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L’agricoltura e l’ambiente hanno perso la partita

I trattori contro l’Europa, mentre il settore è a fine corsa, fagocitato dall’agrobusiness da una parte, dalla grande distribuzione dall’altra, e anche dai bassi prezzi esteri. Ma la protesta, su cui soffia l’estrema destra, viene incanalata contro i vincoli ambientali e climatici.

Aspetti generali

Per comprendere meglio la crisi attuale del settore agricolo in Europa e la falsa soluzione che avanza in queste settimane a Bruxelles e in diversi paesi europei, può essere opportuno ricordare alcune delle trasformazioni che vi hanno luogo da tempo.

Nell’articolo facciamo in particolare riferimento alla situazione francese, paese con una grande tradizione agricola e che appare quello più ricco di elementi di analisi; utilizziamo poi per la redazione del testo diversi pezzi apparsi in particolare sulla stampa di quel paese e specialmente sul quotidiano Le Monde.  

Si è assistito nella sostanza nel dopoguerra ad un declino veloce di una civiltà contadina millenaria, autarchica e familiare, con l’apparizione invece della figura nuova dell’agricoltore, integrata in un sistema di cui non è ormai più che il primo anello di una lunga catena di fabbriche agroalimentari che riforniscono a loro volta la grande distribuzione. In questo percorso c’è stato l’inserimento brutale del mondo della terra in un modello produttivistico di cui oggi appaiono drammaticamente tutti i limiti (Bezat, 2022). 

Detto in altro modo, oggi l’impresa contadina rischia ad ogni momento di essere schiacciata dal lato degli sbocchi dalla grande industria e dalla distribuzione oligopolistica (in Francia ad esempio esistono ormai solo quattro grandi centrali di acquisto dei prodotti agricoli, che stanno oltretutto diventando tre), seguendo una logica che tende a massimizzare i profitti di fronte ad un contraente debole. Mentre d’altro canto la stessa piccola impresa agricola deve anch’essa acquisire gli input produttivi (macchinari agricoli, sementi, fertilizzanti, disinfestanti, imballaggi, ecc.) da grandi complessi industriali che dettano i prezzi (Comito, 2023).

Tutto questo nell’ambito di un settore, quello agricolo, che negli scorsi decenni ha anch’esso partecipato ai processi di globalizzazione e che deve inseguire la crescita della popolazione mondiale e i rapidi mutamenti del gusto. Sul primo fronte, il settore ha certo i mezzi tecnici per nutrire adeguatamente tutti gli abitanti del pianeta, ma sono gli indirizzi politici e sociali dei vari paesi che creano la penuria e la fame. 

Tra l’altro, su di un altro piano, sino a non molti decenni fa i paesi ricchi apparivano dominanti nel settore, mentre più di recente assistiamo, come del resto in tutta l’economia, ad un’accelerazione nell’attività dei paesi nuovi. Così, ad esempio, negli allevamenti oggi paesi come il Brasile e la Cina, la fanno da padroni, almeno in alcuni comparti, mentre l’India è diventato il più importante produttore di latte del mondo e mentre nel segmento dei cereali abbiamo di recente assistito alla forte crescita, favorita dai cambiamenti climatici, delle produzioni e delle esportazioni russe (Comito, 2023). 

Il mondo agricolo è nella sostanza molto eterogeneo e comprende al suo interno delle unità di piccole dimensioni da una parte, ma dall’altra anche delle imprese sempre più grandi e i due settori presentano aspetti e problemi molto differenziati: tra l’altro le seconde continuano a divorare le prime.  E’ in effetti in atto da tempo un processo di concentrazione nel settore produttivo, con la crescita di poche grandi imprese globali o comunque ad ampio intervento territoriale, che si orientano verso un modello agroindustriale; tra l’altro, più del 50% delle terre è oggi occupata da unità produttive dalle dimensioni di più di 500 ettari, mentre quelle inferiori ai due ettari, il 87% del totale, occupano soltanto il 12% della superficie agraria (Bezat, 2022). Vi si registra anche una concentrazione dei profitti. Va segnalato che il 77% delle unità agricole di piccole dimensioni a livello globale si trovano in regioni dove l’acqua è scarsa.  

Tra le conseguenze del cattivo modello di sviluppo agroindustriale si può rilevare un grande livello di inquinamento sotto forma di emissione di gas serra e fertilizzanti chimici, e ancora scarsità d’acqua, degradazione dei suoli, spreco del cibo. L’agricoltura fornisce un grande contributo al cambiamento climatico in relazione alle emissioni inquinanti provocate dalla deforestazione, dai prodotti chimici utilizzati nel settore, dagli incendi dei residui agricoli, dalla gestione degli allevamenti. Si stima che almeno il 30% delle emissioni inquinanti complessive nel mondo abbia origine nel settore (Ahuja, 2019), in particolare in quello dell’allevamento bovino, mentre per produrre un chilo di carne bisogna tra l’altro impiegare 15.000 litri di acqua. Più in generale il settore agroindustriale assorbe oggi il 70% del consumo di acqua dolce nel mondo.

Il quadro europeo 

Un gruppo di ricercatori francesi (Allaire e altri, 2022) ha analizzato il paradosso di un’Europa diventata una vera e propria colonia agricola. Bruxelles sovvenziona in maniera massiccia una produzione di grandi colture cereali e oleaginose destinate in gran parte all’alimentazione animale. Per produrre si utilizzano prodotti chimici e meccanici, petrolio, sementi, software, provenienti per la gran parte dai paesi extraeuropei. La fetta più importante delle aziende agricole è meccanizzata ed impiega pochi addetti, mentre le produzioni ottenute sono per la gran parte a debole valore aggiunto e lasciano poi qua e là una falda freatica inquinata e dei suoli supersfruttati; una parte crescente delle produzioni è poi esportata verso paesi come la Cina, mentre la stessa Europa acquista dal paese asiatico in maniera crescente produzioni industriali a rivelante valore aggiunto. Si rovescia le situazione: per la prima volta l’Europa mantiene in piedi uno scambio ineguale a lei sfavorevole.

Per quanto riguarda la Politica Agricola Comune dell’UE (PAC), che assorbe una parte molto rilevante del bilancio di Bruxelles, circa un terzo del totale, essa favorisce soprattutto i grandi complessi. Gli stanziamenti al fondo nel piano 2021-2027 si aggirano in totale sui 387 miliardi di euro, meno di quelli del piano precedente. Dopo un forte scontro sulla questione degli schemi ambientali, la soluzione trovata al momento del varo dello schema è stata quella di destinare il 30% delle risorse all’ambiente, quando la richiesta della società civile era invece del 50% e quella del Parlamento europeo del 35%. I vari membri dell’Unione poi decideranno a casa loro, da soli, come spendere il denaro. E lo fanno spesso eludendo in qualche modo i vincoli.

Il movimento nelle campagne

In pochi anni problemi economici e flagelli metereologici si sono abbattuti sulle campagne. Si sono registrati: l’aumento dei tassi di interesse, dei costi dell’energia, degli input produttivi dei campi e di quelli per l’alimentazione animale, la pressione degli industriali e della grandi distribuzione, la concorrenza da parte dei paesi con regole sanitarie meno dure, le epizootie, le fluttuazioni dei corsi mondiali, la siccità e il razionamento dell’acqua, l’inflazione delle norme che ostacolano l’attività agricola, l’aumento della burocrazia (Bezat, 2024). Per altro verso, in una grande paese agricolo come la Francia si contavano 1,6 milioni di imprese agricole nel 1970, mentre ora esse sono soltanto 380.000 e continuano a diminuire (Bezat, 2024). Nell’intera Unione Europea tra il 2005 e il 2020 sono scomparse 5,3 milioni di imprese agricole. E l’emorragia continua. I prezzi dei beni e servizi usati in agricoltura sono aumentati del 25% nel solo 2022. Per altro verso, per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari, solo 15 centesimi vanno agli agricoltori (Amato, 2024).

Il mondo politico europeo non ha percepito in alcun modo questi cambiamenti (Lorenzen, 2024).

La professione agricola è vittima delle politiche liberiste e produttivistiche sostenute dalla grande industria, che obbligano anche i piccoli agricoltori a ingrandirsi e a indebitarsi. Il risultato è una remunerazione miserevole, che distrugge nel frattempo il resto del mondo vivente e la biodiversità, l’acqua, i suoli e le condizioni di vita degli animali (Sigaux, 2024).

Incredibilmente, ormai, in Francia in due terzi dei redditi nelle famiglie di piccoli agricoltori provengono da attività diverse da quelle agricole (sostegno del congiunto, secondo lavoro, ecc.). Nel 2019 il 18% delle famiglie di agricoltori vivevano sotto la soglia della povertà (Bertrand, Billiard, 2024). 

Più in generale è vero che il reddito medio annuo degli agricoltori ha raggiunto i 56.014 euro nel 2022, prima delle imposte e dei contributi sociali, ma va rilevata, d’altro canto, la grande diseguaglianza nella distribuzione dei redditi che ne fanno la professione più diseguale della Francia. Così il 25% degli agricoltori supera i 90.000 euro e il 10% i 150.000, ma il 10% di essi guadagna meno di 15.000 euro. Si osservano poi forti differenze tra le varie sottocategorie, che vanno ad esempio dai 19.819 euro degli allevatori bovini e caprini ai 124.409 degli allevatori di maiali. Di fronte a questo quadro si può osservare come le soluzioni globali per il settore non abbiano molto senso (Piketty, 2024).  

Certamente, poi, la situazione dei lavoratori del settore agroindustriale non è tra le più rosee, anzi si può parlare in questa area in generale di “povertà del lavoro”; vi si registra spesso un quadro molto degradato, come l’impiego molto esteso e perverso dei contratti di outsourcing, in particolare in una filiera come quella della carne (Campanella, 2023).  

La collera cresce da molto tempo contro “quelli in alto”, contro la politica, contro il governo, contro l’UE. Molti agricoltori non ce la fanno più di fronte al sovraccarico di lavoro, all’aumento dei costi, alla precarietà dei redditi, alla dipendenza delle sovvenzioni alle nuove regole di Bruxelles. L’esasperazione è in gran parte giustificata, ma rischia di dirigersi verso la destra, anche la più oltranzista. Intanto in Francia si registra nel settore in media un suicidio ogni due giorni.

I fatti di Francia

Tutto cominciò in Olanda. Nel mese di settembre del 2021 le autorità olandesi hanno proposto un piano drastico per ridurre l’inquinamento dei loro corsi d’acqua a causa dei nitrati. Si è deciso di ridurre di un terzo il numero dei capi di bestiame del paese, anche attraverso l’acquisto da parte dello Stato, con successivo smantellamento dei grandi allevamenti intensivi. Tale misura ha però suscitato una rivolta nel paese e contribuito persino a mutare gli equilibri politici.

Più di recente le proteste sono ripartite toccando molti altri paesi europei, dalla Francia, all’Italia, alla Germania, alla Spagna, al Belgio. 

Basta leggere i titoli di un giorno del quotidiano Le Monde (28-29 gennaio 2024) per avere un quadro della situazione: “In Germania, un rifiuto netto delle misure per il clima”, “il governo svedese si esonera dai suoi obiettivi climatici”, “In Grecia la moltiplicazione dei parchi eolici si scontra con vive resistenze locali”, “In Francia misure di semplificazione a detrimento dell’ambiente”.

Concentriamo la nostra attenzione sulle proteste francesi, forse le più importanti e quelle che toccano più questioni. 

Gli agricoltori transalpini sono scesi in strada con un numero quasi infinito di richieste; alcune riguardano il governo nazionale, altre Bruxelles. Chiedono, tra l’altro, la riduzione del prezzo dei carburanti agricoli, il blocco delle trattative con il Mercosur, un accordo che i contadini accusano di potenziale concorrenza sleale perché i produttori dei paesi dell’America Latina non sono soggetti agli stessi vincoli ambientali di quelli europei, poi anche l’abolizione dell’accordo in atto da tempo che ha annullato i dazi sui prodotti agricoli ucraini, minori vincoli alla messa in opera di bacini per l’irrigazione, l’abolizione dell’obbligo di mantenere incolta una percentuale del terreno del 4%, interventi contro la pressione sui prezzi e il comportamento sleale della grande distribuzione, la riduzione degli adempimenti burocratici nazionali ed europei per l’ottenimento dei contributi e di altri favori, il blocco alla riduzione dei limiti all’utilizzo dei fertilizzanti e pesticidi, la messa in discussione del vincolo del 30% delle risorse della PAC da destinare  all’ecologia. Non mancano anche le contestazioni verso i produttori degli altri paesi europei, sullo sfondo di una marcata spinta nazionalista. Gli strali si rivolgono in particolare contro la Spagna, il più importante esportatore di derrate agricole in Francia e al coro patriottico si unisce a sinistra anche una personalità come Ségolène Royal. 

Sorvoliamo sul pietoso svolgimento dei fatti del settore nel nostro paese che ha, come al solito, trovato i partiti e i media in stato confusionale.

Così, mentre la Commissione Europea si apprestava a proporre dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2040, progetto che dovrebbe permettere all’UE di rispettare gli accordi di Parigi per limitare le conseguenze del riscaldamento climatico, le proposte già varate a Bruxelles all’orizzonte 2030 ricevono contestazioni crescenti da parte di agricoltori, industriali, opinioni pubbliche, governi, partiti politici (Malingre, 2024).

Cosa fare

Il governo francese e Bruxelles, di fronte alla contestazioni, stanno mollando su tutti i fronti (al contrario che, per quanto riguarda il paese transalpino nel caso della riforma delle pensioni, che pure registrava qualche tempo fa proteste ben più importanti come dimensione) e alla fine è l’ecologia che perde, come intitolava il quotidiano Libèration dopo la sostanziale fine delle agitazioni. Si può aggiungere che intanto si investe sempre di più nelle armi. Per altro verso vincono i grandi proprietari, i grandi produttori di cereali e dell’agrobusiness. Perde invece, oltre all’ambiente, un nuovo possibile modello agricolo, su uno sfondo volgarmente patriottico-protezionistico.

Il governo di Parigi alla fine, con il primo ministro Gabriel Attal, designa i difensori del clima come nemici degli agricoltori; le sue proposte sono un inganno e non permettono di cambiare di modello (Belaich, Tondelier, 2024). Va ricordato che, al di là di questo caso, bisogna decidere chi deve pagare i necessari costi della transizione energetica: l’agricoltura, i consumatori, le imprese del settore, lo Stato.

Sulla questione, dietro le quinte, hanno soffiato sul fuoco i nemici dell’ambiente, a partire dalle grandi imprese dell’energia, mentre le destra lo ha fatto apertamente contestando più in generale tutte le misure che tendono a ridimensionare la crisi climatica.

Alla fin fine sono tutti uniti nella loro difesa del modello produttivistico: lo Stato francese, il più grande sindacato agricolo – la FNSEA, che si attiva da anni per frenare l’evoluzione del modello agricolo francese e che ha trascinato gli agricoltori nella trappola infernale dell’industrializzazione ad oltranza (Sigaux, 2024) -, l’Europa con la PAC (l’80% delle sue risorse vanno alle grandi imprese e ai piccoli restano solo le briciole) . Si tratta di un modello bloccato; l’agricoltura è in uno stato catastrofico dal punto di vista economico, sociale, ecologico, un settore alla fine della corsa e una professione, quella dell’agricoltore, in piena crisi esistenziale (Bertrand, Billard, 2024). E’ poi la FNSEA che ha fatto votare la PAC a Bruxelles mentre oggi dice che i problemi sono colpa di Bruxelles.

Non c’è da sperare che i governi degli altri paesi dell’UE decidano più saggiamente di quelli francesi.

