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L’India al voto, il Paese delle contraddizioni

La crescita indiana è oggi la più elevata ma in una economia quasi solo informale, con grandissime sperequazioni, paralisi burocratiche. L’antica rivalità con la Cina si va trasformando attraverso i Brics mentre Modi sta trasformando il sistema in un regime sempre più autoritario.

Le elezioni indiane, che si stanno svolgendo a partire dal 19 aprile, ma il cui esito si conoscerà soltanto il 4 giugno, hanno fatto sì che i media internazionali rivolgessero finalmente la loro attenzione, sia pure temporaneamente, ad un paese normalmente trascurato dalle cronache, ma che pure tende ad essere sempre più al centro dell’economia e della politica dell’Asia e del mondo. 

India e Cina

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando alla conferenza di Bandung del 1955, che riuniva 29 paesi dell’Asia e dell’Africa, tra cui la Cina e l’India, allora strettamente unite. I rispettivi presidenti cinese e indiano Ciu Enlai e J. Nehru si ritrovarono a quella conferenza insieme anche a personaggi come Nasser, Tito, Sukarno, e tutti dichiararono di sostenere la lotta all’imperialismo, a favore dell’indipendenza dei popoli, mentre vagheggiavano di una cooperazione politica internazionale. 

Pochi anni dopo tra i due grandi paesi asiatici sarà invece la guerra; di cui i media occidentali daranno la colpa a Pechino, ma Bertrand Russell, con un’indagine indipendente, arriverà alla conclusione che ad iniziare le ostilità erano stati gli indiani. 

Da allora i rapporti tra i due più popolosi paesi del mondo sono stati sempre piuttosto ostili, sia pure tra alti e bassi, con varie scaramucce, sino allo scoppio di un altro conflitto nel 2020, le cui code si trascinano in qualche modo ancora oggi, anche se negli ultimi mesi si intravede qualche pallido segno di distensione. In questo secondo caso nessun personaggio all’altezza di Bertrand Russell è comunque intervenuto per stabilire chi sia stato il primo responsabile degli scontri.

Sul piano economico, alla fine degli anni Settanta del Novecento, al momento dell’avvio in Cina delle riforme economiche di Deng Xiaoping, il Pil dei due Paesi era sostanzialmente simile e dal momento che la popolazione indiana era allora inferiore a quella cinese, quello pro-capite era leggermente più elevato nel primo Paese. 

Da allora il quadro è enormemente cambiato. Oggi il Pil cinese, considerando il criterio dei prezzi di mercato, è quasi sei volte quello indiano (anche il reddito pro-capite cinese è di sei volte quello indiano, 12.000 dollari all’anno contro 2.000), mentre utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto è più grande di poco meno di tre volte.

Più in generale, tutti gli indicatori economici, sociali, sanitari, vedono dei valori nettamente migliori per la Cina, dal livello di analfabetismo alla speranza di vita media, dai livelli di disuguaglianza alla mortalità infantile, alle spese in ricerca e sviluppo, al numero dei brevetti, ecc., anche se la gran parte degli indici indiani sono in rilevante miglioramento nel tempo. 

Con qualche eccezione. Così, la spesa in ricerca e sviluppo rispetto al Pil è diminuita in India dallo 0,70% allo 0,65% negli ultimi anni, mentre in Cina siamo ormai intorno al 2,5%, con tendenza alla crescita (Reed, Lin, 2024); la vita media, che stava crescendo in India, negli ultimi anni segna una moderata flessione, mentre anche la disoccupazione giovanile peggiora nel tempo.

Sul fronte commerciale, le esportazioni dell’India verso la Cina si collocano intorno ai 16 miliardi di dollari all’anno, mentre le sue importazioni dalla Cina viaggiano intorno ai 100 miliardi (Thiagaragjan, 2024). 

