Scomparsa dall’elenco delle opere del fare del governo, anche a livello europeo del Corridoio 5 resta poco più di un’idea. Una riflessione a partire dal libro “Binario morto”
Fatti diversi hanno interessato nel mese di giugno il mondo dei treni ad Alta velocità/Alta capacità. C’è stata l’inaugurazione della stazione AV/AC di Reggio Emilia, un fantastico e avveniristico progetto realizzato da Santiago Calatrava, maestro architetto di Spagna, in piena campagna. Il secondo fatto è che il 9 giugno, giorno inaugurale, non c’erano collegamenti con la città; sopra la stazione, un capolavoro lungo 483 metri, pioveva e pioveva anche dentro. Un altro fatto, semipolitico questo, è stato l’elenco delle opere del fare, preparato dal governo italiano. Esso non comprendeva tra le 12 grandi opere indicate per il quadriennio 13-17 – e dunque escludeva – la tratta Torino Lione del funambolico Corridoio 5. Il principio di realtà applicato ai programmi di governo?
Sul Corridoio 5 è uscito mesi fa un libro, “Binario morto”, edizioni chiarelettere, che tratta del viaggio dei due autori, Luca Rastello e Andrea De Benedetti, da Lisbona a Kiev e dintorni “Alla scoperta del corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è”. Il tracciato del Corridoio che gli autori hanno percorso è poco più di una linea immaginaria sulla carta geografica dell’Europa.
Tutti sappiamo che viaggi simili, in treni veri, svolti effettivamente o immaginati soltanto, fanno parte della letteratura d’evasione. La transiberiana, da Mosca fino a Vladivostok, la First Transcontinental Road degli Usa dall’Atlantico al Pacifico, l’Orient Express in Europa, sono teatro di molte avventure. Così gli autori di questo viaggio si sono presentati a Sergio Bologna, grande esperto di trasporti, per vantare il loro successo: “siamo i primi a farlo”, hanno dichiarato, sentendosi rispondere: “siete anche gli ultimi”.
Gli autori si sono dati un compito che lega insieme il viaggio delle merci con quello dell’alta velocità; per semplificare hanno immaginato che come novelli Michele Strogoff di epoca più commerciale di quella degli zar raccontata da Jules Verne, il loro messaggio non fosse quello di recapitare una missiva, ma una confezione di caffè sottovuoto.
Trascurando gli aspetti di diversivo che pure sono assai divertenti, il libro si propone di affrontare un paio di problemi: la capacità e la volontà del continente di offrirsi una linea orizzontale di alta velocità che lo attraversi da un capo all’altro e d’altro canto lo stato dell’arte, quanto a dire le tecniche, le costruzioni di rotaie e stazioni, i collegamenti, le merci in movimento e i viaggiatori attuali e la previsione per il futuro. Gli autori hanno scoperto che niente di tutto questo esiste. Per l’Unione europea il corridoio 5 non è necessariamente una ferrovia, non esiste a riguardo alcun documento definitivo. I vari paesi interessati lo sono in modo vario: chi non ne sa niente, chi rifiuta la spesa e si ritira (Portogallo) chi come la Spagna, ha un’idea del sistema ferroviario che ripete i percorsi (e i concetti) delle comunicazioni intese a legare la Capitale al resto del paese. Quindi, dai tempi dei cavalli e delle stazioni di posta ripete sempre gli stessi percorsi e le stesse scelte, che si tratti di strade, di ferrovie, di autostrade o di treni veloci (ad alta velocità o a velocità alta, il che, come ci spiegano, non è proprio lo stesso), collegando le stesse città di sempre a Madrid, posta però parecchio a nord e fuori dal nuovo Corridoio 5 rinnovato da Algeciras a Barcellona a Lione ….
