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Le difficoltà della Germania e quelle dell’Ue

Districarsi nella crisi tedesca non è facile. Al centro va messa la questione dell’auto, industria strettamente legata alle componentistica italiana. Di sicuro la crisi è europea, riguarda la guerra in Ucraina, ma anche l’incapacità dimostrata finora dall’Europa di capire quale strada intraprendere, stretta tra Cina e Usa.

Negli ultimi mesi i giornali si sono dedicati con particolare attenzione agli sviluppi economici recenti del paese teutonico. Forse i titoli più significativi in proposito sono quelli di un numero recente dell’Economist: “L’economia tedesca usava ispirare invidia, presto ispirerà solo preoccupazione” o di quello pubblicato da Die Zeit, “Il Made in Germany è finito”. 

Ieri ed oggi

A partire grosso modo dal l’inizio del nuovo secolo e fino quasi alla fine della seconda decade dello stesso la crescita del Pil tedesco è stata superiore a quella di tutti gli altri grandi paesi europei. 

Come sottolineato da più parti, il successo del modello economico del paese si basava su almeno quattro ingredienti. Intanto sulla leadership tecnologica nell’industria, in particolare in alcuni suoi settori, i veicoli, la chimica, la meccanica tra gli altri; poi sulla competitività di costo dei suoi prodotti, risultato dovuto, tra l’altro, da una parte al fatto che al momento del varo dell’euro il cambio con il marco fu fissato ad un livello molto favorevole alla Germania, dall’altra alla larga disponibilità di fonti di energia russa a buon mercato; ancora,  tale successo era dovuto alla stabilità geopolitica e al costante sviluppo dell’economia mondiale guidato dall’Asia e in particolare alla crescita del commercio internazionale; infine, alla forte coesione sociale e politica interna.

Poi, ad un certo punto, qualcosa sembra essersi rotto e indubbiamente le cifre recenti indicano che il paese attraversa un periodo di rilevanti difficoltà. Non è chiaro se siano temporanee o se invece indichino dei problemi strutturali; ma la gran parte dei commentatori propende per la seconda ipotesi. 

I dati della crisi 

L’economia del paese teutonico sarà probabilmente l’unica tra quelle del G7 a presentare una riduzione del Pil per il 2023, riduzione che si stima possa aggirarsi intorno allo 0.4%. Si prevede inoltre che nei prossimi cinque anni essa si svilupperà meno di quella di tutti i grandi paesi occidentali, tranne ovviamente di quella italiana. Il Fondo monetario internazionale prevede che essa crescerà complessivamente nel periodo 2019-2028 dell’8%, meno della Francia e come più o meno la Gran Bretagna, altro paese apparentemente nei guai, infine molto meno degli Usa. In particolare, la produzione industriale registra in questo momento il suo punto più basso e il livello degli ordini all’industria si va riducendo, mentre il settore dei servizi non riesce a compensare le difficoltà di quello industriale.

Le cause della crisi

-Il fronte interno

Sul fronte delle spiegazioni delle difficoltà, si fa riferimento a ragioni interne ed esterne al paese, anche se poi la distinzione tra i due fenomeni non risulta sempre molto netta. 

Per quanto riguarda le prime, si ricordano le strette politiche di bilancio dei governi tedeschi negli ultimi decenni, cosa che ha impedito, tra l’altro, di rinnovare adeguatamente il sistema di infrastrutture del paese, che ora risulta in parte decrepito. Negli ultimi mesi, per effettuare alcuni degli investimenti necessari superando il dogma del pareggio di bilancio, il governo è persino ricorso a espedienti contabili, prontamente messi in rilievo dalla Corte dei Conti. Così, per il 2024 le cifre ufficiali del governo parlavano di un deficit pari a 16,6 miliardi di euro, lo 0,4 del Pil, mentre quelle della Corte dei Conti lo correggono a 85,7 miliardi, cifra pari a circa il 2,4 del Pil, %. Non si tratterebbe di importi drammatici, se non aleggiasse sulla questione il dogma del pareggio. 

