La messa in sicurezza del territorio italiano non è più rinviabile. La realizzazione di un piano di interventi preventivi avrebbe portato all’annullamento o minimizzazione delle vittime. Proprio come è successo a Norcia
“…Quantum fortuna in rebus humanis possit, et quomodo illi sit occurrendum…”
[Quanto possa la fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere]
“…E non mi è incognito che molti hanno avuto et hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate dalla fortuna e da Dio che li uomini con la prudenzia loro non possino correggerle, anzi non vi abbino rimedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte. Questa opinione è suta più creduta né nostri tempi per la variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì fuora d’ogni umana coniettura. A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Non di manco, perché el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi…”
Siamo nel 1513 e Machiavelli, Segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica Fiorentina, usa l’esperienza accumulata nel gestire l’emergenza della prima alluvione di Firenze per redigere il Capitolo XXV del Principe. Dentro questo, i disastri naturali sono la metafora usata per descrivere le condizioni dell’ agire politico di fronte ad eventi incerti, pericolosi ed indesiderati. L’efficacia dell’agire, opposta alla rassegnazione di chi si abbandona al “…governo della Fortuna…”, risiede nella capacità di sfruttare lo spazio, il margine “…o presso…”, lasciato a disposizione dell’arbitrio umano. L’intuizione della presenza di un margine di intervento efficace è descritto genialmente dalla definizione “…la metà o presso…” e costituisce un monito per il politico. La strada indicata è quella di operare nella direzione di prevedere le possibili situazioni pericolose e realizzare, prima che queste si verifichino, interventi per eliminare (o mitigare) le potenziali conseguenze dannose. L’insegnamento di Machiavelli non si limita alle intuizioni fondamentali ma ci indica anche come andare oltre, quali procedure attuative considerare, come direbbe il politico d’oggi.
“..Et assomiglio quella [la Fortuna] a uno di questi fiumi rovinosi che quando s’adirano allagano e’ piani, ruinano li alberi e li edifizii…ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E benchè sieno così fatti, non resta però che li uomini, quando sono tempi quieti non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe ne sì licenzioso, ne sì dannoso…(Niccolò Machiavelli , Il Principe, 1961 Einaudi [Edizione originale del 1531]. Traduzione di Luigi Firpo)”
Si tratta, quindi, di quegli interventi concreti ed efficaci, da attuare “…in tempo di pace…”, in grado di mettere al riparo, innanzitutto, le vite umane; e, in secondo luogo, il patrimonio ed i beni della collettività.
Centocinquant’anni dopo, ispirato dal terremoto e dal maremoto che in sequenza colpirono Lisbona (1755), Voltaire, difendendo il pensiero illuminista, formulava le stesse considerazioni del Machiavelli (Voltaire, Poème sur le désastre de Lisbonne, 1756) opponendosi alla Teodicea del tout est bien (i.e. Leibniz). Il ruolo della laica Fortuna di Machiavelli è assolto, nel dibattito tra Voltaire, Leibniz e Rousseau, dalla divina provvidenza (o dalla punizione divina) contrapposta alla responsabilità razionale dell’uomo.
A cinque secoli dalla sua lezione, il fatto che il territorio italiano, patria del Machiavelli, per effetto di terremoti di modesta intensità (come quelli de L’Aquila e di Amatrice) registri morti, feriti, distruzione del patrimonio storico-culturale e costi economici di così ampia portata non è in alcun modo ascrivibile alla “Fortuna”. Nell’ultimo secolo, in Italia, lungo tutta la dorsale appenninica, si sono verificati decine di eventi simili con centinaia di migliaia di morti e centinaia di miliardi di spese per l’emergenza e la ricostruzione. È di pubblico dominio, inoltre, (grazie al ruolo di studio e di informazione svolto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) che terremoti di una magnitudo analoga a quella che ha caratterizzato l’evento con epicentro Accumoli siano considerabili eventi ad elevata frequenza in tutta l’unità geo-fisiografica dell’Appenino. Da questo punto di vista, riteniamo opportuno sottolineare che gli slogan, ripetutamente diffusi dai media, che constatano l’ovvio ribadendo (con fare giustificatorio) l’impossibilità di prevedere con assoluta precisione luogo e tempo di un evento sismico si configurano come dei superficiali corresponsabili dell’inazione.
Come già compreso dal Machiavelli, la realizzazione di interventi preventivi di rinforzo degli edifici vulnerabili avrebbe portato all’annullamento o alla minimizzazione delle vittime ed all’annullamento o alla minimizzazione della spesa per la gestione dell’emergenza e della ricostruzione. Esattamente come è successo a Norcia, dove l’avvenuta prevenzione ha fatto si che non si verificasse nemmeno un decesso a causa del terremoto. In questo senso, i richiami retorici circa la necessità della prevenzione che ascoltiamo in questi giorni gridano vendetta se si pensa che solo sette anni fa venivano seppelliti i morti de L’Aquila. Se la volontà di prevenire per proteggere le persone ed il patrimonio storico e culturale dell’Italia dal rischio sismico fosse stato e fosse reale non ci sarebbe bisogno di alcun richiamo retorico. La condizione necessaria perché vi sia una prevenzione in grado di proteggere è la presenza di uno Stato che la metta in pratica e che lo faccia attingendo dal proprio patrimonio storico-culturale – come mostrato con i frammenti del Principe – e scientifico. Uno Stato che faccia questo al fine di far prevalere una visione di lungo periodo contro logiche ragionieristiche (come quelle che affliggono la finanza pubblica italiana sottoposta ai vincoli europei) o di opportunismo elettorale.
Dal punto di vista scientifico, chi scrive si è esercitato in un’attività di studio e ricerca effettuata all’indomani del sisma Aquilano e condotta sui dati ufficiali raccolti dopo il terremoto. L’analisi costi-benefici condotta – in regime di incertezza – simulando uno scenario sismico analogo a quello de L’Aquila, considerando le costruzioni tipo dell’area e valutando un orizzonte temporale di cinquanta anni ha messo in luce la netta preferibilità economica degli interventi preventivi comparati alla sola gestione dell’emergenza. E questo prima ancora di aggiungere gli elementi di preferibilità etica e sociale, legati alla volontà di escludere la presenza di vittime. I risultati del nostro lavoro hanno consentito di verificare, quantitativamente, le considerazioni sin qui effettuate circa l’efficacia della prevenzione e, dunque, circa la sua necessità etica, economica e sociale. La decisione del non intervento preventivo, quella che ha sino ad oggi caratterizzato l’Italia in moltissime sue aree, non ha, quindi, dignità di essere presa in considerazione quale alternativa proponibile.
Massimo Guarascio è docente di Ingegneria della Sicurezza e Protezione Civile, Facoltà di Ingegneria – Sapienza Università di Roma
Dario Guarascio è ricercatore presso la Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa