Il governo ha introdotto una “Zona economica speciale” unica nel paese con l’obiettivo di favorire nuove attività economiche. La realtà è che si tratta di un nuovo regime di aiuti automatici a pioggia, controllato in modo centrale dal governo.
Nel dibattito pubblico italiano degli ultimi mesi ha avuto molto riscontro la decisione del governo di istituire la cosiddetta ZES (zona economica speciale) unica; è stata accompagnata da valutazioni generalmente positive da parte dei commentatori e dei rappresentanti delle imprese. Da taluni è stata addirittura presentata come una novità epocale, di grandissima rilevanza per il Mezzogiorno. Tali valutazioni paiono però scaturire più da prese di posizione a priori che da un’attenta analisi delle effettive decisioni. Come si vedrà in questo testo, la nuova normativa ha pochi elementi di sostanziale novità, alcuni dei quali decisamente problematici; ha motivazioni di carattere eminentemente politico, di desiderio di controllo dell’interlocuzione con le imprese. La notevole approssimazione con cui è stata disegnata ha prodotto ad inizio 2024 un blocco degli investimenti.
Le ZES sono zone delimitate di territorio nelle quali l’esercizio di attività economiche da parte delle aziende già operative e di quelle che si insediano può beneficiare di speciali condizioni. L’esperienza internazionale delle ZES è assai ampia (cfr. es. World Bank, Special Economic Zones: An Operational Review of Their Impacts, 2017); dalla letteratura disponibile emerge che il loro successo è stato in alcuni casi notevole, a partire dalle esperienze della Cina e, in parte, della Polonia. Tuttavia, esso appare strettamente collegato alle generali performance economiche di quei paesi, e alle condizioni complessive che hanno determinato la loro forte attrattività per la localizzazione di attività produttive da parte di investitori internazionali. Le ZES di successo sono uno strumento operativo inserito in una più generale strategia nazionale di sviluppo, e in particolare di una politica industriale nazionale di potenziamento e ampliamento del tessuto produttivo. È in questo quadro, che esse offrono condizioni localizzative particolarmente favorevoli ed esplicano al meglio il loro ruolo. Non basta attrezzare una ZES, insomma, per attirare investimenti. Zone vocate alla localizzazione di investimenti non sono, peraltro, una grande novità: le strategie della Cassa per il Mezzogiorno furono basate sulla realizzazione di aree attrezzate, nelle quali furono convogliati i non pochi investimenti determinatisi al Sud, specie negli anni Sessanta e Settanta quando le condizioni generali li favorivano.
In Italia sono state istituite dal governo Gentiloni nel giugno 2017 8 ZES, tutte nel Mezzogiorno; presentate all’epoca, in un dibattito di idee decisamente modesto, come un fondamentale contributo allo sviluppo del Sud. La normativa iniziale legava le ZES alle grandi reti di trasporto europee (TEN-T); nella lettura che ne aveva fatto la Svimez, esse avrebbero potuto essere importanti proprio per un possibile ruolo dei porti e dei retroporti del Sud nell’ambito dei traffici internazionali di merci, delle loro lavorazioni, della logistica. La realtà è stata diversa: non si è puntato con decisione su pochi grandi porti (a partire da Gioia Tauro, Taranto, Brindisi, Cagliari, Augusta, territori in rilevante difficoltà economica) costruendo pazientemente migliori condizioni localizzative. Le 8 ZES costituite (due in Sicilia, una Puglia-Molise, una Puglia-Basilicata e le altre in Abruzzo, Campania, Calabria, Sardegna) hanno poi avuto una perimetrazione assai discutibile ad opera delle Regioni, includendo porzioni di territori lontane e non collegate fra loro. La normativa è stata soggetta a continue modifiche. Tuttavia, il PNRR ha destinato 630 milioni ad interventi infrastrutturali nel loro ambito; gli 8 Commissari, alla fine nominati per guidarle, hanno cominciato a operare per agevolare l’insediamento delle imprese e per realizzare gli investimenti infrastrutturali previsti.
Come sono state agevolate? Principalmente attraverso l’incentivazione degli investimenti e le procedure autorizzative.
Dal 2015 sono stati introdotti in Italia crediti di imposta automatici per gli investimenti in tutto il Mezzogiorno, variamente prorogati fino al 2023 e finanziati dalle risorse della politica di coesione. Tale strumento ha pro e contro, ai quali in questa sede si può solo accennare: può aiutare, specie in periodi recessivi a sostenere l’accumulazione nelle aree più deboli del Paese, e pare aver svolto questo ruolo quantomeno nei primi anni di operatività. Tuttavia, è assai costoso: può drenare risorse più utilmente utilizzabili per interventi di politica industriale più mirati (ad esempio attraverso i contratti di sviluppo) o per investimenti pubblici, e non favorisce il processo di trasformazione strutturale del nostro modello produttivo. Soprattutto è indice della mancanza di idee per lo sviluppo del Mezzogiorno in tutti gli schieramenti politici che non siano erogare generosi incentivi alle imprese.
Nel 2017 è stato poi introdotto un credito di imposta ZES, solo per le imprese ubicate al loro interno, anch’esso finanziato senza tetto di spesa dalle risorse per la politica di coesione. Fra il credito di imposta “per tutti” e quello speciale per le ZES non esistevano però grandi differenze: entrambi erano soggetti alle limitazioni per le agevolazioni previste dall’Unione Europea (carta degli aiuti di Stato 2014-20); il secondo aveva però un tetto massimo di investimento agevolabile superiore (prima fino a 50 milioni, dal 2022 fino a 100) ed era utilizzabile anche per i terreni e gli immobili collegati alle attività produttive.
Grazie alle semplificazioni predisposte dal D.L. 91/2017, nelle ZES sono stati ridotti della metà i tempi necessari ad ottenere autorizzazioni che richiedono l’acquisizione di pareri o intese di competenza di più amministrazioni e di un terzo i tempi per ottenere le valutazioni ambientali, le autorizzazioni paesaggistiche, edilizie e le concessioni portuali. I Commissari ZES, con le loro strutture tecniche di supporto, si sono attivati per costituire specifici sportelli unici per concedere le “autorizzazioni uniche” (che, si badi, sono slegate dalla fruizione del credito di imposta) a potenziali investitori; esse mettono insieme, anche attraverso apposite conferenze di servizi, tutte le specifiche autorizzazioni relative agli investimenti da parte delle competenti autorità. Svolgevano per le ZES il ruolo di sportello unico digitale; cioè, i compiti normalmente affidati ai SUAP (sportelli unici per le attività produttive) istituiti sin dal 2010 sull’intero territorio nazionale.
Sull’esperienza delle 8 ZES è scarsissima la documentazione pubblica disponibile, e quindi è arduo stabilire se esse abbiano effettivamente rappresentato un miglioramento per le condizioni operative delle imprese. La migliore ricostruzione dell’esperienza è in Prota e Nisticò, Sviluppo industriale per poli? Le Zone economiche speciali in Italia e nel PNRR 2023, Stato e Mercato, 128, 2023. D’altra parte, la loro attività si svolgeva in mancanza di un più generale quadro nazionale di politica industriale (ad esempio in connessione ai nuovi indirizzi dell’Unione Europea in termini di autonomia strategica e di transizione verde) che indirizzasse i nuovi investimenti di ampliamento e di diversificazione della capacità produttiva del Paese in particolare in quelle aree. Era in corso, comunque, un processo di apprendimento e di miglioramento, l’instaurazione di relazioni collaborative con le istituzioni del territorio, la promozione delle specifiche opportunità localizzative.
Il governo Meloni è intervenuto sopprimendo le 8 ZES e sostituendole con la cosiddetta ZES unica, estesa all’intero Mezzogiorno. Una definizione, si noti subito, davvero singolare: un territorio “speciale” di tale enorme dimensione non ha riscontri in alcuna esperienza internazionale. “ZES unica” pare un ossimoro: una definizione più da comunicazione che da strumentazione di politica industriale. È evidente che si perde così qualsiasi nesso con possibili strategie di attrazione di investimenti nelle aree portuali e con le esperienze internazionali, che mostrano (il lavoro della World Bank già citato) che le ZES hanno maggiori probabilità di successo se sorgono su superfici concentrate in un territorio relativamente limitato e dalle caratteristiche ben definite (anche per una più efficace strategia di attrazione), non distanti da grandi città (perché la prossimità a centri urbani consente di valorizzare la disponibilità di servizi e capitale umano come fattori attrattivi) e strettamente collegate a nodi di interscambio.
