Un’assemblea nazionale molto partecipata e rappresentativa all’Università La Sapienza di Roma è il fischio d’inizio del movimento contro la deriva autoritaria e illiberale del governo, contro il decreto Sicurezza al vaglio del Senato, la criminalizzazione del dissenso e delle proteste. Il 14 dicembre, la prova della piazza.
Manganelli a chi protesta e poi tutti dentro. Dentro il carcere, naturalmente. Anche le donne incinte o con figli neonati e poi gli occupanti di case, gli studenti – i primi specialmente se filopalestinesi – e gli ambientalisti radicali, gli operai che fanno blocchi stradali e picchetti davanti alle fabbriche che licenziano e delocalizzano, i fumatori non solo di marjuana ma anche di innocua cbd. E via così. Agli immigrati, dopo averli incarcerati in lager putridi per anni, si proibisca anche solo l’avere una scheda telefonica, non perché abbiano qualche losco traffico ma solo perché non hanno le carte, cioè il permesso di soggiorno, e non essendo in regola amministrativamente gli venga tolta la possibilità di chiamare i familiari a casa per dire che si sono salvati dalle onde del Mediterraneo, se proprio sono dovuti sopravvivere a eventuali menefreghismi della guardia costiera e peregrinazioni forzate delle navi umanitarie. Non è la Regina di Cuori di Alice, è Giorgia Meloni e il suo disegno di legge “Sicurezza” contro il quale si stanno mobilitando reti di associazioni in tutto il Paese. Si va preparando una manifestazione nazionale il prossimo 14 dicembre, oltre tante iniziative locali.
La manifestazione nazionale, che si spera oceanica (100 mila persone è l’obiettivo) è stata lanciata a quasi un mese di distanza – sabato 16 novembre – con una assemblea nazionale all’Università La Sapienza di Roma.
L’aula Aldo Moro della facoltà di Lettere e Filosofia non è riuscita a contenere il fiume di persone, per lo giovani ma non solo studenti – anche ragazzi dei centri sociali e di Extinction Rebellion – accorse al primo appuntamento nazionale di questo movimento. Gente in piedi, per terra, sulle scale, sulla porta e nell’atrio, ovunque. Sarebbe servita un’aula grande il doppio di quella, che già è tra le più grandi dell’ateneo romano, per contenerli tutti. Erano presenti delegazioni da Firenze, Bologna, Napoli, Milano. L’eurodeputata Ilaria Salis e la vice presidente della commissione Giustizia del Senato Ilaria Cucchi si sono collegate via web, Christian Raimo, sospeso dall’insegnamento per aver criticato il ministro Valditara, ha mandato un videomessaggio, Zerocalcare ha pronunciato un breve discorso di saluto e il presidente dell’Anpi Pagliarulo ha inviato una lettera di sostegno all’iniziativa. Mentre nell’atrio si raccoglievano le firme (sono già 1.600) per l’appello di Ginevra Bompiani, Pier Giorgio Ardeni, sottoscritto tra gli altri da Moni Ovadia, Fiorella Mannoia, Nadia Urbinati e Luisa Morgantini, che intendono costituire contro il ddl un “gruppo d’intervento disarmato”.
In effetti non è soltanto sull ddl Sicurezza che si è concentrata l’attenzione dell’assemblea – l’ex ddl 1660 secondo la numerazione della Camera, che alcuni interventi avrebbero voluto ribattezzare “ddl Paura” e che comunque sarebbe probabilmente eccessiva gloria chiamare disegno di legge Piantedosi – ma è stato discusso tutto l’impianto repressivo e autoritario del governo Meloni, dal progetto del premierato al decreto Cutro, dall’attacco alle ong che salvano naufraghi in mare al decreto Caivano, dagli attacchi alla magistratura sulle deportazioni in Albania alla legge sull’autonomia differenziata fortunatamente per ora bocciata dalla Corte costituzionale. “Una strategia autoritaria che punta a deformare l’ordine democratico”, è stata definita nella relazione introduttiva. Una strategia di applicazione selettiva del diritto penale, morbido per “gli amici”, cioè i colletti bianchi in odore di corruttela con l’abolizione dell’abuso d’ufficio e traffico di influenze o le forze dell’ordine lasciate libere di intervenire violentemente contro il dissenso, e duro per quelli che vengono considerati i “nemici interni”: tutti coloro che praticano disobbedienza civile, coloro che portano avanti lotte sociali e alla fine tutti coloro che non si conformano, i marginali, i poveri e i fragili.
Tra gli interventi più significativi, in ordine di alternanza al microfono, Dario Salvetti dell’ex Gkn di Campi Bisenzio ha centrato il focus sulla necessità di una risposta non puramente difensiva, ma trasformativa della società, che miri a riconquistare diritti sociali e democrazia partecipativa da tempo negletti e l’invito, ripetuto poi da quasi tutti gli oratori del sindacato (non solo rappresentanti dei metalmeccanici ma anche lavoratori dell’agroindustria e della scuola con la segretaria dell’Flc Gianna Fracassi), ad una grande partecipazione allo sciopero generale del 29 novembre.
