Il quotidiano della Linke tedesca, Neues Deutschland, ha pubblicato l’8-9 giugno scorso nello speciale Die Woche, quest’intervista a Luciana Castellina sulle elezioni europee, la proposta di negoziati sulla guerra Ucraina-Russia e il futuro della sinistra.
Lei ha pubblicato un appello sul quotidiano italiano “Corriere della Sera” in cui chiede al nuovo Europarlamento di prendere l’iniziativa per negoziati di pace nella guerra in Ucraina. Perché proprio ora?
Con i miei compagni siamo sempre stati in stretto contatto con il movimento per la pace, che era molto forte in Italia, soprattutto negli anni Ottanta. Per noi questa iniziativa è diventata ancora più urgente, dopo che il Segretario Generale della NATO Stoltenberg ha irresponsabilmente chiesto armi d’attacco per l’Ucraina.
Nel suo appello lei scrive che sia Mosca che Kiev dovrebbero riconoscere che non possono raggiungere i loro obiettivi. Questo significa che l’Ucraina dovrebbe rinunciare a riconquistare la sovranità nazionale sul Donbas e rinunciare alla Crimea?
Sono stata spesso nell’Unione Sovietica e in Russia. Non è mai venuto in mente a nessuno che la Crimea non sia russa. È diventata Ucraina, dopo essere stata parte della Russia per secoli, solo perché Khrushchev, lui stesso ucraino, dopo essere appartenuta alla Russia per un così lungo tempo, l’ha ceduta all’Ucraina, un gesto solo simbolico, visto che era comunque membro della Federazione sovietica, l’URSS. Queste sono regioni che hanno convissuto con la Russia per secoli e hanno mostrato che vogliono continuare a essere russe.
Ma dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica la Crimea faceva parte dell’Ucraina secondo il diritto internazionale. E nel caso dei referendum, ci sono accuse di manipolazione.
Naturalmente, non voglio giustificare Putin, per carità. Ma non si può gridare allo scandalo per il caso della Crimea, dopo che è stata dissolta la Jugoslavia sebbene ci fosse un trattato internazionale che vietava di alterare i confini usciti dalla seconda guerra mondiale senza un esplicito accordo, firmato da tutti (meno, naturalmente, che dagli Stati Uniti). E invece gli stati europei, primo fra tutti la Germania, riconobbero subito, una dopo l’altra, tutte le repubbliche della federazione che decisero unilateralmente di uscirne, così allegramente modificando i confini internazionali. Gli Stati indipendenti dell’ex Jugoslavia sono stati riconosciuti, senza alcuna regola, e ora sembra che nessuno se ne ricordi. più. Bisogna come sempre collocare gli eventi nel loro contesto storico.
Vorrei fosse riconosciuto che, se Putin è diventato forte nel suo Paese, la responsabilità è anche della Nato e dell’Unione europea. Quando il muro è caduto e Gorbaciov ha ritirato dall’Europa tutte le truppe sovietiche, sciogliendo di fatto il Patto di Varsavia, la Nato invece di fare altrettanto è stata ampliata da 12 a 30 Paesi, quelli intorno alla Russia, anziché cogliere l’occasione di creare rapporti di collaborazione con la nuova Russia, tanto più importante in un momento di grande smarrimento, in particolare delle nuove generazioni. Così facendo, hanno aperto la strada al nazionalismo e al revanscismo. Questo non assolve Putin, ma bisogna ricordarlo.
Quali conseguenze teme per l’Europa se la guerra continua?
L’Europa è completamente assente . Sono rimasta stupefatta quando il capo della Nato ha detto che dobbiamo fornire armi in modo da poter colpire anche la Russia. Allora perché c’è l’Europa? Stoltenberg decide, la Nato decide. Le elezioni europee diventano ridicole. Siamo sull’orlo di una guerra mondiale e nella campagna elettorale di questo non si parla.
Lei è stata membro del Parlamento europeo per 20 anni. Che cosa può fare questo Parlamento? Ha la possibilità di cambiare le cose?
Dal momento in cui sono entrata in Parlamento per la prima volta mi sono convinta di una cosa: non è vero che esiste un’unità europea, una cultura europea comune, storica. Ogni arco di trionfo che celebra la vittoria di un Paese coincide con la sconfitta del paese vicino. Non siamo nemmeno riusciti ancora mai a mettere insieme un libro di storia comune dell’Europa. Ogni volta che una commissione del Parlamento Europeo ha cominciato a lavorare a un libro del genere, il tentativo falliva perché gli storici dei vari paesi membri non riuscivano a mettersi d’accordo su come raccontarla. Non credo si possa cambiare questa situazione attraverso i Trattati. Se i tedeschi pensano che i greci non lavorano perché sono pigri, e i greci pensano che i tedeschi siano ancora tutti nazisti, allora capite che l’Europa non può essere costruita. Una cosa è stata fatta bene in Europa in questo senso, vale a dire l’opportunità per gli studenti di studiare altrove in Europa. Ma perché solo gli studenti? Sapete cosa suggerisco sempre? L’Erasmus per gli spazzini.
