Lo straordinario sviluppo asiatico degli ultimi anni mostra come la dominazione occidentale sugli affari del mondo sia alla fine. Una recensione del libro di Gideon Rachman, editorialista del Financial Times
In una sua opera a suo tempo famosa, Orientalismo, pubblicata nel 1978 (Said, 1978) e solo tardivamente tradotta in italiano, Edward Said registrava l’esistenza di un legame profondo tra l’insegnamento accademico e il pensiero occidentale da una parte e il progetto colonialista dall’altra; tale pensiero appariva tutto teso a dimostrare la radicale inferiorità dei popoli a suo tempo assoggettati, gli orientali, descritti come primitivi e arretrati rispetto a quelli occidentali. Tale assunto riposava peraltro anche sul silenzio dei primi.
Il carattere mistificatorio centrato sulla nozione di Oriente faceva tra l’altro riferimento ai pretesi elementi di irrazionalismo, fanatismo, dispotismo, passività, come caratteri generali ed immodificabili dei popoli di tale parte del mondo, cui si contrapponevano invece caratteristiche opposte da parte di quelli occidentali, che nella sostanza avevano quindi diritto a dominare il globo.
Al tempo dell’uscita del libro la situazione sul campo era ormai sostanzialmente cambiata, con la fine del colonialismo classico dietro le spalle, anche se si cercava da tempo, da parte delle potenze occidentali, e con un certo successo, di instaurare su nuove basi un rapporto di dipendenza economica tra centro e periferia. Comunque le teorizzazioni sull’arretratezza strutturale dell’Oriente rimanevano, almeno in parte, ancora in vita.
Siamo oggi ormai, peraltro, ad una bella vendetta della storia.
Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 i paesi emergenti, sostanzialmente gli “orientali”, hanno prodotto il 58% del pil mondiale e quindi quelli ricchi (ex-coloniali) solo il 42%, almeno prendendo in considerazione per misurarlo il criterio della parità dei poteri di acquisto. Sempre il Fondo ci informa che nel 2016 il pil dei primi, nonostante le loro attuali difficoltà, aumenterà del 4,2% e quello dei secondi dell’1,6%, accrescendo così ancora, sia pure di poco, il distacco tra i due blocchi. Sempre secondo i dati del Fondo, da solo il pil cinese sarà nel 2016, secondo le previsioni, pari a 20.880 miliardi di dollari e quello statunitense a 18.550 miliardi. Sappiamo inoltre che la popolazione degli Stati Uniti raggiunge oggi all’incirca il 5% di quella mondiale e quella dell’Unione Europea il 7%, mentre Cina ed India da soli pesano per quasi il 40% del totale.
Di fronte a questi dati la cosa più sorprendente è che non se ne parla quasi per nulla in giro o, quando si tocca l’argomento, soprattutto negli Stati Uniti, è quasi soltanto per riaffermare che il paese continuerà ad essere nel XXI secolo, secondo analisi per lo meno discutibili, la potenza dominante a livello economico, tecnologico, politico, militare.
Si vedano ad esempio, in proposito, alcuni dei brevi saggi contenuti nella raccolta dedicata a fare il punto sulla potenza statunitense e pubblicata di recente dal settimanale francese Courrier International (Courrier International, 2016); in particolare facciamo riferimento a scritti da autori americani.
Le tesi di Rachman
Ma qualcuno comincia invece a mettere in discussione tale ipotesi sulla base anche delle cifre sopra ricordate e a parlare invece di tendenza all’orientalizzazione del mondo, come si fa in un libro uscito da poco e scritto da un noto commentatore del Financial Times, Gideon Rachman (Rachmann, 2016). Si tratta per il momento di un caso quasi isolato, almeno nei media.
Di seguito riportiamo una sintesi delle analisi sviluppate nel volume dall’autore.
Egli ricorda intanto come per circa 500 anni, a partire dagli inizi dell’età coloniale europea, i destini dei popoli in Asia, Africa, America Latina sono stati modellati dalle decisioni prese in Europa, con l’aggiunta successiva degli Stati Uniti; ma ora, sottolinea Rachman, la dominazione occidentale sugli affari del mondo sta arrivando alla fine. La ragione sta, in particolare, per l’autore, soprattutto nello straordinario sviluppo economico asiatico degli ultimi cinquanta anni.
L’egemonia occidentale era basata sulla grande superiorità economica, militare e tecnologica, ma ora essa sta ora terminando e le conseguenze cominciano a farsi sentire nella politica mondiale.
