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La variazione degli investimenti diretti esteri nel mondo

Proviamo ad analizzare un altro aspetto dei processi di globalizzazione, quello relativo all’andamento degli investimenti diretti in entrata ed in uscita a livello globale. La dinamica del fenomeno appare, tra l’altro, significativa di alcuni importanti mutamenti in atto nel mondo.

Un paio di settimane fa abbiamo pubblicato su questo stesso sito un articolo su alcuni momenti recenti dei processi di globalizzazione, in particolare cercando di analizzare i tentativi statunitensi di cambiarne alcuni aspetti fondamentali con l’obiettivo di ostacolare l’ascesa economica, tecnologica, politica cinese.

L’Unctad, agenzia delle Nazioni Unite, ha pubblicato da poco, come ogni anno, le sue analisi sull’argomento, ricche come al solito di dati e di commenti (Unctad, 2022); da tale pubblicazione cerchiamo di trarre alcune tra le informazioni più significative, segnalando nel contempo come al rapporto sia stato dato molto poco spazio sui media nazionali.

La prima notizia che estraiamo dallo stesso rapporto è quella che nel 2021 gli investimenti esteri diretti a livello mondiale si sono collocati intorno ai 1.580 miliardi di dollari; si tratta di un aumento di ben il 64% rispetto all’anno precedente, quando essi si erano posizionati appena al disotto dei 1.000 miliardi, cifra che registrava peraltro un rilevante calo degli stessi rispetto al 2019, a causa in particolare del Covid. Comunque, nonostante il forte aumento nell’anno, siamo ancora abbastanza lontani dalla punta massima raggiunta dal fenomeno nel periodo 2015-2016, quando si era registrato un picco di valore, con una cifra annua di poco superiore ai 2000 miliardi di dollari. 

L’Unctad sottolinea come la ripresa degli investimenti sia purtroppo dovuta in particolare ai processi di fusione ed acquisizione e ad altre operazioni di tipo finanziario, mentre la quota di nuovi investimenti produttivi (greenfield) si è rivelata come meno importante. Tale andamento appare peraltro in linea con la più generale tendenza allo sviluppo, in particolare in Occidente, di un capitalismo di tipo finanziario, a danno della creazione di nuovi investimenti in capitale fisico (Blanqué, 2022).

Un altro aspetto messo in rilievo nel rapporto è quello che gli investimenti che si dirigono verso i paesi emergenti sono ormai maggiori di quelli che affluiscono verso quelli ricchi (837 miliardi di dollari nel primo caso nel 2021 contro 746 miliardi nel secondo). 

L’Unctad avverte anche che le prospettive per il 2022, data in particolare la questione ucraina, appaiono piuttosto negative e che si dovrebbe registrare alla fine dell’anno un calo delle cifre, se non al massimo una stagnazione delle stesse.

Se veniamo ora agli specifici paesi di destinazione degli investimenti, Stati Uniti e Cina (compresa Hong Kong), insieme, rappresentano nel 2020 435 miliardi di dollari, il 44% del totale del fenomeno e nel 2021, con 689 miliardi, ancora il 43%, dominando la scena con la loro ingombrante presenza, come era del resto abbastanza semplice immaginare. 

In particolare nel 2020 la Cina (sempre compresa Hong Kong) superava gli Stati Uniti (284 miliardi contro 151), riflesso probabilmente del fatto che il paese si era ripreso prima degli Stati Uniti dal Covid, mentre nel 2021 questi ultimi passano in testa, con 357 miliardi contro 322. E’ comunque da segnalare come negli ultimi anni la Cina abbia velocemente rimontato le posizioni in classifica, partendo da un livello piuttosto basso. E questo nell’ambito di un processo più generale che vede ormai il continente asiatico pesare per almeno il 40% del totale del fenomeno, altro segno del mutamento degli equilibri mondiali. Tra l’altro, circa il 40% della produzione industriale mondiale è ormai concentrata in un cerchio del diametro di soli 1000 chilometri che ingloba un triangolo formato da Pechino, Hong Kong e Tokio (Hiault, 2022). 