Perché proprio gli spazzini?
Da una parte, perché la spazzatura è attualmente un problema centrale in ognuno dei nostri paesi, dall’altro perché tutta la società, non solo gli studenti, deve abituarsi a conoscere e ad andare ad imparare in un altro Paese. È necessario ci sia un intreccio alla base delle società per costruire una comunità europea. L’Unione Europea non è una comunità, ma un insieme di Stati. Tutti pensano alla concorrenza, non c’è comunità.
Chi sono i partner della sinistra dentro e fuori il Parlamento Europeo?
Vedevo i Verdi tedeschi come un partner naturale, ma sono rimasta scioccata quando hanno preso posizioni molto bellicose. Ultimamente ci sono è stato molti mutamenti nei partiti politici in Europa, anche molte incertezze e crisi. E però io sono ancora ottimista. Non è vero che i giovani siano spoliticizzai, è solo che non gli interessa il dibattito che si svolge nei nostri Parlamenti, gli sembra lontano mille miglia dai problemi epocali che incombono. Pensano che il Parlamento, quello europeo così come quelli nazionali, discutano di questioni secondarie, senza prendere atto dei grandi mutamenti oggi necessari. Capiscono che le cose non possono andare avanti così. Ecco perché sono ottimista. Ma è necessario distruggere il vero nemico. Sapete chi è il vero nemico?
No, non lo so.
Tina, come la chiamano gli inglesi: There Is No Alternative. L’idea che non ci sia un’alternativa. Le giovani generazioni pensano che non si possa cambiare nulla, che non ci sia nessuna che si impegni davvero a costruire un’alternativa possibile. Quest’atteggiamento deve essere superato. Lavoro molto nei quartieri e vedo che la generazione dei giovanissimi ha bisogno di sentirsi protagonista del cambiamento, non hanno voglia di “volantinare” (sia pure digitalmente!) i discorsi fatti in Parlamento, oltretutto perché è noioso .
Molte buone iniziative del Parlamento europeo falliscono a causa del Consiglio dei ministri, il vero centro di potere dell’Unione europea. È l’intero sistema dell’Unione europea che va messo in discussione?
Manca la solidarietà, ma la solidarietà esiste solo all’interno di una comunità. I trattati dell’UE pongono la competitività come obiettivo centrale, cioè l’opposto della comunità. L’esistenza dell’Unione Europea è molto importante. Ma dobbiamo essere vigili, perché né i Parlamenti nazionali né il Parlamento europeo sono più i centri di potere dove si prendono le decisioni. Il vero problema oggi è che non sappiamo più dove stia il potere. Quando la Bayer ha acquistato la Monsanto non molto tempo fa, ha acquisito il controllo del 75% del mercato di prodotti essenziali per la nostra nutrizione, si è trattato di un evento di grande importanza. Ma si è trattato di una transazione privata, senza che nessun Parlamento sia stato consultato in proposito. Accordi come questi hanno più conseguenze di tutte le decisioni prese dai Parlamenti.
Cosa può fare l’Europa?
L’Europa ha un ruolo speciale da svolgere, perché è vero che, almeno fino ad oggi, è l’area del mondo dove, nonostante tutto si vive meglio. Ma è perchè qui abbiamo fatto più rivoluzioni, mentre ai paesi degli altri continenti glielo abbiamo impedito. Non solo: come giustamente ha scritto Karl Marx, il capitalismo si è sviluppato in Europa quando c’erano ancora forti aree pre-capitaliste tuttora vitali: l’aristocrazia, il mondo rurale e quello delle Chiese che hanno in qualche modo impedito che tutto fosse ridotto a merce, che hanno consentito di conservare una distanza, etica ed economica, verso il mercato. C’è stata, insomma, una resistenza culturale alla totale mercificazione. E qualche cosa di quella resistenza è tuttora presente. Quando mi chiedono cosa ci sia di comune in un’Europa che pure presenta diversità così significative fra un paese e l’altro, rispondo: la gastronomia. Ogni paese, ogni città ha infatti conservato il proprio modo di mangiare, ognuno ha i suoi formaggi, per esempio, sicché ci sono migliaia di formaggi anche se invece avere per tutti la “sottilette” come in America, aumenterebbe la produttività. I nostri pasti non sono solo “mangiare”, hanno anche un significato storico culturale, sociale. Non potremmo magiare “out of the frigo”, prodotti congelati. Quando ci fu, nel 1999, a Seattle, la prima contestazione del movimento no global contro l’Organizzazione mondiale del commercio che con i suoi processi di liberalizzazione stava appiattendo ogni cosa ricordo che uno dei leader di quella contestazione, José Bové, sfilò sventolando un pezzo di Rochefort, come simbolo di resistenza. E poi in comune abbiamo anche il carattere del nostro sindacalismo, questo davvero ovunque simile, in Svezia come in Grecia, non è solo negoziatore del prezzo della “merce lavoro”, ma anche portatore di valori etici, di una funzione politico-sociale, di una visione ideologica, di uno spirito comunitario. Penso, ad esempio, al welfare, che è una caratteristica europea fondamentale.