Attualmente il Pil indiano presenta una crescita maggiore di quello cinese; nel primo caso si è registrato un valore del 6,7% nel 2023 e si prevede un 6,5% per il 2024; secondo almeno il FMI (qualche stima per il 2024 da parte di altre fonti risulta inferiore, mentre la cifra ufficiale indicata invece dal governo, a cui pochi però credono), è addirittura dell’8%, anche se ci sono dubbi sull’affidabilità delle statistiche economiche ufficiali. La Cina, dal canto suo, è cresciuta del 5,2% nel 2023, mentre le stime per il nuovo anno parlano di un valore intorno al 5,0% (i dati del primo trimestre sono del 5,3%). Va comunque ricordato che il Pil cinese è aumentato in passato di circa il 9,5% all’anno, per circa 40 anni (Keyu Jin, 2023). 

In ogni caso, il Pil indiano ha ormai superato quello giapponese, diventando il quarto al mondo con il criterio dei prezzi di mercato, mentre entro pochi anni dovrebbe superare anche quello tedesco. 

La proiezioni al 2050, per quello che possono valere, valutano che in quell’anno ci saranno solo tre grandi potenze economiche, nell’ordine: la Cina, gli Stati Uniti, l’India.

La crescita economica e i suoi problemi

La crescita economia indiana è oggi sicuramente quella più elevata tra le economie più importanti del pianeta, ma presenta dei problemi molto rilevanti.

In prima linea c’è quello dell’occupazione. Solo il 10% delle persone in età lavorativa ha un impiego nell’economia formale, mentre il restante 90% o è disoccupato o ha un qualche lavoro precario o molto precario (The Economist, 2024, a). Ogni anno 13 milioni di giovani entrano nel mercato del lavoro, mentre le donne che hanno un’occupazione rappresentano una percentuale molto bassa del totale – il loro tasso di partecipazione era nel 2022 pari al 24% della popolazione femminile, in riduzione rispetto agli anni precedenti (Reed, Lin, 2024). Il tasso di partecipazione alla forza lavoro per i giovani di età compresa tra i quindici e i 29 anni era solo del 42% nel 2022, essendo sceso drasticamente dal 2000, quando era del 54% (Thiagarajan, 2024).

Questo limita i consumi interni, che negli ultimi dieci anni sono cresciuti soltanto del 2,5-3,0% all’anno, mentre l’India non è nota per essere un grande paese esportatore. 

Le possibili soluzioni al problema del lavoro appaiono impervie. Sembrerebbe esclusa l’opzione cinese di un’industrializzazione a tappe forzate avendo come sbocco i mercati internazionali (The Economist, 2024, a). 

E questo per varie ragioni. Intanto ai tempi dell’ascesa cinese l’economia mondiale era in rapida crescita e i mercati apparivano molto aperti, mentre ora essa appare più in frenata e gli ostacoli ai movimenti delle merci si vanno facendo sempre più pesanti; d’altro canto, stanno andando avanti i processi di automazione che tendono a ridurre le necessità di manodopera; poi, ancora, la forza della macchina produttiva cinese appare per molti versi imbattibile. L’India ha nei confronti della Cina un problema molto importante di costi più elevati, quelli logistici e dell’energia in particolare, inoltre c’è una sostanziale mancanza di economie di scala. Un ambizioso programma lanciato nel 2014 dal presidente Modi e denominato “Make in India”, che avrebbe dovuto trasformare il settore manifatturiero, creare molte decine di milioni di nuovi posti di lavoro e portare l’incidenza delle attività industriali al 25% del Pil nel 2022, ha fatto naufragio e la sua incidenza sul Pil invece di aumentare, nel frattempo è diminuita, e lo stesso ha fatto il numero di occupati nel settore (Manier, 2024; Vohra, 2024).

Un’attività in cui ci sono buone prospettive di crescita è invece quella dell’esportazione dei servizi, che ha raggiunto in valore il 10% del Pil, in particolare con il forte sviluppo di quelli nel settore informatico; tale attività, insieme alla crescita delle infrastrutture, è tra i punti forti dell’economia indiana.

Tra i problemi più gravi c’è poi quello della concentrazione della ricchezza. L’1% della popolazione ne deteneva il 33% del totale del Paese diversi anni fa, mentre nel 2021 eravamo ormai al 40,5%% e il 50% della popolazione più povera possedeva nello stesso anno soltanto il 3% del totale (Oxfam International), il più alto livello di concentrazione tra i Paesi più importanti, superando anche Sudafrica, Brasile, Stati Uniti e collocandosi ai primissimi posti nel mondo. I due terzi della popolazione vivono in povertà quasi assoluta.

