È online, scaricabile gratuitamente, la traduzione di Sbilanciamoci! del Rapporto EuroMemorandum 2021 “Un’agenda per la trasformazione socio-ecologica dell’Europa dopo la pandemia”: l’analisi della situazione economico-politica e le ricette per uscire dalla crisi Covid con un’Unione giusta e sostenibile.
Come ogni anno, anche nel 2021 Sbilanciamoci! propone al pubblico la traduzione, scaricabile gratuitamente, del Rapporto EuroMemorandum realizzato dall’EuroMemo Group, nutrita rete europea di economisti da sempre impegnata sul fronte dell’analisi e della proposta per imprimere all’Unione europea una svolta verso traguardi di giustizia economica e sociale e di sostenibilità ambientale. Il Rapporto EuroMemorandum 2021, intitolato “Un’agenda per la trasformazione socio-ecologica dell’Europa dopo la pandemia”, deriva come di consueto dai dibattiti e dalle relazioni presentate alla conferenza annuale (il “Workshop on Alternative Economic Policy in Europe”) organizzata dall’EuroMemo Group, la cui ventiseiesima edizione – a cui anche Sbilanciamoci! ha preso parte – si è tenuta online, causa Covid, dall’8 al 25 settembre 2020.
Al centro del Rapporto EuroMemorandum 2021, la pandemia e i suoi devastanti effetti sul tessuto sociale, economico e produttivo dei paesi europei, le politiche e le misure intraprese dalla Ue per farvi fronte, la necessità e l’urgenza di mettere in campo approcci e strumenti radicalmente alternativi che mettano al centro – nell’ottica di un ambizioso Patto Verde e per la Cura in Europa – il welfare e il diritto alla salute e all’assistenza, un modello di sviluppo capace di rispettare gli equilibri ecologici del pianeta, nuove relazioni politiche e diplomatiche sia nella Ue sia a livello globale improntate alla cooperazione e alla solidarietà. Qui di seguito riportiamo il testo dell’introduzione del Rapporto.
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I fallimenti del capitalismo neoliberista (che la pandemia ha mostrato ancora una volta)
La pandemia di Coronavirus ha provocato più di 400.000 morti in Europa nel 2020, ha aperto una grave crisi economica e ha tragicamente messo a nudo i gravi difetti del modello economico predominante, sia nell’Unione Europea che altrove. Il modello neoliberista dei passati decenni consisteva nella costruzione di un mercato integrato globalmente con regole armonizzate, a loro volta garantite da organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio. La crisi finanziaria globale, la crisi climatica, così come l’emergere del populismo autoritario su scala globale e, più recentemente, la pandemia di Covid-19, hanno reso chiarissimo che il capitalismo neoliberista è in profonda crisi.
Il commercio internazionale e gli investimenti hanno subìto un rallentamento dal 2009. Inoltre, l’attività economica internazionale, paradigmaticamente incarnata nelle catene globali del valore, è stata esposta a diversi tipi di shock, come evidenziato dal Covid-19. La quantità di tali shock è in aumento da anni e il loro impatto economico e sociale è diventato sempre più grave.[1] Se si considera il numero crescente di eventi climatici avversi (inondazioni, siccità, eccetera), crisi sanitarie, attacchi informatici e conflitti politici, è probabile che tanto la frequenza quanto l’ampiezza del rallentamento economico e produttivo siano destinate ad aumentare nel prossimo futuro.
Meno cooperazione internazionale, ma più integrazione europea?
A seguito della pandemia abbiamo assistito al ritorno dello Stato come agente economico di ultima istanza. Ciò ha prodotto risultati ambivalenti. In primo luogo, al fine di garantire la fornitura di beni essenziali, in particolare prodotti e forniture mediche e farmaceutiche, i governi di 90 paesi hanno scelto di imporre circa 230 restrizioni all’esportazione.[2] Tra questi sono inclusi i protagonisti del cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” (“Rules-based International Order”), come la Commissione europea, la Germania e il Giappone. Analogamente, i paesi ricchi del centro capitalistico hanno ingaggiato una lotta per assicurarsi un accesso preferenziale ai vaccini sviluppati dai laboratori di ricerca e dalle aziende farmaceutiche, a discapito di un approccio coordinato che tenesse conto delle esigenze dei paesi della periferia.[3] La mancanza di solidarietà internazionale, almeno durante la prima fase della crisi Covid-19, ha costituito un elemento di grave problematicità; ma questo non dovrebbe sorprenderci dato che sono gli Stati nazionali ad avere la responsabilità primaria della gestione delle situazioni di crisi, mentre l’UE non dispone ancora di rilevanti competenze al riguardo. Il Covid-19 ha quindi avuto l’effetto iniziale di indebolire ulteriormente la cooperazione europea e internazionale.
In secondo luogo, i governi di tutta l’UE hanno introdotto ampi programmi fiscali per mitigare l’impatto economico e sociale della profonda contrazione economica dovuta al Covid-19. La sospensione delle regole fiscali e sugli aiuti di Stato da parte della Commissione europea, così come le ingenti iniezioni di liquidità della Banca Centrale Europea, hanno portato al varo di imponenti piani di spesa da parte dei singoli Stati membri. Le politiche di austerità degli ultimi dodici anni si sono rivelate al grande pubblico per quello che sono sempre state: dogmatiche e slegate da solidi ancoraggi teorici, dall’esperienza storica e soprattutto dal loro costo in termini umani e sociali. Inoltre, l’impatto economico marcatamente asimmetrico del Covid-19 tra gli Stati membri dell’UE, con paesi dell’Europa meridionale come Italia e Spagna colpiti più duramente rispetto a quelli che ruotano attorno all’orbita della Germania, ha portato a compiere un ulteriore passo, sebbene timido, verso l’integrazione economica, vale a dire la decisione di introdurre forme mutualistiche di debito europeo con il Next Generation EU Program. Il programma da 750 miliardi di euro comprende sia prestiti che sovvenzioni, queste ultime per un totale di 390 miliardi di euro. Pur trattandosi di una novità importante, non sappiamo se la portata di questa iniziativa e la velocità della sua attuazione saranno sufficienti a dare un contributo significativo alla ripresa dell’economia europea, né tantomeno a un processo di convergenza economica all’interno dell’Eurozona.
La crisi climatica e la necessità di una profonda trasformazione socio-ecologica
Sebbene un annunciato 30% dei fondi del Next Generation EU sarà destinato a finanziare investimenti verdi, nondimeno il Green Deal europeo (European Green Deal, d’ora in avanti EGD), progetto chiave della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, appare sotto pressione a causa della profonda crisi economica generata dalla pandemia. Le proposte per concretizzare programmi specifici nell’ambito dell’EGD sono state rinviate o indebolite. Nell’ottobre 2020, ad esempio, le posizioni concordate sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo sugli orientamenti per la Politica agricola comune (PAC) per il periodo 2021-2027 sono state ampiamente criticate per la mancanza di ambizione in materia di obiettivi sulla protezione dell’ambiente e del clima.[4]
È fin troppo ovvio che i gruppi e gli interessi più forti stiano usando l’attuale crisi economica come pretesto per respingere non solo gli elementi più ambiziosi dell’EGD, ma anche le proposte più radicali di trasformazione socio-ecologica. Il processo decisionale nelle istituzioni europee è diventato via via più tortuoso, con l’emergere di nuovi paesi che oppongono il diritto di veto su argomenti specifici come i quattro “paesi frugali” (Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia, supportati dalla Finlandia) sulla politica fiscale, o come l’Ungheria e la Polonia sulla politica climatica, lo Stato di diritto e altri temi. Sfortunatamente, le discussioni sulla traiettoria futura dell’integrazione europea sono oggi più controverse che mai. Recenti – e importanti – eventi quali la Brexit, il cambiamento della linea di politica estera statunitense rispetto alla Cina o la diffusione della pandemia di Covid non sono stati finora in grado di cambiare la prospettiva strategica dei responsabili politici dell’UE, i quali appaiono capaci di fare solo lo stretto necessario per evitare il crollo dell’Eurozona o eventi di simile, disastrosa portata.