Anche le forze di sinistra sono critiche sulla politica di Bruxelles. Secondo lei, non dovrebbero comunque difendere l’Unione europea?
Penso che l’idea di una comunità europea come soggetto dovrebbe essere difesa perché abbiamo bisogno di ricostruire la democrazia dal basso, perché non può essere che le decisioni più importanti siano prese da poteri privati. L’Europa è una delle cose migliori che vorrei mantenere, il che non significa che sia d’accordo con quello che fa. Sono anzi molto critica sul suo stesso impianto. Ma poiché penso che sia difficile conservare un ordine democratico attraverso istituzioni mondiali, per esempio un solo grande parlamento universale, bisognerà prima o dopo puntare a grandi aree continentali che poi trovino i modi per coordinarsi fra loro.
Non abbiamo più bisogno degli Stati?
E’ assurdo pensare all’estinzione degli Stati, il problema è combattere una situazione in cui non sappiamo più dove sia il potere e come possiamo controllarlo. Il sistema in cui tutto viene deciso dai Parlamenti non funziona più perché il modello di partito politico che ha garantito canali di comunicazione fra società e istituzioni non esiste più, e i nuovi modi di comunicazione, le nuove tecnologie, hanno già stravolto le nostre società. Per questo l’europeismo deve essere accompagnato da forme di democrazia diretta, di partecipazione, da elementi di comunitarismo. Le idee di Rosa Luxemburg e di Antonio Gramsci sono fondamentali per costruire nuove forme di democrazia e un potere organizzato democraticamente. Dobbiamo colmare il vuoto lasciato dalla crisi democratica dei partiti.
Alle elezioni europee si prevede uno spostamento a destra, e ci sono sempre più governi, come in Italia, con partiti di estrema destra. Quali sono le ragioni?
Non è vero che il capitalismo ha vinto, è vero il contrario: il capitalismo è in crisi. Ha scoperto che il suo modello non funziona. Che il modello di industrializzare il mondo intero non funziona, per motivi ecologici, ma anche sociali. Dopo gli anni settanta, il capitalismo ha scoperto che non aveva più i margini per il compromesso socialdemocratico che aveva governato la società europea per trent’anni, né di estenderlo altrove. E’ arrivato il neoliberismo sfrenato, l’uso della forza nei rapporti internazionali, lo smantellamento della democrazia. Che cosa si fa quando ci si rende conto di essere deboli? Si ricorre alla violenza, è quello che stiamo vivendo oggi.
Abbiamo bisogno della rivoluzione?
Io penso che la rivoluzione non sia più una scelta, penso sia obbligatoria, perché il mutamento epocale che dobbiamo affrontare è indispensabile per sopravvivere. Ovviamente si tratta di capire cosa vuol dire fare la rivoluzione oggi, in una società dove la stessa collocazione del potere resta difficile da identificare. E però già Gramsci, ma anche Rosa Luxemburg, ci hanno dato consigli assai utili. Quando dico questo tutti si mettono paura, io ho invece paura di quella che può accadere se la rivoluzione non si fa. Mi hanno detto: magari facciamo una piccola rivoluzione. Va bene, meglio piccola che nessuna, è sempre meglio di niente. Ma bisogna prendere atto che il mutamento necessario è molto profondo, basti pensare alla catastrofe ecologica che ci minaccia. Che minaccia noi umani – che siamo peraltro solo lo 0,7 degli esseri viventi! – non la Terra, che può continuare a sopravvivere tranquilla, e né altri animali, che magari saranno anche contenti di essersi sbarazzati di noi!
Ha collaborato Uwe Sattler, traduzione di Martin Köhler, versione rivista e ampliata