Tra gli altri e numerosi problemi, si ricorda ancora un apparato burocratico pubblico, e in parte anche privato, estremamente pesante, che rallenta fortemente i tempi delle decisioni e ostacola in particolare le politiche di rinnovamento; bisogna constatare che si tratta di un paese “lento”, come afferma qualcuno, in particolare per quanto riguarda le novità. Così oggi il peso dell’IT (Information Technology) sul Pil appare all’incirca pari alla metà di quello degli Usa e della Francia. La transizione alle fonti rinnovabili, sempre più cruciale, appare molto in ritardo rispetto alle necessità.

Manca poi la manodopera qualificata, nonostante il paese abbia assorbito tanti rifugiati siriani e ora ucraini. Ci troviamo di fronte a tassi di natalità molto bassi mentre stanno per andare in pensione un grande numero di persone che non si sa come sostituire. Bisogna ricordare infine una coalizione di governo debole e divisa al suo interno.

Il fronte esterno

Quelli citati sono per la gran parte di problemi noti da tempo e che non avevano comunque impedito alla Germania, sino ad un certo punto, di crescere anche più delle altre economie occidentali, grazie ad una serie di fattori esterni favorevoli. Ma ora una serie di condizioni esterne stanno volgendo in negativo, anche se non bisogna dimenticare che il paese presenta ancora degli atout molto significativi, quali il tasso di disoccupazione più ridotto dell’intera UE e in ogni caso ancora un basso livello del debito pubblico.

Sulle questioni esterne, tutti sottolineano gli effetti della crisi ucraina, che ha portato al forte aumento dei prezzi dell’energia, ciò che incide molto su un paese che ha una base industriale molto forte; tale sviluppo ha rallentato l’attività nei settori più energivori e spinto anche molte imprese a preferire ormai gli investimenti in Cina e negli Stati Uniti, paesi con enormi mercati e che hanno prezzi dell’energia molto più bassi. Secondo uno studio recente della Camera di Commercio tedesca il 32% delle imprese interpellate progettavano di limitare la produzione in Germania e di delocalizzare delle capacità produttive all’estero, cifra che risulta in forte rialzo nell’ultimo anno. 

Più in generale i fattori geopolitici contribuiscono a destabilizzare la situazione, con gli Usa che spingono i paesi alleati alla riduzione dei cruciali legami con la Cina, oltre che con la Russia, ormai fuori gioco, nonché con i rallentamenti dei processi di mondializzazione e la diminuzione recente della domanda mondiale a partire dagli Usa e dalla Cina. Si sottolinea anche come l’aumento dei tassi di inflazione, che rimane sorprendentemente alta, con il relativo aumento dei tassi di interesse, abbia colpito particolarmente ala Germania. Infine non bisogna dimenticare la crescente concorrenza cinese su molti settori e le difficoltà in particolare del settore dell’auto, forza trainante dell’economia tedesca, a reggere il ritmo della concorrenza e delle novità tecnologiche. 

In Germania si è dunque da qualche tempo sviluppata, quella che qualcuno ha chiamato l’ ”angoscia della deindustrializzazione”. Da una parte hanno pesato gli annunci da parte di molte grandi imprese di nuovi investimenti in Usa e in Cina, dall’altra un fatto specifico che ha fatto scaldare gli animi nei mesi scorsi: si è trattato dell’annuncio, nell’aprile del 2023, da parte del suo proprietario, dell’intenzione di cedere agli americani il controllo della Viessmann, impresa leader a livello tedesco ed europeo nelle pompe di calore, una delle più importanti mittelstand del paese e un’azienda cruciale per gli sviluppi nel settore ambientale. 

Il fronte cinese e quello russo

Tra le ragioni principali delle difficoltà tedesche si cita il ruolo, su diversi fronti, della Cina.

Il paese asiatico appare in questo momento in perdita di velocità, anche se la stampa occidentale descrive le cose in modo molto più negativo di come stiano realmente. Le esportazioni tedesche verso la Cina, primo mercato di sbocco del paese, mostrano da qualche tempo una cattiva dinamica; il fatto è che i cinesi vanno sostituendo i prodotti tedeschi con quelli propri o con quelli di importazione dai paesi del sud-est asiatico. 