La distribuzione della ricchezza e del reddito sono poi concentrati nel Sud-ovest del Paese; in alcune città del Sud il tenore di vita è simile a quello dei paesi del Sud-Europa, mentre in alcune aree del Nord siamo ai livelli dell’Africa sub-sahariana. In generale, poi, soltanto 60 milioni di persone hanno un reddito superiore a 10.000 dollari all’anno (The Economist, 2024, a).

Il fattore Modi, la dimensione economica

Narendra Modi è al potere da 10 anni e dopo il voto plausibilmente resterà al suo posto almeno per altri cinque. I risultati economici e sociali ottenuti dal primo ministro in carica sono magnificati oltre misura dalla stampa del suo Paese e apparentemente confermati dalla gran parte della stampa internazionale, soprattutto perché l’India è vista in Occidente come un possibile contraltare alla Cina. 

E certamente il Pil indiano ha continuato a crescere negli ultimi dieci anni in maniera sostenuta. Ma lo ha fatto in misura un poco minore che sotto il governo precedente. In effetti dai primi anni Novanta in poi il Pil dell’India è aumentato ogni anno per circa 25 anni in media del 6,4%, contro il 5,6% sotto il governo di Modi (Reed, Lin, 2024). Il tasso di crescita del Pil pro-capite nello stesso periodo è cresciuto di circa la metà rispetto al periodo precedente (Chowdhuri, 2024). Gli investimenti esteri sono oggi al livello più basso degli ultimi venti anni (Chowdhuri, 2024); erano arrivati nel 2020 al 6,2% del totale mondiale, ma da allora sono caduti molto in basso, all’1,1% del totale nel 2023 (The Economist, 2024, a). Anche quelli interni privati languono, mentre l’occupazione in agricoltura, già intorno al 55% del totale della forza lavoro del Paese secondo alcune stime (Manier, 2024; altre sono un poco più prudenti), tende ad aumentare ancora negli ultimi 5 anni, in mancanza di sbocchi nei settori moderni, un’aberrazione per un Paese emergente e in crescita (Rajan, 2024), mentre l’incidenza del settore sul Pil si colloca soltanto intorno al 18% del totale, mostrando quindi una produttività del lavoro bassissima.

Si attribuiscono a Modi alcuni successi, quali quello della digitalizzazione dell’economia e del miglioramento del sistema fiscale, ma in realtà le sue attività sono soltanto la continuazione dei programmi e della tendenze passati e attribuibili per la gran parte ai governi precedenti (Chowdhuri, 2024). 

Un merito reale evidente del primo ministro è stato quello di essere riuscito ad accelerare gli investimenti in infrastrutture, così vitali per lo sviluppo del paese, anche se siamo ancora ben lontani dall’aver coperto tutte le necessità più importanti. Continuano invece a soffrire fortemente due altri pilastri fondamentali di un processo di sviluppo: la scuola e la sanità. 

Certamente Modi è un politico di grande capacità, di un livello assai superiore a quello di tanti altri politici populisti, da Trump, a Bolsonaro, a Boris Johnson (Guha, 2024). Peccato che le sue qualità siano indirizzate in direzioni che per la gran parte non fanno bene al Paese. A livello politico si deve attribuire al primo ministro la crescita di un capitalismo concentrato, oligarchico, clientelare (Bardhan, 2024), con una burocrazia pletorica e largamente inefficiente. Modi sostiene un ristretto numero di gruppi di imprese a base familiare o anche pubblici, per la gran parte a forma conglomerale, mentre trascura le piccole e medie imprese, che sono state colpite fortemente dal Covid, in particolare quelle operanti nei settori a forte intensità di lavoro, nonché da alcune politiche governative di qualche anno fa (Rajan, 2024).

Così il Paese presenta sempre più in economia un carattere fortemente duale, con i contrasti tra grandi/piccole impese, Sud/Nord, servizi/industria. 