Ha deciso anche di sostituire gli 8 Commissari con una struttura di missione che sarà composta da 67 persone più 14 esperti esterni (non ancora reclutati). La struttura di missione dovrà predisporre un “Piano Strategico” triennale per individuare, anche in modo differenziato per le Regioni, i settori da promuovere e gli interventi prioritari. Sarà stazione appaltante per gli investimenti PNRR in corso e rilascerà le autorizzazioni uniche, convocando le relative conferenze dei servizi, in tutto il Sud. È molto forte la preoccupazione circa l’operatività di questa struttura, dato che essa dovrà rispondere in tempi brevi a istanze provenienti da imprese che investono in qualsiasi area meridionale; perdendo le conoscenze e le relazioni che hanno gli sportelli unici con le istituzioni che localmente rilasciano autorizzazioni e pareri e le relazioni istituite in tal senso nelle 8 ZES. Inoltre, dato che le imprese possono richiedere anche varianti urbanistiche appare decisamente preoccupante che questa normativa non si applichi più solo in specifiche aree del Sud vocate agli insediamenti produttivi, ma a tutti i territori, inclusi i centri urbani. Lì potrebbero essere scardinati dall’alto i piani urbanistici. Il punto di fondo è che ogni impresa che desidera l’autorizzazione ora dovrà “andare a bussare alla porta del ministro”.
Il governo ha poi varato un nuovo regime d’aiuto che sostituisce i precedenti (e che in quanto tale necessita di notifica alla UE) e che si applica a tutto il Sud. Tale credito eleva le agevolazioni concedibili per i crediti di imposta perché applica la nuova carta comunitaria degli aiuti 2021-27 (che per la verità sarebbe stata già applicabile da inizio 2021). Le aliquote di credito d’imposta sono davvero notevoli: si arriva al 60% per le piccole imprese (al 70% nell’area di Taranto). Forse per questo è stato salutato con tanto favore da talune rappresentanze imprenditoriali: ma l’incremento dipende, come detto, dalla nuova normativa comunitaria. È stato mantenuto il tetto a 100 milioni per investimento (che ora vale per tutto il Sud) e inserito un minimo di 200.000 euro: ma sotto questa soglia si possono applicare le agevolazioni de minimis.
Il nodo sta nelle risorse. Nel documento con il quale ha presentato le modifiche al PNRR proposte alla Commissione UE nel luglio 2023, il governo aveva reindirizzato poco più di un miliardo al credito d’imposta ZES riveniente dall’esclusione dal Piano di alcuni interventi al Sud (infrastrutture di comunità e beni confiscati alle mafie). Per la verità di questa decisione si sono perse le tracce: nell’illustrazione del nuovo Piano, così come approvato dalla UE fatta del governo il 24.11.23, questa misura non è citata. Con la legge di bilancio sono stati destinati al credito di imposta per il 2024 1,8 miliardi. Essi valgono però solo per gli investimenti effettuati fino al 15.11.24; successivamente a tale data non ci sono al momento risorse disponibili. Tuttavia, il decreto che doveva normarne le procedure, inizialmente previsto per fine 2023, non è ancora pronto: quindi non è chiaro quali criteri si seguiranno per allocare queste risorse. A giudizio di molti osservatori esse potrebbero poi essere insufficienti per l’intero Mezzogiorno.
In un quadro di relativa debolezza competitiva del Sud rispetto ad altre localizzazioni europee e internazionali, appare difficile che questa strumentazione possa determinare, in assenza di una più generale politica industriale, cospicui flussi di investimento aggiuntivi. È lecito immaginare che il credito d’imposta sarà fruito principalmente da aziende locali, ovvero già insediate nell’area o già indirizzate all’investimento al Sud.
L’esordio della ZES unica è stato funestato da non pochi problemi: l’avvio operativo, previsto al 1.1.2024 è stato spostato di due mesi, prorogando gli attuali Commissari: ma vi sono dubbi sull’effettiva partenza a inizio marzo. Come detto, mancano elementi fondamentali: sia il piano di sviluppo che il decreto attuativo per il credito d’imposta. La fruizione dell’incentivazione d’imposta è quindi incerta, e per ora sospesa. Sostanzialmente il governo ha ottenuto il risultato di bloccare gli investimenti. Certamente non il miglior biglietto da visita nei confronti delle imprese investitrici.
Complessivamente, quindi, la ZES unica è principalmente un nuovo regime di aiuti automatici a pioggia non molto diverso da quelli vigenti dal 2015. Prevede semplificazioni procedurali, tutte da verificare nella loro concretezza operativa. È stata disegnata e attuata per il momento con stupefacente approssimazione e ha prodotto molta confusione. La sua principale motivazione è stata il desiderio del ministro di accentrare il più presto possibile nelle proprie mani tutti i processi relazionali con le imprese e decisionali relativi a nuovi investimenti al Sud.
Quest’articolo è pubblicato in parallelo su Sbilanciamoci.info e sul Menabò di Etica e Economia