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La grande redistribuzione che serve all’Italia

Il nuovo numero di Micromega è dedicato al “programma dell’Altraitalia”. Anticipiamo qui la parte finale dell’articolo “Un programma per l’economia”: come fare i conti col debito, come cambiare la spesa pubblica e il fisco, come ridurre le disuguaglianze in Italia

Nei vent’anni di berlusconismo una “grande redistribuzione” c’è stata: dall’80% degli italiani al 20% più ricco. Se guardiamo ai redditi degli italiani (dati Banca d’Italia), il venti per cento più ricco della popolazione otteneva nel 2000 il 44 per cento del reddito disponibile, mentre al venti per cento più povero rimaneva appena il 6 per cento del totale. Nel primo decennio del duemila queste distanze sono ancora aumentate e si sono aggravate quelle tra lavoratori dipendenti e autonomi. I dati Istat mostrano redditi individuali netti da lavoro nel 2006 di quasi 16 mila euro per i lavoratori dipendenti e di appena 13.200 euro per i lavoratori autonomi; gli operai sono sotto i 15 mila euro, mentre i liberi professionisti non arrivano a 29 mila euro l’anno. Oltre alle disparità sociali, ci sono i segni qui di un’evasione fiscale di grandi proporzioni da parte dei lavoratori autonomi, che porta un’ulteriore distorsione nella distribuzione del reddito.

Se guardiamo al vertice della piramide, in Italia ci sono quasi 600 mila persone con un patrimonio finanziario (immobili esclusi) di oltre 500 mila euro a testa; la fonte è l’Associazione italiana di private banking (ne ha parlato Guido Ortona su questo sito).

La ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane è la più alta d’Europa. A mostrarlo è il Rapporto annuale Istat del 2010 (pag.177), spiegando che in Italia è pari a circa due volte il Pil nella media dell’ultimo decennio, quasi il doppio della Germania e della Francia. Pur con una Borsa asfittica, dopo il 2001 l’Italia batte sistematicamente il Regno unito con la sua City. A questi dati si dovrebbero aggiungere i valori in costante crescita dei patrimoni immobiliari italiani.

In Italia, più che in altri paesi europei, l’economia e la politica hanno alimentato la ricchezza di un numero ristretto di italiani. Una radiografia di questi fenomeni è nel libro di Maurizio Franzini Ricchi e poveri. L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili (Università Bocconi Editore, 2010).

Di fronte alle dimensioni del debito pubblico e a questo trasferimento di ricchezza, anche le voci liberiste e confindustriali non possono ignorare squilibri di questo tipo. Guido Tabellini, rettore della Bocconi, riconosce sul Sole 24 Ore (18 settembre 2011) che “la ricchezza netta delle famiglie italiane è circa cinque volte il reddito nazionale”, respinge le proposte di una patrimoniale “una tantum” destinata a ridurre il debito e suggerisce invece un’imposizione del 5 per mille (curiosamente, la stessa proposta da Sbilanciamoci) per favorire un processo di riforme. Pochi giorni dopo, Confindustria ha annunciato, tra i “cinque punti” del suo programma, la proposta di una tassa dell’1,5 per mille sui patrimoni che dovrebbe sostituire il gettito di imposte sul reddito e Irap sulle imprese.

Quello che manca alle proposte “liberiste” è il principio della giustizia sociale, che si può riflettere in una progressività dell’imposizione sui patrimoni. Il primo passo l’ha proposto la Campagna Sbilanciamoci nella sua “Contromanovra”: un’imposta sui patrimoni del 5 per mille – con una limitata franchigia per i patrimoni più bassi – porterebbe un’entrata in due anni di 21 miliardi di euro.

Ma quello che serve è una una strategia di redistribuzione come obiettivo centrale della politica economica. Redistribuzione dal 20% più ricco degli italiani che hanno concentrato tutti gli incrementi di ricchezza del paese di questi decenni, a tutti gli altri. Redistribuzione dalle rendite finanziarie e dai profitti che hanno aumentato di oltre 10 punti percentuali la loro quota sul Pil, a danno dei redditi da lavoro. Come i dati dello “scudo fiscale” sui capitali esportati illegalmente mostrano oggi, una parte importante di rendite e profitti ha preso la strada di speculazioni all’estero, riducendo le risorse per gli investimenti delle imprese. Redistribuire farebbe bene all’economia, aumenterebbe la domanda, i consumi, la crescita e con essa gli investimenti nell’economia reale.

La questione della “grande redistribuzione” potrebbe diventare un tema chiave per far cambiare strada alle politiche economiche, uscendo dalla stretta tra le pericolose manovre di Tremonti e quelle disegnate dal “supergoverno virtuale”. Può dare coerenza ai diversi fronti della politica economica: redistribuire vuol dire alleggerire il peso del debito, cambiare la finanza pubblica con meno imposizione sul lavoro e più sui patrimoni, trasferire risorse a chi si è ritrovato tra i “perdenti” nell’economia di questi decenni. Sono tanti: due terzi delle famiglie italiane (sono quattro quinti al Sud) dichiarano all’Istat che nel 2007 (prima della crisi) non sono riuscite a risparmiare nulla del proprio reddito.