Perché gli agricoltori possano far fronte al caos climatico e alla fluttuazione dei prezzi bisognerebbe riorientare la PAC e le politiche nazionali, combattere più in generale per un’agricoltura socialmente giusta, rispettosa dell’ambiente e del clima. Il valore aggiunto deve andare di più agli agricoltori e non all’industria alimentare e alla grande distribuzione. Ma bisogna anche garantire lo sviluppo di un’agroecologia che permetta di garantire suoli fertili e il rispetto delle risorse in acqua investendo adeguatamente nel settore (Belaich, Tondelier, 2024).

Certo, non si salverà il clima senza gli agricoltori e l’agricoltura finirà per essere impossibile senza misure ecologiste (Sigaux, 2024).

Sullo sfondo, peraltro, si profilerebbe la necessità di cambiare non solo i modi di produzione, ma anche quelli di consumo e i regimi alimentari (Bertrand, Billard, 2024). Un compito molto impegnativo.

Conclusioni 

Le decisioni provvisorie prese sul problema agricolo dai governi in Francia e altrove, sotto la minaccia dei trattori, rispondono parzialmente alle richieste immediate degli agricoltori. Il movimento è peraltro diviso al suo interno tra gli interessi delle grandi imprese e quelli delle piccole unità produttive, e propone più questioni di quelle che si pretende di risolvere. 

Resta totalmente in piedi il grande tema della messa a punto di un nuovo modello di sviluppo più rispettoso delle necessità di fondo del settore e della società tutta, mentre si configura un grave arretramento sul fronte della lotta ai mutamenti climatici. 

Le turbolenze di queste settimane mostrano, ancora una volta, la grave inadeguatezza delle classi dirigenti politiche europee, del tutto incapaci di individuare strategie di crescita sostenibile per i loro paesi e per il pianeta e prese sempre alla sprovvista dagli avvenimenti.

Purtroppo le soluzioni adottate da. queste stesse classi dirigenti inadeguate vanno incontro a una parte molto consistente delle opinioni pubbliche dei vari paesi dell’Unione, complici anche i media, che vedono come troppo onerosi oltre i costi del cambiamento verso un nuovo modello e si mostrano nella sostanza, poco sensibili ai temi ambientali, sul fronte agricolo come su quello delle auto, o ancora su quello delle emissioni inquinanti degli edifici.

Testi citati nell’articolo

-Ahuja A., A diet that is healthy for you and for the planet, www.ft.com, 24 settembre 2016 

-Allaire G. ed altri, Pourquoi l’Europe est une colonie agricole, Le Monde, 9-10 gennaio 2022

-Amato R., Agricoltura in crisi, i numeri e le ragioni della protesta, La Repubblica, 5 febbraio 2024

-Belaich S., Marine Tondelier : « On ne sauvera pas le climat sans les agriculteurs », Liberation, 29 gennaio 2024

-Bertrand M., Billard S., Agriculture, un modèle bloqué, L’Obs, 1 febbraio 2024

-Bezat J-M., Un grand plan social que ne dit pas son nom, Le Monde, 26 febbraio 2022

-Bezat J-M., Révolution à bas bruit dans les campagnes, Le Monde, 30 gennaio 2024

-Campanella P., Filiere fragili, tutela del lavoro e relazioni sindacali nell’agroalimentare, in a cura di M. Brollo ed altri, Dal lavoro povero al lavoro dignitoso, Adapt University Press, Bergamo, 2023

-Comito V., Come cambia l’industria, i chip, l’auto, la carne, Futura editrice, Roma, 2023

-Lorenzen H., Les partis démocratiques on trop longtemps ignoré les problèmes des agriculteurs, Le Monde, 28-29 gennaio 2024

-Malingre V., Le pact vert europèen a l’épreuve de contestations croissantes, Le Monde, 28-29 gennaio 2024

-Piketty T., Paysans: la plus inégale des professions, Le Monde, 11-12 febbraio 2024 

-Sigaux A., Nous devons lutter contre les tentatives d’opposer les écologistes aux agriculteurs, Le Monde, 31 gennaio 2024