Durante l’autunno del 2020, la maggior parte dei paesi europei è stata attraversata da una seconda ondata di Covid-19, in conseguenza della quale il processo decisionale dell’UE ha avuto una nuova accelerazione. Sebbene sia impossibile prevedere quando la pandemia sarà definitivamente contenuta, deve essere nondimeno chiaro che, dati gli obiettivi climatici dell’UE, le decisioni di politica economica che saranno prese nel corso dei prossimi anni peseranno in modo decisivo sulla traiettoria dell’economia europea da qui alla fine del decennio. Saranno quindi, i prossimi, anni decisivi, sia se ci muoveremo verso la sostituzione dei nostri attuali modelli di produzione e consumo socialmente e ambientalmente insostenibili, sia se le forze dello status quo prevarranno, infliggendoci crisi sociali e ambientali sempre più intense.
Come già sottolineato nel Rapporto EuroMemorandum 2020, il Gruppo EuroMemo crede fermamente che sia fondamentale adottare un programma puntuale e radicale di trasformazione socio-ecologica al fine di realizzare la necessaria transizione verso un futuro sostenibile. Nel Rapporto di quest’anno, oltre a offrire una panoramica sulla situazione economica e politica corrente e una critica al Green Deal europeo e alla sua implementazione, ci concentriamo su una serie di ambiti che sono rimasti troppo spesso fuori dalle discussioni circa la trasformazione socio-ecologica, ma che meritano tuttavia grande attenzione: in primo luogo, la necessità di adottare una prospettiva femminista e di rimarcare l’importanza della riproduzione sociale e della cura all’interno di qualsiasi articolazione di una proposta progressista sul Green New Deal e la trasformazione socio-ecologica. In secondo luogo, alla luce dei nostri obiettivi e impegni sul fronte dell’ambiente e delle urgenze dettate dal Covid-19, serve un programma ambizioso per ricostruire la nostra economia produttiva.
In terzo luogo, la dimensione internazionale e la politica estera e di sicurezza dell’UE devono essere affrontate in modo molto più esplicito. Alla luce delle crescenti rivalità geopolitiche, in particolare tra gli Stati Uniti e la Cina, occorre contrastare con forza i piani volti a espandere le capacità militari dell’UE e la sua politica esterna di sicurezza – così come la sua politica commerciale – al fine di poter assumere un approccio ancora più aggressivo negli affari internazionali. L’UE deve al contrario basare la propria politica estera sui principi del peace-building, della mediazione dei conflitti e del disarmo, insieme a quelli di cooperazione e solidarietà internazionale.
Note
[1] Cfr., ad esempio, Swiss Re Institute (2020) “Natural catastrophes in times of economic accumulation and climate change”. Sigma No. 2/2020. Disponibile su: https://www.swissre.com/dam/jcr:85598d6e-b5b5-4d4b-971e-5fc9eee143fb/sigma-2-2020-en.pdf (accesso: 15 dicembre 2020).
[2] Si veda il sito del WTO: https://www.wto.org/ (30 agosto 2020).
[3] L’iniziativa Gavi COVAC con il supporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, della Commissione europea e della Francia è un’eccezione, ma probabilmente troppo debole e sottofinanziata per fornire ai paesi meno sviluppati un accesso onnicomprensivo a una vaccinazione efficace, una volta disponibile. Per maggiori informazioni si veda www.gavi.org.
[4] Cfr. https://www.politico.eu/article/europes-green-ambitions-run-into-an-old-foe-farmers/