Uno studio dell’istituto tedesco d’economia indica che la quota dei prodotti industriali sofisticati nelle importazioni della UE dalla Cina non cessa di aumentare. Tale proporzione è passata, secondo lo studio, dal 51,4% del 2000 al 72,6% nel 2022. 

Chiaramente i prodotti di esportazione cinesi mirano sempre più ai settori industriali di eccellenza tedeschi. Consideriamo ad esempio il comparto delle grandi macchine per scavare i tunnel, attrezzature enormi, piene di tecnologie. Nel settore, quelle tedesche dominavano incontrastate e rappresentavano uno dei simboli della prodezza meccanica teutonica; ora i produttori cinesi sono sempre più all’avanguardia nel settore. 

Ma il cuore del problema è quello dell’auto; in Germania vi lavorano direttamente o indirettamente circa 15 milioni di persone. Nel 2022 la Cina ha superato la Germania come secondo esportatore mondiale di auto e nel 2023 supererà anche il Giappone, diventando il primo. 

Il caso dell’auto indica anche un altro problema, ancora più cruciale. I tedeschi avevano nel tempo sviluppato delle competenze molto sofisticate nella tecnologia delle vetture e apparivano imbattibili su tale fronte. Ora tendenzialmente, con il progressivo processo di elettrificazione e digitalizzazione, le prodezze meccaniche non servono quasi più; tra l’altro, circa il 40% del costo di un auto è rappresentato ormai dalla batteria ed un altro 40% dal software. E così resta poco per il resto. 

Inoltre, anche se negli ultimi mesi i costi energetici si sono molto ridotti dopo l’esplosione seguita alla guerra in Ucraina, si collocano ancora ad un livello pari a circa il doppio rispetto a prima della guerra e comunque raggiungono costi molto più elevati che in Cina e negli Stati Uniti. Così, un altro settore in cui la Germania primeggiava, la chimica, tende a registrare un blocco degli investimenti in patria e il suo trasferimento progressivo in Cina e degli Stati Uniti. 

Sul rapporto Germania-Cina incombono poi gli Stati Uniti. Biden ha da qualche tempo scatenato una guerra economica, tecnologica, politica, militare e a livello mondiale, tout azimut, contro il paese asiatico e cerca di coinvolgere quanti più paesi possibile nella sua crociata. Ora la Germania ha da una parte dei forti legami economici con la Cina, dall’altra è una stretta alleata politica degli Usa. Le grandi imprese hanno tutto l’interesse a sviluppare i rapporti con il paese asiatico, ma anche sul fronte politico interno ci sono forze potenti, con capofila il partito dei Verdi, che cercano di ostacolare la partita.  

E poi c’è il rapporto con la Russia. La storia degli ultimi secoli sembra indicare una tendenza a relazioni di intesa e di amicizia tra i due paesi e si può valutare che dopo la fine della guerra in Ucraina verranno in qualche modo ristabilite. Ma per il momento tutto è fermo. 

Per un paese ad alta intensità industriale e per di più con una forte presenza nei settori energivori, tali cifre mostrano il livello delle difficoltà e giustificano in qualche modo la volontà di molte imprese di trasferire i loro piani di espansione all’estero. 

Solo la fine della guerra in Ucraina e/o un rapido sviluppo delle energie rinnovabili permetterebbe al paese di migliorare la situazione in tale campo.   

De te fabula etiam narratur: l’Italia e l’Ue

Le difficoltà tedesche colpiscono anche tutta l’area dell’Unione Europea, dal momento che non solo quella tedesca è di gran lunga l’economia più importante del Vecchio continente, e anche perché diversi altri paesi hanno un’economia che presenta forti livelli di integrazione con quella teutonica. In ogni caso le ultime cifre indicano già una frenata del Pil nell’intera area.