Luigi Manconi, a nome dell’associazione A Buon Diritto, ha sottolineato il profilo “paranoide” della gestione del potere che accomuna le destre al governo, da Trump al sottosegretario Del Mastro. “Il ddl di cui stiamo parlando – ha sottolineato – fa parte di un clima culturale che si vuole introdurre nel corpo sociale prima ancora che nell’ordinamento e dimostra una torsione autoritaria persino più grave delle leggi speciali antiterrorismo del decennio ’70-80 perché qui a venire colpiti dai provvedimenti sono gli stili di vita, i comportamenti sociali e i corpi delle persone nelle loro relazioni”. “La posta in gioco – ha continuato Manconi – è il senso comune” e la base, il presupposto perché vinca questo progetto sul piano ideologico, politico e legislativo, è lo sdoganamento di un “processo di cosizzazione, riduzione a cose, di fatto disumanizzazione di parte della società”: che siano migranti descritti come cani e porci o tossicodipendenti o detenuti o rom.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha evidenziato due parametri usati per contraddistinguere provvedimenti legislativi di regimi autocratici: il primo è la genericità delle minacce contenute, come nel ddl italiano, il secondo è la messa al bando delle associazioni internazionali come agenti stranieri, operazione che ancora in Italia non è successa ma che neanche in Turchia è riuscita, è stata sconfitta pochi giorni fa, lasciando qualche speranza nella vittoria di questa nascente coalizione anti autoritaria anche in Italia. È il concetto di sicurezza proposto dalle destre che deve interrogarci, ha fatto presente Michele De Palma, segretario generale della Fiom. “Quando penso alla sicurezza, penso ai tre ragazzi ammazzati a Napoli, ai tre morti al giorno nei luoghi di lavoro, ai femminicidi, penso ai palestinesi che vengono trucidati, penso all’insicurezza e alla precarietà dei lavoratori a tempo indeterminato in somministrazione che non possono rivendicare alcun diritto pena il licenziamento, penso a mio padre per il quale abbiamo dovuto fare un giro per i pronti soccorsi”. La sicurezza sociale è ciò che vogliamo e ci danno un disegno di legge del capro espiatorio, della paura. “Eppure – ricorda De Palma – siamo noi la maggioranza di questo Paese, è bene ricordarlo sempre”.
“Non capiremmo il fascismo e il nazismo di ieri se tralasciassimo la disumanità ostentata a livello istituzionale, così come adesso si vuole imporre un’autocrazia elettiva legittimata unicamente dalle votazioni ma senza limiti”, ha argomentato il giurista Luigi Ferrajoli salendo in cattedra. Per Ferrajoli l’apice di questa verticalizzazione e personalizzazione del potere è nel progetto del premierato ma di base tutto ciò comporta una “subalternità ai mercati, sono infatti i mercati che vogliono sistemi autocratici e personalizzati che eseguano i loro voleri nella società e questo è un processo globale, nel quale si chiama democrazia ciò che è invece una concezione del dissenso come eversivo e del potere politico come privo di vincoli mentre la libertà è concepita come unicamente libertà del mercato”. Pertanto – ha sottolineato Ferrajoli – non ci si può limitare a difendere la difendere la Costituzione italiana, “il primo nostro dovere è collegarci con i movimenti di protesta in tutto il mondo perché la svolta è globale e mentre cresce la disuguaglianza, si diffondono le guerre e avanza la distruzione della natura, bisogna tenere a mente che l’uguaglianza o è di tutti o è un privilegio”.
“Il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana”: è questo il titolo dell’e-book di Antigone sul disegno di legge del ministro Piantedosi. E Susanna Marietti, che dell’associazione è coordinatrice nazionale, ne ha sintetizzato i caposaldi nel suo intervento. Ha messo in luce ad esempio che oltre a introdurre il reato di rivolta penitenziaria con pene altissime, si prevede anche per la resistenza passiva a un ordine, neanche qualificato come legittimo. “Di fatto si vuole tornare ad un carcere ottocentesco dove i detenuti, senza diritti, vanno a capo chino recitando preghiere. Ed è un regalo di contraccambio ai poliziotti per l’introduzione del reato di tortura soltanto nel luglio 2017 dopo che le Nazioni Unite ce lo imponevano”. Marietti sostiene che il ddl intende neutralizzare le fasce più marginali nelle carceri, dai tossicodipendenti ai migranti nel Cpt ai detenuti con disagio psichiatrico. “Hanno buttato la maschera, è l’annientamento dei poveracci, in sostanza ci dicono “non sappiamo cosa farne, rinchiudeteli e non ce li ridate mai più”.