La crisi in Ucraina è il risultato della deriva sciagurata della politica internazionale e di un assetto delle relazioni internazionali che, dopo il 1989, è all’origine di tensioni e conflitti ripetuti e drammatici in quell’area del mondo.
Dopo la caduta del muro di Berlino il multilateralismo e lo scioglimento dei blocchi non sono mai arrivati. Dei due blocchi ne è rimasto in questi anni solo uno (la Nato) e questo, più che portare sicurezza, ha reso più turbolento il pianeta e ha anche alimentato le dinamiche di carattere imperiale della Russia di Putin e più in generale delle leadership nazionaliste e aggressive dell’Est Europa.
Gli Stati Uniti e la Nato si sono incamminati sulla strada della politica di potenza e del controllo militare del mondo in una logica unipolare e aggressiva. Invece di contribuire dopo il 1989 a una transizione equilibrata e democratica nei paesi dell’Est, gli Stati Uniti e la Nato hanno giocato pericolosamente con le trasformazioni (nazionaliste e populiste) di quei paesi, facendoli diventare avamposti militari dell’Alleanza Atlantica e iniettando dosi velenose di turbocapitalismo in società ancora fragili e devastate dal crollo del «socialismo reale».
Invece di disarmare politicamente i nazionalisti e inibire le leadership imperiali, Stati Uniti e Nato ne hanno alimentato le ambizioni di potere. Non ci vuole un genio della realpolitik per indovinare la prevedibile reazione di Putin di fronte alla possibile adesione dell’Ucraina alla Nato. Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse partecipato ad un’alleanza militare guidata da Putin? E d’altronde ancora ci ricordiamo come reagirono gli americani quando 60 anni fa i sovietici installarano i missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale.
In più va ricordato cosa sono i paesi dell’Europa orientale: spesso un groviglio di nazionalità, di religioni e di lingue diverse dove ogni forzatura nazionalista e separatista non può che provocare conflitti, guerre, violazioni dei diritti umani. In Ucraina, quasi il 20% della popolazione è russofona, a Kiev il 25%, nelle aree orientali fino al 90%. Il rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dell’Ucraina non può che andare di pari passo con la difesa dei diritti umani delle minoranze e con la valutazione di scelte, quando delicate e strategiche, che non possono essere prese senza condividerle con i vicini di casa.
A trent’anni dalla fine del blocco del Patto di Varsavia, Ucraina e Russia sono paesi attraversati da enormi povertà e diseguaglianze, dove l’economia ha spesso tratti di arretratezza atavica, ma anche di sacche di ricchezza enorme concentrata in pochi privilegiati, oligarchi che usano potere e criminalità per rimanere in sella. Tutto questo provoca una deriva nazionalista e populista, dinamiche sociali e politiche che vanno nella direzione della violenza e della sopraffazione interna ed esterna
Gli Stati Uniti e la Nato nell’allargamento ad Est, cercando una forzatura a proprio beneficio, hanno in realtà dato un assist formidabile a Putin che ha potuto oggi violare la sovranità dell’Ucraina e usare la crisi per rafforzarsi al proprio interno, a danno dell’opinione pubblica democratica e all’opposizione.
Ora serve una mobilitazione pacifista che sappia rilanciare l’obiettivo di un’Europa senza blocchi, come si diceva negli anni ‘80 nella mobilitazione contro il riarmo atomico: dall’Atlantico agli Urali. Le armi rafforzano Putin, la politica, se intelligente, lo indebolirebbe. Questa crisi devasta soprattutto l’Europa, più che gli Stati Uniti e di questo, magari, potrebbero non essere scontenti.
Serve una nuova conferenza di Helsinki sui diritti umani, delle minoranze e la difesa della democrazia: ma tutto ciò lo si fa con la politica e non con le armi e la guerra. Servirebbe una riedizione di quella Helsinki Citizens Assembly che nella prima metà degli anni ‘90 riuscì far dialogare pacifisti ed organizzazioni civiche dell’est e dell’ovest e a costruire iniziative comuni, allora soprattutto sulla guerra in Bosnia. Servirebbe una doppia delegazione di pacifisti a Kiev e a Mosca per far dialogare le forze ostili alla guerra, per ricostruire le condizioni di una «diplomazia dal basso» per la pace e la riconciliazione. E come ha ricordato un documento diffuso ieri dalla Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! (ora sul sito del manifesto) non solo è necessario che sia affermata da tutti la neutralità (come per la Finlandia nel dopoguerra) dell’Ucraina ma che sia istituita una fascia denuclearizzata e senza missili tra la Russia e l’Unione Europea, come proposto negli anni ‘80 da Brandt e Palme a fronte della crisi degli euromissili.
La politica e i governi vanno incalzati, vanno denunciate le scelte sbagliate di questi anni, le nostre politiche di riarmo (quest’anno il bilancio della difesa italiano è aumentato del 5,4%) che incentivano le scelte degli altri a fare lo stesso. Bisogna incalzare le Nazioni Unite – completamente assenti – e l’Unione europea che è divisa e balbetta. A questo serve una mobilitazione pacifista, che oggi deve essere sollecitata, promossa e portata avanti nel tempo: la crisi in quell’area del mondo non finirà presto.
Questo editoriale è stato pubblicato anche da il manifesto del 24/02/22
La crisi in Ucraina è il risultato della deriva sciagurata della politica internazionale e di un assetto delle relazioni internazionali che, dopo il 1989, è all’origine di tensioni e conflitti ripetuti e drammatici in quell’area del mondo.
