Il 96% dei bandi di gara del Pnrr non prevede misure premiali per colmare il “gender gap”, che doveva essere misura trasversale delle 6 le missioni. Il monitoraggio è del think tank Period che con l’Università Aldo Moro ne analizzano le lacune in un convegno a Bari.
Che l’Italia non sia un paese per donne, è noto, soprattutto alle donne. A livello internazionale si chiama “gender gap” e una professoressa di Harvard, Claudia Goldin, proprio studiando il divario di genere nel mercato del lavoro ha appena vinto il Nobel per l’Economia 2023. L’Italia nella classifica stilata dal World Economic Forum per il 2023 è addirittura scivolata in basso di 13 posizioni, fino al 79° posto su 146 Paesi analizzati nelle diverse branche dell’indicatore globale, dall’accesso ai servizi alla rappresentanza. ( cfr Il Sole 24 ore). Ciò che non è detto, almeno finora, è che dall’analisi di dettaglio dei progetti messi in campo per ammodernare il Paese con i fondi del Pnrr risulta che non nel 96% dei bandi di gara non si prevedono misure premiali per la parità di genere, mentre nel 68% dei casi le stazioni appaltanti non hanno disposto obblighi per una quota di occupazione femminile o giovanile. E questo nonostante, come sottolinea l’ultimo rapporto Istat, l’occupazione femminile in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni) delle italiane resti in fondo alla classifica europea insieme alla Grecia: solo il 52, 6% delle donne partecipa all’attività lavorativa retribuita, una percentuale che si riduce di 15 punti percentuali nel Mezzogiorno. Non solo, i livelli di precarietà e di working poor, di part time involontari, sotto inquadramento, sono molto più alti tra le lavoratrici che tra i lavoratori. (nota in fondo *)
La riduzione del “gender gap” dovrebbe essere una delle missioni trasversali in tutte e 6 le missioni specifiche del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato da Bruxelles, di cui il governo sta cercando di ottenere l’approvazione della quarta tranche. Ma alla destra di governo, a quanto pare, questo aspetto della messa a terra dei progetti non interessa, rimanendo concentrata unicamente sulla caduta del tasso di natalità e quindi sull’unico contributo femminile alla società evidentemente ritenuto importante: la maternità. Come se quest’ultimo fenomeno non fosse che la risultante di tutto il contesto da prendere sotto esame.
Che il Pnrr deluda a valle dal punto di vista del riequilibrio delle disparità di genere più di quanto le basse aspettative a monte potessero ipotizzare, è una scoperta fatta dal think tank femminista Period, il quale proprio sull’argomento ha co-organizzato il 6 ottobre a Bari un convegno con il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Aldo Moro, invitando economisti, sociologi e una serie di associazioni e realtà locali e non del terzo settore.
La prima parte del convegno “Dati per Contare”, questo il titolo, è stato dedicato all’analisi generale del Pnrr nell’ottica dell’impatto sulla disparità di genere.
Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari, ha sottolineato come tutti i progetti del Pnrr cadano dall’alto, con un modello a canne d’organo, senza indicatori di bisogno che ne indirizzino l’attuazione. E come le disparità siano multi-scalari: non solo colpiscono le donne ma anche il Mezzogiorno, nonostante il criterio del 40% dei fondi di ciascun progetto per il Sud. Questa percentuale viene stabilità ex ante ma non controllata ex post mentre si è proceduto con bandi competitivi tra amministrazioni per buona parte delle risorse, quindi le istituzioni locali più indebolite, più piccole e meno attrezzate nella progettazione europea anche se con maggiori bisogni si sono viste sottrarre i fondi da quelle più forti. Questo sistema, applicato anche alle imprese, ha detto Viesti, può rendere il Pnrr un fattore di ulteriore polarizzazione e rivelarsi “parte di un meccanismo di sottosviluppo che tende a perpetuarsi”. Perciò in effetti, ha sottolineato, è essenziale un monitoraggio territoriale e capillare. Il problema fondamentale è che dalle mense, alle scuole, ai nidi, non si è partiti da indicatori di fabbisogno, mentre gran parte dei progetti inseriti erano già esistenti e rimasti nei cassetti. Altro problema: il governo attuale non ha rifinanziato il Fondo Opere Indifferibili istituito dal governo Draghi. E infine il problema dei problemi: per evitare di costruire nidi e ospedali o case di comunità che poi restino come scatole vuote, servono assunzioni di personale e quindi flussi di cassa, leggi di bilancio che rifinanzino sanità e welfare.
Marcella Corsi, ordinaria di economia politica presso il Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università La Sapienza di Roma, che da sempre si occupa di indicatori di diseguaglianza di genere, ha messo in rilievo quanto proprio la trasversalità dell’obiettivo di riduzione del gender gap nel Pnrr costituisse una condizionalità rilevante, specialmente per l’occupazione, perché si intendeva agire sulla domanda prima ancora che sull’offerta di lavoro, in relazione a una strategia generale che è quella del Gender equality index, unico indicatore aggregato sulla parità di genere. Quote di assunzioni di giovani, donne e categorie protette, così come misure premiali, ha rimarcato Corsi analizzando i dati di Period, Anac e Openpolis, sono sostanzialmente assenti nei bandi delle Regioni del Mezzogiorno e si concentrano in gare di importi alti e grandi società come le Fs. Chiara Ricci, dirigente del ministero dell’Economia e delle Finanze, ha confermato che la clausola di genere, giovani sotto i 36 anni e categorie protette per il 30% delle assunzioni al 76% è stata adottata per gare sopra i 10 milioni di euro mentre sotto i 40 mila euro di importo della gara è stata derogata. Ma ha anche spiegato che al momento la scarsa trasparenza dei dati non permette di verificare quale delle tre categorie è stata premiata. Né, ha aggiunto Valentina Cardinali, responsabile struttura mercato del lavoro di Inapp, si riesce a capire se questa clausola è stata indicata come auspicio o effettivamente esercitata. Il rischio è che il Pnrr, nato come piano di investimenti in infrastrutture materiale e immateriali e per riforme, si sia trasformato nell’implementazione di un piano di spesa, quindi seguendo logiche consolidate e vecchie, ha sottolineato Vincenzo Smaldore di OpenPolis.
Proposte e focus sulla Puglia sono venuti poi dai tre tavoli di lavoro con le associazioni locali e nazionali tra cui anche Sbilanciamoci: sulla riduzione del lavoro di cura delle donne; sul benessere abitativo e la fragilità sociale; sull’accesso alla sanità. Tra le proposte un Recup unico in ogni Regione per prestazioni sanitarie sia pubbliche che del privato convenzionato, un osservatorio nazionale sulla medicina di genere, una task force per la prevenzione oncologica in grado di raggiungere anche aree interne e isole, più fondi per il trasporto pubblico locale, assunzioni di personale per mense e tempo pieno nelle scuole, nuove case dello studente non private.
NOTE:
*”L’occupazione a tempo indeterminato è diventata una precondizione alla fecondità anche degli stranieri residenti oltre che delle coppie italiane (ndr in particolare delle donne come dai lavori di ricerca presentati nel corso del convegno): all’introduzione di Monica Pratesi, direttrice del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, al convegno “Un nuovo inizio? Fecondità e dinamiche familiari in Italia“.