè stesse: vincoli non democratici, Il Fatto Quotidiano