Nelle prime dieci posizioni in classifica appaiono tra l’altro presenti ben sette paesi emergenti e solo tre sviluppati (ma solo comprendendo in quest’ultima categoria anche la Russia, altrimenti si passa a due).

E l’Europa? Anche in questo caso il nostro continente si colloca piuttosto male, indicando la sua ormai scarsa attrattività per il capitale estero; guardando alle cifre troviamo infatti solo al nono posto il primo paese europeo, … la Russia, con 38 miliardi di dollari di investimenti nel 2021 (nell’anno in corso gli investimenti esteri nel paese dovrebbero presumibilmente essere molto minori…); viene poi solo all’undicesimo posto la Germania, con 31 miliardi ed al tredicesimo il Regno Unito con 28. L’Italia non è compresa nelle prime venti posizioni, mentre presenta la quota più bassa degli investimenti diretti sul pil tra i paesi europei sviluppati; forse fa peggio solo la Grecia. 

Può essere una magra consolazione il fatto che tra i primi venti non sia compresa neanche la Francia, constatazione questa abbastanza sorprendente visto che il paese transalpino sino a qualche anno fa era una delle mete privilegiate degli investimenti esteri. Non fa una molto miglior figura il Giappone, collocato solo al diciottesimo posto.  

Incidentalmente, si può ricordare che in queste settimane la Ernst & Young ha pubblicato la sua annuale rassegna dei paesi più attraenti per gli investimenti nelle energie rinnovabili e pulite (Giliberto, 2022). Anche in questo caso gli Stati Uniti e la Cina sono in testa alla classifica (il primo posto degli Usa ci sembra peraltro per molti versi discutibile), mentre l’Italia è scivolata dalla già non entusiasmante tredicesima posizione del 2020 alla quindicesima del 2021, superata anche da paesi quali il Cile, il Brasile, l’India.   

Ma torniamo alla classifica dell’Unctad. Quanto ai paesi di origine degli investimenti diretti, in questo caso il dominio delle imprese statunitensi appare ancora molto forte, con 400 miliardi di dollari nel 2021, anche se anche su questo fronte la Cina sta crescendo rapidamente, collocandosi nell’anno sui 232 miliardi. Ma probabilmente la corsa della Cina appare frenata dai molti ostacoli posti dai paesi occidentali agli investimenti originati dal paese asiatico. Ricordiamo ad esempio come in Italia il governo Draghi, fedelissimo atlantista, ne abbia di recente bocciato molti, anche quando essi presentavano un aspetto del tutto innocuo per la sicurezza del nostro paese. Tra l’altro, inoltre, ora gli Stati Uniti si apprestano a varare una legge che pone un certo freno anche agli investimenti diretti Usa nel paese asiatico. Incidentalmente, circa 150 imprese cinesi si apprestano a lasciare la Borsa di New York per le restrizioni poste in essere alla loro quotazione da parte del governo degli Stati Uniti. 

Importanti sul fronte degli investimenti all’estero le posizioni della Germania, con 152 miliardi e del Giappone, con 147. Più in generale, le uscite per investimenti diretti da parte dei paesi sviluppati pesano ancora oggi per circa i ¾ del totale. Così si può affermare che le risorse escono in maggioranza dai paesi ricchi mentre si dirigono, sempre in maggioranza, verso i paesi in via di sviluppo. Un passaggio del testimone. 

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Testi citati nell’articolo

– Blanqué P., La croissance mondiale ne rime plus forcément avec celle du commerce mondial, Les Echos, 13 giugno 2022
-Giliberto J., Rinnovabili, l’Italia perde terreno nell’attrarre gli investimenti, Il Sole 24 Ore, 10 giugno 2022
-Hiault R., Investissements étrangers : la Chine au coude-à-coude avec les Etats-Unis, Les Echos, 11 giugno 2022
-Unctad, World Investment Report 2022, Unctad, Ginevra, 2022