Le politiche dominanti puntano sulla riduzione dei salari e sull’esclusione sociale per rilanciare il modello che ha generato la crisi. Perciò è necessario riconsiderare i caratteri del welfare nel nostro paese. Una sessione speciale, sabato pomeriggio, alla Controcernobbio di Sbilanciamoci!
L’undicesima edizione del Forum di Sbilanciamoci! “Europa diseguale” non poteva non comprendere tra gli altri importanti temi anche uno su “Lavoro, welfare e conoscenza: come combattere le disuguaglianze sociali”. In una situazione così critica per coloro che vedono sparire il lavoro, ma soprattutto per coloro che non lo vedono arrivare, è sembrato indispensabile discutere dell’insufficienza delle attuali forme del welfare e prefigurare una loro possibile trasformazione per garantire condizioni di vita meno critiche per i lavoratori e per i soggetti più deboli della società.
L’austerità ha mostrato che la riduzione dei salari, il peggioramento delle relazioni di lavoro e l’esclusione sociale rappresentano i fattori di “flessibilità” e “competitività” su cui le politiche dominanti puntano per rilanciare il medesimo modello che ha generato la crisi. Ma la situazione appare ancor più problematica se si allunga lo sguardo, prendendo in considerazione ciò che si prospetta con un orizzonte più lontano. Nessuno affronta l’ormai evidente deriva strutturale verso l’inoccupazione e il precariato; esso sembra assumere una natura endemica risultante dall’eccesso strutturale dell’offerta sulla domanda di lavoro per la pressante tendenza alla delocalizzazione produttiva, dall’innovazione risparmiatrice di lavoro e dal contenimento dei bilanci pubblici, come del resto confermerebbero le analisi dell’Ocse sulle tendenze di lungo periodo delle economie europee (Oecd, Looking to 2060: Long-term global growth prospects, Oecd Economics Papers n.3, November 2012) Si prospetta una situazione sistemica che, per gli attuali orientamenti politici, si traduce in un sistematico deprezzamento delle condizioni contrattuali degli occupati, la cui debolezza si riversa anche sulla situazione delle altre fasce economicamente e socialmente più deboli.
Una situazione e una prospettiva di questo tenore impone di riconsiderare i caratteri del welfare nel nostro paese. Nell’incontro di sabato pomeriggio 7 settembre alla “Contro-Cernobbio” di Sbilanciamoci! si sono quindi volute intrecciare riflessioni sulle diverse dimensioni del welfare: il rapporto tra occupazione e reddito; la connessione tra scuola, vita e lavoro; il welfare italiano nel contesto europeo. Sono tutti aspetti che, per quanto vadano considerati nel proprio specifico ambito, devono essere visti nel loro insieme, poiché è necessario disporre di una visione complessiva su come intervenire in una realtà nella quale le tendenze in atto operano per una ristrutturazione neoliberale della società.
Nel dibattito che si è sviluppato sul sito di Silanciamoci! gli interventi per sviluppare l’occupazione non si sono limitati alla proposta di piano del lavoro essenziali nel breve periodo, ma si è sostenuto di affrontare l’insufficiente crescita di lungo periodo delle ore lavorate attraverso la ridistribuzione del lavoro ottenuta da una riduzione degli orari. Per rendere compatibile la riduzione dell’orario con il mantenimento di condizioni salariali soddisfacenti è necessario prevedere forme di integrazione dei redditi a orario ridotto; redistribuzione del lavoro e redistribuzione del reddito si possono completare in modo da garantire l’ampliamento del numero degli occupati a condizioni salariali dignitose; una proposta di Sbilanciamoci! che si auspica incontri una crescente attenzione e una consapevole adesione.
Forme nuove di lavoro per una nuova qualità della produzione sono, in connessione con le altre sessioni del Forum, al centro del tema proposto, come lo sono le implicazioni che ne derivano dai processi culturali e dalle istituzioni formative. La capacità di questi ultimi fattori nel fornire una capacità occupazionale sovraistruita che rimane ampiamente inutilizzata, soprattutto nell’importante segmento femminile, rimane un nodo ineludibile del ragionamento. Esso pone la necessità, in raccordo con quanto avviene o può avvenire in Europa, di prospettare forme di promozione dell’occupazione, anche attraverso la modulazione degli orari di lavoro, e di delineare interventi strutturati di sostegno del reddito per chi si trova ai margini o è espulso dal mercato del lavoro.
Non è difficile comprendere che, posto in questa maniera, si tratta di un tema particolarmente spinoso di politica dei redditi, escluso peraltro da tempo dall’agenda dei governi; per questa sua natura, è un tema che si intreccia con varie altre dimensioni della politica economica: da quella industriale a quella formativa, dalla politica della domanda a quella fiscale, tutte manifestamente condizionate dai vincoli europei. Proposte alternative su questo terreno hanno inevitabilmente un carattere fortemente conflittuale con l’orientamento politico attuale; essere consapevoli delle difficoltà che si prospettano su questo terreno dovrebbe indurre a un’analisi ancor più urgente e attenta, si intende pervenire a misure concrete che garantiscano una migliore prospettiva di vita per i lavoratori e per gli altri settori meno favoriti della società.
Con la convinzione che si tratta di un tema fondamentale per qualificare l’indirizzo di fondo di qualsiasi politica economica alternativa che potrà trovare nelle analisi nei suggerimenti di questa sessione gli spunti per orientare fin da subito la formulazione di proposte concrete di intervento.
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