La Germania è in particolare il primo mercato di sbocco delle esportazioni italiane, nonché anche il primo territorio di provenienza delle nostre importazioni. Giovanni Baroni, presidente della Piccola Impresa in seno alla Confindustria, arriva ad affermare che i due sistemi economici sono così interconnessi da rappresentare un unico “ecosistema”; si può accettare tale idea ricordando però che tra i due partner quello italiano è in una posizione subordinata. In ogni caso è noto che una parte consistente dell’industria del Nord Italia lavora come subfornitrice dell’industria tedesca grazie anche al basso livello dei nostri salari rispetto a quelli del nostro cliente principale. Tra i settori potenzialmente colpiti dalla crisi teutonica citiamo la componentistica auto (dopo le prime difficoltà della Fiat, le imprese avevano trovato già molti anni fa uno sbocco alternativo proprio sul mercato tedesco), i macchinari industriali, la metallurgia, la chimica, l’abbigliamento. Ricordiamo incidentalmente che il modello della subfornitura è in opera anche nei confronti dell’industria francese del lusso.

Il tema della crisi appare ancor più generale e più vasto, e non riguarda soltanto l’Italia. Quella tedesca è anche una crisi del modello di sviluppo dell’Ue; intanto per l’Italia, come per l’Europa, il problema è in quali settori svilupparsi quando l’alta tecnologia appare ormai dominata in maniera difficilmente intaccabile da Cina e Usa, mentre i tardivi sforzi del nostro continente per rincorrere il treno appaiono molto al di sotto delle necessità e mentre anche i settori più tradizionali, dall’auto, alla meccanica, agli elettrodomestici, sono toccati anch’essi delle nuove tecnologie e dalla concorrenza asiatica. 

Il piano in dieci punti del governo e il programma dell’AFD

Il mese di agosto è stato a Berlino piuttosto freddo e il nuovo anno scolastico si è aperto il 15 di agosto tra un acquazzone e l’altro. Poco dopo i membri del governo Scholz sono tornati anch’essi al lavoro e hanno deciso prima della fine del mese un piano di interventi in dieci punti per combattere la crisi, quello che è stato chiamato il Deutschland-Pakt

Tra le misure varate è compreso un piano di aiuti fiscali di 7 miliardi di euro all’anno sino al 2028 per favorire gli investimenti delle piccole e medie imprese. Si promette poi un programma di riduzione della burocrazia che dovrebbe arrivare a ridurre i costi delle imprese di 23 miliardi di euro all’anno. Si pensa anche di accelerare i tempi di rilascio delle autorizzazioni amministrative facendo anche ricorso all’IA; tale misura dovrebbe essere accompagnata da un’analoga iniziativa a livello europeo. Inoltre il cancelliere Scholz ha ribadito che la Germania deve restare un’economia rivolta alle esportazioni e riaffermato l’importanza di uno sviluppo rapido delle energie rinnovabili, promettendo maggiori investimenti nel settore attraverso anche la creazione di un apposito fondo. Si annunciano ancora delle misure per rendere più facili le procedure di assunzioni di lavoratori qualificati provenienti dall’estero.

Le imprese hanno salutato il piano del governo come un fatto positivo, pur valutandolo come insufficiente, ponendo qualche dubbio sulla capacità del governo a portare avanti il piano nei tempi necessari. A sinistra si valuta che alcune delle misure messe in campo siano socialmente ingiuste.

Conclusioni

Per chi scrive il piano messo a punto dal governo di Berlino non sembra in grado di affrontare la crisi alla radice; tutt’al più cerca di arrotondare alcuni spigoli. Pensiamo che ci vorrebbe ben altro. 

Districarsi nel labirinto della crisi tedesca non appare certo facile. Si può ipotizzare, seguendo in particolare la pista dell’auto, che il problema economico fondamentale della Germania, come del resto dell’Europa intera, di fronte al palese progressivo naufragio del modello di sviluppo sin qui perseguito, sia quello di riuscire a decidere su quali attività economiche puntare in prospettiva in una situazione in cui Stati Uniti e Cina sembrano riuscire a coprire pienamente i comparti tecnologici nuovi, mentre la stessa Cina ed anche altri paesi in via di sviluppo insidiano le posizioni europee anche nei settori più tradizionali. Il percorso appare stretto tanto più che sul piano politico l’Europa non sembra in grado di mostrare una qualche autonomia progettuale dagli Stati Uniti, mentre il continente dovrebbe in ogni caso cercare di sviluppare i rapporti con tutto il mondo emergente, a partire dalla Cina.

Un compito molto impegnativo.