Se le sentenze non si possono commentare, si può però ripercorrere cosa ha fatto Mimmo Lucano a Riace e con quali fini. Si capisce così molto meglio a chi ha pestato i piedi e perché chi lo ha sempre ostacolato ora pensa di aver vinto. E si sbaglia di grosso.
“Le sentenze non si commentano; figurarsi!…..Fiat iustitia et pereat mundus”. Così comincia e così finisce la “Piccola posta”, tutta da leggere, di Adriano Sofri sul Foglio di venerdì. Un rilevante tentativo di riflettere meglio sulla sentenza che ha inflitto tredici anni al già sindaco di Riace, Domenico Lucano. Anzi, Mimmo o’ curdo come hanno imparato a chiamarlo da quando, nel 1998, ha ospitato 66 uomini, 42 donne e 72 bambini di nazione curda fuggiti dalla Turchia con una nave seguendo l’impulso di Dino Frisullo. Era il suo debutto come criminale.
Riace era ed è ancora una realtà divisa in due. Una Riace Marina più ricca e popolata per effetto del turismo da fuori, venuto per il bel mare e per quello che c’era dentro e un’altra Riace, disabitata, nascosta più in alto. Mimmo o’ curdo ha capito che poteva spostare le persone giunte dal mare nella parte alta del paese, dando loro case e servizi e amicizia accogliente, senza obbligarle a riprendere il mare o i viaggi verso altre mete lontane. Anzi, questo era un modo per ridare vita al suo paese – duemila abitanti – in declino. Tutta qui la semplice scoperta o l’invenzione mirabilante, o il raggiro, la vera e propria truffa – come è stata chiamata nella sentenza – di Mimmo. Spostare più in alto i profughi, riconoscere nelle loro facce quelle di fratelli o di figli, partiti e poi tornati, aiutarli a sopravvivere, a vivere con decoro. Servivano attenzione, oggetti, beni di consumo; in un modo nell’altro i curdi che sbarcavano infreddoliti, bagnati, spaventati, ne poterono usufruire. Dalle parti di Riace ebbero attenzione, affetto, cibo, calore.
Si accorse di questa scelta il prefetto Mario Morcone. Questi a un certo punto della sua carriera, era stato in mezzo alla Guerra nei Balcani, con compiti di responsabilità, italiana e internazionale. Morcone aveva vissuto tra le popolazioni in fuga; aveva visto tutto, sapeva tutto. In Mimmo, lui che era da anni responsabile del Dipartimento italiano delle libertà civili e dell’immigrazione, trovò finalmente un alleato nella società civile, un sindaco attento all’immigrazione.
Fecero la guerra a entrambi; al ministero e nella politica. Morcone era troppo grosso per metterlo sotto processo; non si poteva cacciarlo via; lo dirottarono a Roma come commissario; con Mimmo ci si poteva sfogare. Altrove si parlava di lui come di un possibile premio Nobel per la pace; era indicato nella stampa internazionale come uno dei cento uomini più rappresentativi; e non essendo un gran ricchissimo industriale, non essendo un eroe dello sport o dei media, doveva essere indicato come uno dei migliori, uno dei dieci o venti uomini di cui non c’era da vergognarsi. Il mondo era orgoglioso di quel buon sentimento che egli rappresentava a nome di tutti; inoltre suggeriva una misura non troppo complicata, anzi applicabile subito, di un vivere civile, possibile, umano. Tutto questo era troppo per i vari Minniti o Salvini che si susseguivano a capo del ministero degli Interni. Mimmo rappresentava agli occhi del mondo intero, agli occhi dell’Italia benevolente un buono che diventava un modello inaccettabile, pericoloso per gli Interni: una vera e propria rivoluzione nell’assetto del pianeta e dei suoi poteri consolidati.
Si poteva mai ammettere che tutti gli uomini nascessero uguali? Uguali con gli stessi diritti, con la stessa libertà di partire e andare, di cercarsi una vita migliore, di provare a imparare e cambiare? Liberi di riuscire finalmente a pregare, a ballare, a leggere, a vestirsi, a mangiare ad amare secondo la propria scelta, d’accordo con tutte le altre persone? Liberi d’imparare dagli altri e in cambio liberi d’insegnare agli altri ciò che era bello conoscere e ricordare? Lucano, senza perdere tanto tempo con filosofemi, ha creduto di percorrere quella strada. Lo hanno respinto e credono di avere vinto, di aver sbarrato la strada per sempre. Come dice Fiorella Mannoia «andava punito, ha avuto il doppio della pena che era stata chiesta dal Pm. Perché quel modello era pericoloso, era un cattivo esempio per chi vuole che “Tutto cambi, perché nulla cambi”».
Forse, a guardar meglio, la strada di Mimmo adesso è più aperta di prima.