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Musk e l’irresistibile ambizione dei tecnoligarchi

Elon Musk ha fondato il suo America Party per difendere i suoi interessi fortemente dipendenti dai fondi federali volendo giocare da ago della bilancia negli Stati in bilico del Midterm. L’atto trasuda però la tendenza della tecnoligarchia a farsi Stato eliminando ogni mediazione politica.

Il recente annuncio di Elon Musk su X/Twitter con il quale è stata formalmente annunciata la fondazione dell’America Party è arrivato buon ultimo ad agitare il già malmesso quadro politico  americano. Pressochè tutti i commenti politici al di qua e al di là dell’Atlantico hanno iniziato analizzando le possibilità elettorali del partito di Musk, tentando di approfondire le cause esplicite o  implicite che sottostanno alla decisione (significativamente lo scontro tra due personaggi entrambi incapaci di lasciare il passo ove necessario). Molto in secondo piano appare essere qualcosa che la mossa del tycoon sembrerebbe pure disvelare: l’ambizione profonda delle oligarchie tecnologiche a saltare la mediazione della politica, la stessa politica che ha alimentato il loro potere. 

Il potere economico delle loro aziende supera quello di molti Stati e la pervasività che le stesse aziende hanno raggiunto nei gangli del vivere civile le rende difficilmente aggredibili, a meno di non voler metter mano a una profonda revisione delle stesse modalità di governo delineatesi in Occidente negli ultimi 30 anni: una cosa che non appare al momento all’orizzonte. E’ la stessa impostazione ideologico-filosofica   che accomuna Musk e molti capi delle aziende tecnologiche che mal si concilia con le necessità di mediazione e indirizzo connesse al potere politico. Fino ad oggi le tecno-oligarchie sono apparse del tutto allineate con i poteri del momento, anche se la seconda presidenza Trump ha mostrato un “accorrere a corte” mai osservato precedentemente.  Già oggi gli oligarchi tecnologici hanno superato il ruolo di mero supporto tecnico all’azione politica. Il DOGE (Department of Government Efficiency), organismo per l’efficenza governativa ideato e guidato da Musk, ha operato quale agenzia per i licenziamenti di massa in ruoli definiti obsoleti e inutili secondo il giudizio e attraverso modalità e algoritmi decisi dallo stesso Musk. Un intreccio tecno-politico che non appartiene al solo DOGE, ma che è da tempo presente, più o meno sottotraccia e a bassa intensità, in molti settori dell’apparato pubblico. Ed è grazie a questo tipo di intrecci che il potere delle Big Tech è cresciuto, con piena complicità del sistema politico. Le  tecno-oligarchie sono oggi in grado di esprimere una potenza che le rende pronte, in prospettiva, a rompere ogni ricomposizione con lo stesso potere politico che le ha alimentate finora.

Il processo ha radici lontane, ed è insito nella storia stessa di Internet (nata da una iniziativa militare) e del personal computer. Ben alimentata nel tempo sia dalle presidenze repubblicane che democratiche, è la stessa storia della Silicon Valley ad essere intrisa di soldi pubblici, volontà di potenza e commistioni antidemocratiche. Il tutto va a smentire una primitiva visione che narrava le tecnologie informatiche come tecnologie di liberazione. La realtà è stata altra. Ben prima degli attentati dell’11 Settembre 2001 le agenzie statali hanno avuto ruoli più che attivi nello sviluppo dei dispositivi e delle tecnologie digitali. Spesso mascherate da investitori apparentemente indipendenti le tecnologie informatiche si sono enormemente sviluppate a partire da tali interventi. Gli attentati dell’11 Settembre hanno dato avvio a quello che è stato definito “Il capitalismo della sorveglianza”. Le agenzie di sicurezza nazionale hanno sdoganato una massiccia attività di promozione e controllo da parte delle Big Tech: queste ultime sono state abilitate e sovvenzionate per entrare in maniera indiscriminata nei dati che i loro utenti, più o meno consapevolmente, fornivano. Con gli stessi dati che fanno da substrato a quella che oggi è chiamata Intelligenza Artificiale Generativa.