Francia e Italia, nazioni ispiratrici del Corridoio 5 che sarebbe servito per valorizzare il tratto Torino Lione, non hanno mai chiarito cosa volessero trasportare con i loro treni AV, se anche merci o soltanto passeggeri, in che quantità e con quali modalità. Nel libro di Rastello e De Benedetti gli aspetti irrisolti, le incongruenze sono presenti, e discussi. Ma prima di insistere su questo motivo che non ha bisogno di tante ripetizioni, occorre seguirne il resto del viaggio, ormai senza speranza. C’è un buon pezzo d’Italia, dopo Milano e fino a Trieste. Qui non c’è un Corridoio che tenga. Invece di AV che corrisponde alla Freccia Rossa si tratta di VA cioè Velocità alta; le frecce sono d’argento e basta il Pendolino, capace di inclinarsi in curva, per svolgere il ruolo. Oltre tutto è capace anche di rotolare sui binari di prima. Il nodo di Vicenza è sempre irrisolto: sono i problemi di falda a rimanere insoluti: non si può correre in superficie perché non c’è spazio, né scendere poco o molto perché l’inquinamento delle acque, come del resto tra Milano e Torino, sarebbe intollerabile. Inoltre, dopo Trieste non c’è treno che tenga; il governo sloveno ha scelto di non farne niente. Così come l’Ungheria che si rifiuta e intende investire in autostrade, così tra Leopoli e Kiev per tutto il Corridoio che rimane.
Gli autori sul nodo piemontese fanno parlare un esperto, un ingegnere, che è probabilmente uno che conosco anch’io, tanto riconosco le sue parole misurate. Egli spiega, pacatamente, come un sistema di AV/AC intorno a Torino sia impossibile e assurdo, con grandi errori di assetto ferroviario. Da parte sua Sergio Bologna torna alla carica e indica i tre punti critici non risolti: assenza di democrazia, nel senso che nel mondo globale i diritti locali – la Valle per esempio – valgono almeno quanto quelli nazionali; poi i traffici da e per l’Italia sono per l’80% attraverso le frontiere svizzere e austriache e così sarà presumibilmente anche nei venti e più anni di costruzione dell’eventuale nuovo raccordo ferroviario Torino-Lyon; infine i nodi. L’A/V del Corridoio 5 fa pensare a tratte di un’enorme autostrada interrotte ogni tanto da un unico casello dove il gran traffico si ingolfa.
C’è poi un argomento scabroso, che gli autori preferirebbero – così affermano – non dover trattare. Riguarda Valsusa, annessi e connessi. Perché qui, si chiedono? Perché per così tanti anni? E raccontano una serie di avvenimenti, strani e dolenti, che cominciano negli anni novanta o prima ancora e riguardano un continuum che passa dall’autostrada agli impianti di risalita, da una elettroconduttura gigante di origine francese che darebbe luce a tutta Italia, a una serie di attività o di espedienti industriali, ai tentativi di Tav che si susseguono con progetti sempre diversi, alle centrali idroelettriche scavate nelle grotte e articolate con alte paratie in cemento per imbrigliare la Dora e le sorgenti; il tutto con una forte società che ha un occhio sull’intero contesto e comanda. Poi ci sono i dettagli: un killer a ripetizione in libera uscita con una ventina di omicidi sulla coscienza, un armaiolo che vende centinaia di pistole con permessi falsificati a ogni tipo di malavitoso che gliene chieda; e su tutto una protezione diffusa, una presenza da parte non di qualche mafia, come sarebbe perfino logico o almeno credibile, ma da parte di un ineffabile servizio segreto, un potere dello stato insomma, un po’ deviato e un po’ soltanto coperto.
Cose già viste, anche se non con una simile pervasività. Cose superabili se non fosse per l’invenzione – che spesso è inevitabile, ma ha quasi sempre esiti drammatici – di un’inesistente trama eversiva terroristica anarchica che qui ha portato a morire Baleno e Soledad.
Insomma: il Tav di Valsusa, all’interno di un imbroglio largo come l’Europa di cui ormai sappiamo quasi tutto, è il terreno economico e politico utile a una struttura potente e nascosta. Questa se ne serve per esprimersi e parla attraverso qualche voce forte: sindaci, magistrati senatori, e così via; in sostanza afferma: lo stato ha deciso e tu devi obbedire, ma Tav è utile anche anche per costruire l’Antistato che può sempre venire buono; se non altro per costruire poteri di contrasto, fuori controllo e senza democrazia.
Andrea De Benedetti, Luca Rastello, “Binario morto – Lisbona-Kiev (Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è)”, chiare lettere, p. 203, euro 12,90