Il Paese continua ad essere largamente protezionista; i dazi all’importazione sono in media uguali al 18,2%, contro ad esempio il 2,3% nel caso cinese. L’India è stata poi a lungo diffidente nei confronti degli accordi commerciali con il resto del mondo. Modi ha così rifiutato di entrare nel RCEP, il più grande accordo commerciale del mondo, che vede Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, insieme ai dieci Paesi dell’Asean; e questo forse per paura della Cina. Più di recente, comunque, Modi sembra assumere un atteggiamento più aperto e sta firmando diversi accordi con altri Paesi. 

Sul fronte dell’ambiente la gestione attuale appare disastrosa; non solo non si fa nulla per ridurre le emissioni e il consumo di risorse vitali, ma anzi si aggravano pesantemente i problemi del Paese con delle decisioni irresponsabili. L’India, tra l’altro, continua ad avere il triste primato delle città più inquinate del pianeta (Guha, 2024). 

La dimensione politica

In occasione delle elezioni, i giornali di tutto il mondo hanno stancamente ripetuto il mantra dell’India come “la più grande democrazia del mondo”. Ma realtà appare abbastanza diversa.

Modi ha ridotto fortemente l’indipendenza dei media, dei tribunali, della società civile (The Economist, 2024, b). Indagini fiscali e giudiziarie sono continuamente lanciate contro gli oppositori ed alcuni di essi vengono arrestati. Lo stesso capo del partito del Congresso è stato per qualche tempo sospeso dal Parlamento ed è sotto indagine giudiziaria. Ora, come riferisce il Guardian del 14 aprile, in numerosi Stati dell’Unione la polizia intimidisce i candidati alle elezioni dei partiti di opposizione per spingerli, di frequente con successo, a ritirare la loro candidatura.

L’India è poi diventata un paese confessionale e Modi va imponendo la tesi suprematista della superiorità degli hindu. I musulmani sono perseguitati in tutti i modi e considerati nemici; lo stesso trattamento subiscono anche le altre minoranze religiose, compresa quella cattolica. Lo stesso Modi ha affermato che se i musulmani, che egli chiama “infiltrati”, vincessero le elezioni, prenderebbero in mano tutta la ricchezza del Paese e, rivolgendosi in particolare alle donne, ha sostenuto che si farebbero consegnare tutto l’oro e i gioielli delle famiglie (Travelli, 2024).  Un politico governativo è arrivato a dire che se il partito del Congresso vincesse le elezioni, la proprietà dei bambini sarebbe consegnata ai musulmani. Intanto gli abitanti del Kashmir subiscono da decenni ogni sorta di repressione.

C’è anche chi parla ormai, riferendosi all’India, di regime “fascista” (Alpa Shah, 2024), definizione che però anche diversi oppositori rifiutano; ma qualcuno, insistendo su questa linea, ritrova le origini di tale deriva già nei governi precedenti (Chowdhuri, 2021).

I rapporti con l’Occidente

I Paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti, sperano di arruolare New Delhi nella loro crociata a tutto campo contro Pechino. L’India partecipa in effetti a molti accordi politici, militari e tecnologici con gli stessi Stati Uniti e con altri Paesi occidentali. Fa parte, tra l’altro, del cosiddetto “Dialogo Quadrilaterale per la Sicurezza”, insieme agli Stati Uniti, al Giappone e all’Australia. 

Le relazioni tra i due Paesi – India e Stati Uniti -, al di là della superficie, appaiono però fondamentalmente fragili (Grossman, 2024). Da parte statunitense intanto si registra, almeno ufficialmente, la preoccupazione per la deriva antidemocratica del Paese; nello specifico, poi, in questo momento ci sono delle difficoltà nei rapporti per la scoperta in Canada e negli Usa di tentativi di agenti indiani di uccidere oppositori al regime di Modi lì nascosti o espatriati. 

