La relazione del Comitato interministeriale sulle politiche del governo “sovranista” di Giorgia Meloni nel delicato settore della “space economy” conferma la sudditanza agli Stati Uniti, disconoscendo il monito del Presidente Mattarella, il progetto europeo Iris2 e l’European Space Act.
L’approvazione della Legge n. 89 del 13 giugno 2025, (Legge Spazio) rappresenta una svolta profonda nella politica spaziale e di sicurezza nazionale italiana, segnando il passaggio dal precedente dibattito sulle intenzioni più o meno dichiarate a una formale accettazione della subalternità strategica dell’Italia ad interessi privati stranieri. Il tutto come frutto di una maggioranza che proclama in maniera indefessa la necessità di protezione ”dell’interesse nazionale”.
Già al tempo della sua discussione nell’aprile 2025, il disegno di legge suscitò aspre critiche per una apparentemente perfetta cucitura del testo sulle specifiche esigenze di Elon Musk e della sua costellazione satellitare in orbita bassa Starlink. Centro delle polemiche, l’articolo 25 della legge, con il quale viene disciplinata la costituzione di una riserva di capacità trasmissiva nazionale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi di comunicazione satellitare gestiti da “soggetti appartenenti all’Unione Europea o all’Alleanza Atlantica”. Quest’ultima specifica apre esplicitamente la porta a operatori privati statunitensi come, non a caso, la SpaceX di Elon Musk, proprietaria di Starlink. All’epoca della sua presentazione emersero con forza i pareri discordanti del Presidente ella Repubblica Sergio Mattarella, il quale, in due differenti occasioni pubbliche – all’Università di Aix-Marseille e all’Accademia dell’Aeronautica Militare italiana – parlò esplicitamente di “neo-feudatari del Terzo millennio” che aspirano a gestire beni comuni come lo spazio, “quasi usurpatori delle sovranità democratiche”. Questi moniti presidenziali rappresentano tuttora un potente (quanto raro) segnale d’allarme riguardo alla privatizzazione delle infrastrutture critiche come le comunicazioni satellitari. A dispetto di ciò, come riportato dal Fatto Quotidiano di qualche giorno fa, la svolta definitiva piegata verso Starlink è segnata dalla pubblicazione della Relazione annuale sulle politiche spaziali del governo Meloni, redatta dal Comitato Interministeriale (Comint) presieduto da Adolfo Urso. Questo documento (di cui al momento non si trova traccia in rete) non solo riconosce la superiorità netta di Starlink rispetto al progetto europeo IRIS2 ma definisce l’immutabilità futura di tale superiorità nel breve e nel medio periodo affermando, ancor più significativamente, che “la Ue non potrà prescindere da una stretta partnership con gli Usa” in questo settore strategico. Una messa di cappello definitivo anche alle possibili evoluzioni dello European Space Act, proposta normativa della Commissione Europea.
Un paio di domande sorgono immediate: l’accettazione della dipendenza da un attore privato USA rappresenta una posizione condivisa a livello europeo o è una forzatura solitaria e divergente del governo italiano? E quale è oggi il pensiero del Presidente Mattarella, rispetto ai precedenti moniti sui “neo-feudatari”?.
Come in altri domini tecnologici, sorgono poi questioni profonde che riguardano la natura stessa dello Stato. Ciò che emergere tratteggiato è un modello di Stato che abdica progressivamente al ruolo di gestore e garante delle infrastrutture strategiche, trasformandosi in un cliente subalterno e dipendente da potentati privati. La scelta, presentata come tecnicamente neutra, è in realtà l’esito di decenni di distruzione dell’intervento pubblico e di celebrazione dell’efficienza del privato, a cui sono state nel frattempo trasferite e appaltate risorse economiche, competenze e conoscenze. Il paradosso diventa lampante proprio osservando il caso statunitense. La SpaceX di Elon Musk non sarebbe oggi un monopolista dei lanci spaziali senza i miliardi di dollari ottenuti dalla NASA e dal Dipartimento della Difesa USA. Lo stesso vale per altre aziende, nell’intelligence come nei dati o nel cloud. È lo Stato, attraverso appalti e finanziamenti alla ricerca da una parte, e detassazioni dall’altra, ad assumersi i rischi maggiori e a creare le condizioni per lo sviluppo di queste tecnologie, per poi vedersele sottrarre e ritrovarsi a doverle ricomprare come servizio dai privati, in una posizione di sudditanza. Il processo che ha depauperato le capacità pubbliche ad aver creato artificiosamente il divario tecnologico che oggi giustifica la cessione di sovranità cui assistiamo. Ciò riguarda non solo le comunicazioni strategiche, ma lo stesso spazio extra-atmosferico, soggetto a nuove enclosures e colonizzato da interessi commerciali privati, con buona pace del suo essere patrimonio comune dell’umanità, come definito dal Trattato ONU del 1967.
Nello spazio, come in altri ambiti pubblici, vanno ridefiniti i concetti di proprietà, bisogni e capacità in una chiave collettiva, con alcune proposte operative.
Sul piano globale l’Europa può farsi promotrice di una forte iniziativa tesa ad aggiornare il Trattato sullo Spazio del 1967, con la creazione di un’Agenzia Spaziale Globale sotto l’egida dell’ONU dotata di poteri di regolamentazione e controllo, che tenga conto dell’ingresso dei nuovi soggetti privati non esistenti al momento della prima stesura.
Anche seguendo alcune delle indicazioni di Mario Draghi, certamente non accusabile di radicalismo estremista, la Comunità Europea deve ricominciare a costruire sé stessa in maniera autonoma, diventando artefice del proprio futuro, specie e soprattutto negli ambiti tecnologici. E’ necessario rilanciare il progetto europeo IRIS2 per le infrastrutture spaziali. Al progetto vanno assegnate risorse adeguate finalizzate alla creazione dell’intera filiera tecnologica, con un forte controllo pubblico su di essa. Una tassazione significativa sulle attività spaziali private che sfruttano beni comuni come le orbite e le frequenze può servire per finanziare un Fondo per l’Innovazione che dia supporto economico costante al progetto. Al contempo debbono essere emanate norme antitrust severe atte a rompere i monopoli nello spazio, ispirandosi a leggi come lo statunitense Public Utility Holding Company Act del 1935. La proprietà delle infrastrutture, quali razzi e satelliti, vanno separati dalla fornitura dei servizi, quali le comunicazioni, rompendo il controllo di un’unica azienda sull’intera catena del valore.
La resa all’oligopolio che sancisce la relazione del Comint, seppure tecnicamente non è difesa dell’interesse nazionale. E’ il piccolo cabotaggio di una politica senza orizzonti piegata sugli interessi di schieramento del presente. Una scelta politica precisa, figlia di decenni di ideologia neoliberista che trova compimento in chi afferma di difendere con forza gli interessi della nazione mentre lavora per il suo completo piegarsi agli attuali padroni del vapore. Il futuro non è un appalto da affidare a Elon Musk oggi o a Jeff Bezos domani. E’ un bene comune da difendere, a partire dallo spazio già a suo tempo riconosciuto come “patrimonio dell’umanità”.
La battaglia per la sovranità tecnologica è anche battaglia per la democrazia del XXI secolo.