Così il tema centrale degli anni della presidenza Obama è stato, per l’autore, proprio l’erosione progressiva del potere occidentale. Essa è connessa in particolare al risveglio della Cina, come viene mostrato in dettaglio nel testo.
In Asia, in particolare, la Cina sfida ormai la potenza degli Stati Uniti e del Giappone anche con pretese territoriali. Intanto gli stessi Stati Uniti cercano di bloccare l’avanzata cinese concentrando nell’area asiatica crescenti risorse sul piano militare, sviluppando una politica di alleanze con vari stati in funzione anticinese, cercando di far andare avanti, peraltro con difficoltà, un trattato commerciale, il TPP, che esclude il paese rivale.
Ma nella sostanza si deve registrare, anche fuori dall’Asia, una crescente e sostanziale incapacità occidentale di funzionare come un polo di potenza e di stabilità forte, non riuscendo più ad imporre il proprio ordine ad un mondo caotico.
Mentre diversi critici danno la colpa ad Obama di tale situazione, in realtà per Rachman ci sono delle forze più in profondità che sono all’opera, la più importante delle quali è il cambiamento in atto nel potere economico globale. Un momento simbolico di questa tendenza è stato il 2014, quando il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato che la Cina era ormai la prima economia mondiale dopo che gli Stati Uniti avevano dominato la scena all’incirca dal 1870 in poi.
Indicare peraltro quando i mutamenti nel potere economico cambieranno radicalmente la politica internazionale è difficile a dirsi, perché la connessione tra potere economico e forza politica non è necessariamente rigida, almeno nel breve-medio periodo. Ma nel lungo termine la relazione per l’autore si farà necessariamente sentire.
Questa tendenza al passaggio del testimone incrementa comunque la possibilità di un conflitto. In effetti le dispute e i sospetti tra gli Stati Uniti e la Cina sono cresciuti fortemente negli ultimi anni, nell’ambito anche di un aumento delle tensioni in Asia. Gli americani hanno compreso che essi non possono restare la potenza guida se cedono in Asia la loro posizione dominante sul terreno militare e su quello diplomatico, ma nello stesso tempo la Cina è decisa a non accettare più questo stato di cose. La questione è quindi se gli Stati Uniti devono resistere e come alle ambizioni cinesi nell’area dell’Asia-Pacifico: questo sarà il tema più critico nelle relazioni internazionali nei prossimi decenni.
Più in generale, la più grande sfida del XXI secolo sarà quella di gestire il processo di orientalizzazione del mondo nell’interesse dell’umanità intera.
L’autore, riprendendo le riflessioni di alcuni generali statunitensi, fa, tra l’altro, riferimento al possibile scatto della cosiddetta “trappola di Tucidide”. Il grande storico greco aveva a suo tempo descritto in dettaglio il devastante sviluppo del conflitto tra Atene e Sparta, cioè tra la potenza egemone e quella emergente nella Grecia antica. Questo motivo del conflitto tra la potenza dominante e quella che vuole sostituirla si ripeterà poi più volte nella storia.
Conclusioni
Abbiamo cercato di sintetizzare molto imperfettamente il testo dell’autore, che è certamente molto più articolato e ricco di sfumature di quanto abbiamo potuto rappresentare.
Non entriamo in dettaglio nel merito delle sue analisi e delle sue conclusioni, che condividiamo in gran parte, anche se non totalmente. Comunque, anche se il testo presenta qua e la qualche debolezza, dovuta, tra l’altro, alla sua visione sostanzialmente “anglosassone” delle cose, vale la pena di leggerlo.
Pensiamo in ogni caso che sia sostanzialmente giusto che i paesi asiatici, con in testa la Cina e l’India, ottengano una parte molto più grande rispetto a quella attuale del potere mondiale, visto anche il peso delle loro popolazioni e delle loro economie e che la pretesa degli Stati Uniti di voler mantenere, speriamo non a tutti i costi, la loro egemonia globale venga in qualche modo superata.
Ma certamente la transizione dalla situazione attuale a quella dei prossimi decenni potrebbe non essere delle più tranquille, anche perché, accanto al tentativo degli Stati Uniti di mantenere lo status quo, si registrano anche contrasti e potenziali conflitti tra gli stessi paesi emergenti.
Testi citati nell’articolo
–Courrier International, Special Etats-Unis, hors-série, settembre-ottobre-novembre 2016, Parigi
-Rachman G., Easternisation. War and peace in the asian century, The Bodley Head, Londra, 2016
-Said E., Orientalism, Pantheon Books, New York, 1978, trad. it. Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1991