E infine gli Stati Uniti sono soprattutto preoccupati dei forti legami con la Russia, da cui tra l’altro l’India acquista grandi quantità di armi, nonché per la sua partecipazione al raggruppamento dei Brics e a quello dello Sco, organismi nella sostanza a guida di Cina e Russia e a cui partecipano anche altri Paesi ostili agli Stati Uniti come l’Iran. Per quanto riguarda in particolare i Brics, l’India è coinvolta a pieno titolo, oltre che nella banca del raggruppamento (la New Development Bank, di cui un indiano è stato per qualche tempo presidente), anche nel comitato che sta studiando una via d’uscita dal dollaro come mezzo di pagamento degli scambi internazionali.

D’altro lato, i due paesi asiatici rivali conducono da tempo una lotta piuttosto accesa per spingere in qualche modo dalla loro parte i paesi asiatici limitrofi.

Conclusioni

Per moltissimi secoli le economie cinese ed indiana, considerate insieme, hanno costituito all’incirca il 60% di quella mondiale, mentre ancora alla fine del Settecento, in piena rivoluzione industriale inglese, ne costituivano all’incirca il 50% (Maddison, 2007). Poi la stanchezza delle loro civiltà, l’aggressività e il colonialismo dei Paesi occidentali ed altri fattori hanno portato al declino e ad un peso del loro Pil inferiore al 4-5%. Ora apparentemente i due paesi tendono a ritornare sostanzialmente alla situazione precedente. 

Per qualche tempo, non moltissimi anni fa, si era ipotizzata una qualche forma di alleanza tra i due grandi Paesi. E certo, un tale evento, che peraltro non si vede spuntare all’orizzonte, porterebbe ad una loro fortissima presa sull’economia mondiale.

E’ difficile prevedere in quale direzione si muoveranno nei prossimi anni l’economia e la politica indiani; nel testo abbiamo voluto sottolineare come alcune tendenze in atto su vari fronti con il governo Modi spingano in direzioni apparentemente a nostro giudizio non desiderabili.

In ogni caso in questi anni stiamo assistendo ad una progressiva crisi del vecchio ordine internazionale, dominato, dopo la seconda guerra mondiale, dagli Stati Uniti e in via subordinata dai suoi alleati. India e Cina, sia pure da posizioni in qualche modo differenti, grazie anche alla loro crescente forza economica – è in quell’area del mondo che tende a fissarsi il centro dell’economia mondiale -, stanno combattendo a favore di un nuovo equilibrio dell’ordine mondiale che lasci un posto molto più rilevante ai Paesi emergenti; non sembrano esserci molti dubbi sul fatto che tale lotta avrà alla fine un esito positivo.

Testi citati nell’articolo

-Alpa Shah, The incarcerations: BK-16 and the search for democracy in India, Collins, Glasgow, 2024

-Bardhan P., Indian data may be overstating the economic performance, www.ft.com, 15 gennaio 2024

-Chowdhuri D. R., How India’s economy has really fared under Modi, Time magazine, 24 aprile 2024

-Chowdhuri D. R., To kill a democracy: India’s passage to despotism, Oxford University Press, Oxford, 2021

-Grossman D., Us-India ties remain fundamentally fragile, Foreign Policy, 4 aprile 2024

-Guha R., India’s feet of clay, Foreign Affairs, marzo-aprile 2024 

-Keyu Jin, The new China playbook, Swift Press, Londra, 2023

-Maddison A., Contours of the world economy, 1-2030 A. D., Oxford University Press, Oxford, 2007

-Manier B., L’Inde inégalitaire et sans emploi de Narendra Modi, Alternatives Economiques, maggio 2024

-Rajan R., Trading democracy for prosperity is a false choice for indians, www.ft.com, 13 maggio 2024

-Reed J., Lin A., In charts : how India has changed under Narendra Modi, www.ft.com, 9 gennaio 2024

The Economist, Special report, India’s economy, 27 aprile 2024, a

The Economist, The last Ghandi?, 20 aprile 2024, b

-Thiagarajan K., No jobs, no hope: how India and Cina are grappling with youth crisis, www.smcmp.com, 5 maggio 2024

-Travelli A., Modi calls Muslims “infiltrators” who would take India’s wealth, www.nytimes.com, 22 aprile 2024

-Vohra A., Modi’s “Make in India” didn’t make jobs, Foreign Policy, 19 aprile 2024