Dopo la caduta del muro di Berlino il multilateralismo e lo scioglimento dei blocchi non sono mai arrivati. Dei due blocchi ne è rimasto in questi anni solo uno (la Nato) e questo, più che portare sicurezza, ha reso più turbolento il pianeta e ha anche alimentato le dinamiche di carattere imperiale della Russia di Putin e più in generale delle leadership nazionaliste e aggressive dell’Est Europa.
Gli Stati Uniti e la Nato si sono incamminati sulla strada della politica di potenza e del controllo militare del mondo in una logica unipolare e aggressiva. Invece di contribuire dopo il 1989 a una transizione equilibrata e democratica nei paesi dell’Est, gli Stati Uniti e la Nato hanno giocato pericolosamente con le trasformazioni (nazionaliste e populiste) di quei paesi, facendoli diventare avamposti militari dell’Alleanza Atlantica e iniettando dosi velenose di turbocapitalismo in società ancora fragili e devastate dal crollo del «socialismo reale».
Invece di disarmare politicamente i nazionalisti e inibire le leadership imperiali, Stati Uniti e Nato ne hanno alimentato le ambizioni di potere. Non ci vuole un genio della realpolitik per indovinare la prevedibile reazione di Putin di fronte alla possibile adesione dell’Ucraina alla Nato. Come avrebbero reagito gli Stati Uniti se il Canada avesse partecipato ad un’alleanza militare guidata da Putin? E d’altronde ancora ci ricordiamo come reagirono gli americani quando 60 anni fa i sovietici installarano i missili a Cuba. Si rischiò una nuova guerra mondiale.
In più va ricordato cosa sono i paesi dell’Europa orientale: spesso un groviglio di nazionalità, di religioni e di lingue diverse dove ogni forzatura nazionalista e separatista non può che provocare conflitti, guerre, violazioni dei diritti umani. In Ucraina, quasi il 20% della popolazione è russofona, a Kiev il 25%, nelle aree orientali fino al 90%. Il rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dell’Ucraina non può che andare di pari passo con la difesa dei diritti umani delle minoranze e con la valutazione di scelte, quando delicate e strategiche, che non possono essere prese senza condividerle con i vicini di casa.
A trent’anni dalla fine del blocco del Patto di Varsavia, Ucraina e Russia sono paesi attraversati da enormi povertà e diseguaglianze, dove l’economia ha spesso tratti di arretratezza atavica, ma anche di sacche di ricchezza enorme concentrata in pochi privilegiati, oligarchi che usano potere e criminalità per rimanere in sella. Tutto questo provoca una deriva nazionalista e populista, dinamiche sociali e politiche che vanno nella direzione della violenza e della sopraffazione interna ed esterna
Gli Stati Uniti e la Nato nell’allargamento ad Est, cercando una forzatura a proprio beneficio, hanno in realtà dato un assist formidabile a Putin che ha potuto oggi violare la sovranità dell’Ucraina e usare la crisi per rafforzarsi al proprio interno, a danno dell’opinione pubblica democratica e all’opposizione.
Ora serve una mobilitazione pacifista che sappia rilanciare l’obiettivo di un’Europa senza blocchi, come si diceva negli anni ‘80 nella mobilitazione contro il riarmo atomico: dall’Atlantico agli Urali. Le armi rafforzano Putin, la politica, se intelligente, lo indebolirebbe. Questa crisi devasta soprattutto l’Europa, più che gli Stati Uniti e di questo, magari, potrebbero non essere scontenti.
Serve una nuova conferenza di Helsinki sui diritti umani, delle minoranze e la difesa della democrazia: ma tutto ciò lo si fa con la politica e non con le armi e la guerra. Servirebbe una riedizione di quella Helsinki Citizens Assembly che nella prima metà degli anni ‘90 riuscì far dialogare pacifisti ed organizzazioni civiche dell’est e dell’ovest e a costruire iniziative comuni, allora soprattutto sulla guerra in Bosnia. Servirebbe una doppia delegazione di pacifisti a Kiev e a Mosca per far dialogare le forze ostili alla guerra, per ricostruire le condizioni di una «diplomazia dal basso» per la pace e la riconciliazione. E come ha ricordato un documento diffuso ieri dalla Rete Pace e Disarmo e Sbilanciamoci! (ora sul sito del manifesto) non solo è necessario che sia affermata da tutti la neutralità (come per la Finlandia nel dopoguerra) dell’Ucraina ma che sia istituita una fascia denuclearizzata e senza missili tra la Russia e l’Unione Europea, come proposto negli anni ‘80 da Brandt e Palme a fronte della crisi degli euromissili.
La politica e i governi vanno incalzati, vanno denunciate le scelte sbagliate di questi anni, le nostre politiche di riarmo (quest’anno il bilancio della difesa italiano è aumentato del 5,4%) che incentivano le scelte degli altri a fare lo stesso. Bisogna incalzare le Nazioni Unite – completamente assenti – e l’Unione europea che è divisa e balbetta. A questo serve una mobilitazione pacifista, che oggi deve essere sollecitata, promossa e portata avanti nel tempo: la crisi in quell’area del mondo non finirà presto.
Questo editoriale è stato pubblicato anche da il manifesto del 24/02/22