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L’automotive nella transizione ecologica. Un nuovo studio di Banca d’Italia

Un report appena pubblicato da Banca d’Italia mette a confronto le strategie per la transizione green al motore elettrico utilizzate dalle imprese dell’automotive in Italia e in Europa, rivelando le ragioni e le cause di un ritardo accumulato nel nostro paese che si sta faticosamente tentando di colmare.

Thinking the green transition: evidence from the automotive industry” (“Analisi della transizione verde: il caso del settore automobilistico”) è il titolo di uno studio curato da Andrea Orame e Daniele Pianeselli e da poco pubblicato da Banca d’Italia (Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers, n. 767, aprile 2023).

Il lavoro analizza le strategie di transizione verde verso il motore elettrico da parte delle imprese automobilistiche italiane e le confronta con quelle delle altre aziende europee nel periodo 2013-18, ovvero prima e dopo il 2015, anno spartiacque durante il quale lo scandalo “Dieselgate” di Volkswagen e la storica sigla dell’Accordo di Parigi hanno di fatto prodotto uno shock tecnologico tale da spingere le imprese a produrre auto a basse emissioni.

Analizzando i dati sul numero di brevetti collegati con tecnologie a basso impatto ambientale e sull’attività di fusione e acquisizione delle imprese – e verificando come abbiano reagito allo shock del 2015 – lo studio mette in luce come le aziende italiane abbiano fortemente aumentato nel tempo il numero di brevetti relativi a tecnologie a basso impatto ambientale rispetto alla media europea.

Tuttavia, solo recentemente le nostre imprese stanno sviluppando le competenze necessarie per la produzione di motori elettrici, soprattutto attraverso l’attività innovativa interna. Le aziende europee, al contrario, stanno consolidando un processo già intrapreso in precedenza, intensificando le operazioni di fusioni e acquisizioni.

Lo studio si conclude evidenziando come queste diverse strategie potrebbero determinare un ritardo nella transizione verde del settore dell’auto italiano rispetto a quello europeo e avere ripercussioni negative sulle quote di mercato delle imprese del nostro paese a vantaggio dei loro concorrenti esteri.