L’epidemia mondiale del COVID 19 ha reso le tecnologie informatiche ancora più pervasive, quando non essenziali, promuovendo utilizzi diffusi in ambiti che difficilmente, in assenza dell’evento endemico, avrebbero potuto esser concepiti. E portando ad un diffuso spostamento della vita sociale dai luoghi fisici ai luoghi immateriali della Rete, contribuendo a trasformare le discussioni in polarizzazioni cristallizzate o bolle epidemiche. Una modalità che permette ai social di diventare gli strumenti di una guerra cognitiva di massa. Pur non volendo qui approfondire gli intrecci militari e di sicurezza che delineano un vero e proprio complesso digitale-militare-industriale, il ruolo nefasto che le Big Tech stanno svolgendo nell’attualità delle guerre europee o mediorientali, così come nel controllo sociale, emerge con forza. Sta di fatto che la delega di funzioni pubbliche verso piattaforme private è sempre più massiva. Ed è, gia oggi, un problema di democrazia: le aziende usano da tempo la loro potenza per indirizzare le decisioni verso i loro interessi, nella completa opacità nei confronti dei cittadini e di un decisore politico formale il più delle volte semplicemente inconsapevole (quando non entusiasta) di quel che sta avallando.

Musk, con le sue aziende, è coinvolto in tutti i settori tecnologici che beneficiano degli ingenti benefici pubblici. E’ cosa nota come il suo endorsment politico e finanziario abbia riguardato anche candidati democratici (a partire da Obama) prima di diventare il principale finanziatore della campagna di Trump. E’ stato uno scontro con le scelte di Biden  (che arrivò a non invitare Tesla in un summit sull’auto elettrica) a portare Elon verso l’approdo repubblicano. Oggi, partendo dalla corte di un presidente eletto anche grazie alla sua influenza, Elon Musk si trova di nuovo in contrasto con la politica. Certamente la sua contrarietà alla trumpiana legge di spesa “Big Beautiful Bill” ha avuto il ruolo di innesco formale del conflitto e della costituzione dell’America party, ma probabilmente altri nodi sono venuti alla luce. Risulta difficile non considerare la riduzione dei sussidi alle auto elettriche, con dirette conseguenze per Tesla, azienda che mostra difficoltà di vendita e di borsa sin dall’inizio del suo coinvolgimento politico o omettere dall’analisi  il ritiro forzato della candidatura a capo della NASA di Jared Isaacman, astronauta e amico di Musk, accusato dai MAGA repubblicani per il suo passato timido sostegno democratico. La stessa NASA che alimenta economicamente SpaceX. Gli  interessi industriali di Musk sono fortemente dipendenti dallo Stato: nell’energia le sue aziende Tesla e SolarCity dipendono dalle regolamentazioni ambientali; nello spazio SpaceX ha assunto un ruolo di quasi monopolista e per difendere la posizione deve evitare cambi strategici nei lanci militari (decisi dal DoD) e civili (decisi dalla NASA); nella IA, settore Musk dove possiede xAI – ora con il suo chatbot Grok 4 – non è stato certo contento del ruolo che Trump ha dato a Sam Altman e alla sua OpenAI. In questo senso la fondazione del suo partito, anche se riuscisse ad avere un successo solo limitato, potrà rendere Musk un interlocutore obbligato per le forze politiche, specie negli Stati in bilico, permettendogli in tal modo di proteggere i remunerativi contratti federali che lo vedono protagonista. Da un punto di vista generale l’America Party più che un partito vero e proprio si potrebbe rivelare una piattaforma digitale con la quale sviluppare e testare metodi di coinvolgimento politico sul suo social X, (a partire da quanto già fatto nel sondaggio iniziale sul nuovo partitio) mettendo a frutto i dati profilati su milioni di cittadini americani. 

Con lo strumento-partito Musk sembra avviarsi a creare le condizioni atte stabilizzare il suo ecosistema privato, che oggi è annidato all’interno dei gangli statali, ma con anche , in nuce, una capacità di fagocitazione che potrebbe tendere a farlo diventare esso stesso Stato. 

Con ciò esprime una volontà di costruzione di una tecnoalternativa politica, mediatica, infrastrutturale e militare che accomuna l’intero mondo  transumanista ed eugenetico della Silicon Valley.