L’idea della “grande redistribuzione” può trasmettere un modello di società meno ingiusta, più ugualitaria, più attenta alla qualità sociale e ai beni pubblici, in cui la maggioranza degli italiani potrebbe riconoscersi dopo vent’anni di corsa al privilegio, all’individualismo, al mercato come unico orizzonte. E, può trovare le risorse economiche indispensabili non solo per fermare l’aumento della povertà assoluta nel paese, ma per trasferire le risorse a quel terzo di famiglie italiane (sono quasi la metà al Sud) che nel 2007 dichiarava all’Istat di non riuscire ad affrontare una spesa imprevista di 700 euro. Dalla “grande redistribuzione” potranno ottenere benefici economici concreti quattro italiani su cinque, e proprio tutti si troverebbero a vivere in una società meno degradata, insicura e ingiusta. Una bella base sociale per una politica diversa, e una bella maggioranza per vincere le prossime elezioni.

Dal numero 7/2011 di Micromega, in edicola e in libreria a novembre.

Ecco l’indice del numero:

Federico Caffè – La solitudine del riformistaQuesto articolo è stato pubblicato sul quotidiano il manifesto il 29 gennaio del 1982. Il suo autore è un grande economista italiano, scomparso in circostanze mai chiarite qualche anno dopo. In poche righe Caffè è riuscito a condensare l’essenza stessa del riformismo, cioè dello ‘spirito’, dell’atteggiamento morale e intellettuale, che abbiamo tentato di trasferire in questo volume di MicroMega dedicato a ‘il programma dell’AltraItalia’.ICEBERG 1 – un programma per salvare l’ItaliaBarbara Spinelli – Un programma per l’EuropaQuando si parla di Europa l’atteggiamento oscilla tra l’ostilità e la acritica compiacenza. Ma non sono più tempi di peana pro o contro l’Europa, ma di battaglie, di critiche inflessibili, di nuove costruzioni. Il tanto invocato ‘interesse nazionale’ in verità coincide perfettamente – e drammaticamente – con quello europeo. È ora che i politici – e la sinistra in particolare – se ne accorgano.Marco Travaglio – Un programma per la giustizia penaleAtto primo: abrogazione di tutte le leggi vergogna. Dopo, e solo dopo, si può cominciare a rimettere in piedi la giustizia penale: fuori la politica dal Csm, carriere unificate per giudici e pm, prescrizione bloccata dopo il rinvio a giudizio, inasprimento delle pene per il falso in bilancio, riforma del diritto al silenzio e dell’immunità parlamentare… Mario Pianta – Un programma per l’economiaCi sentiamo ripetere di continuo che con la crisi non ci sono alternative alle manovre di austerità e tagli al welfare. Ma non è vero. Con una politica di ‘grande redistribuzione’ della ricchezza – costituita ad esempio da un’imposta sui patrimoni del 5 per mille, una tassazione aggiuntiva del 15 per cento sui capitali scudati, una nuova tassazione delle rendite finanziarie al 23 per cento – si potrebbero ottenere tre obiettivi: migliorare la situazione del debito, rilanciare l’economia e avere una società più equa.Luciano Gallino – Un programma per le politiche industrialiInterrogarsi sul futuro industriale del nostro paese significa innanzitutto fare i conti con la triplice crisi che ci ha investito, finanziaria, ambientale e di modello produttivo. La politica industriale è chiamata oggi a perseguire delle finalità sociali, mettendo al primo posto la creazione di posti di lavoro. Alcuni esempi su quali strade è possibile intraprendere.Bruno Tinti – Un programma contro l’evasione fiscale‘Inefficienza programmata’ e ‘impunità garantita’: questi i due pilastri sui quali si fonda il nostro sistema tributario. E infatti ogni anno mancano all’appello fra i 120 e i 160 miliardi di imposte. Ma basterebbero poche e incisive riforme – detrazione totale delle spese, pubblicità dei redditi, obbligo di dichiarazione di qualsiasi conto bancario, inasprimento delle pene – e per gli evasori la pacchia finirebbe.Piergiovanni Alleva – Un programma contro la precarietàLa precarietà è una piaga sociale. In pochi però sono disposti a contrastarla con provvedimenti concreti. Alcuni semplicissimi strumenti giuridici: un’anagrafe pubblica del lavoro, la possibilità di impugnazione del contratto da parte delle organizzazioni sindacali, l’incremento dei poteri degli ispettori del lavoro. E altre misure quasi sempre a costo zero.Maurizio Landini – Un programma per la democrazia sindacaleLavoratrici e lavoratori sono gli unici titolari dei propri diritti e dovrebbero essere loro a esprimere – senza mediazioni – il loro parere su accordi e contratti che determinano le condizioni della loro vita. Per cominciare: una rigorosa legge sulla democrazia sindacale e un referendum che abroghi l’articolo 8 della finanziaria (che concede la possibilità di deroghe a leggi e contratti).Roberto Scarpinato – Un programma contro i poteri criminaliPer l’Italia la questione criminale è una componente essenziale delle dinamiche politiche ed economiche. È perciò indispensabile un piano straordinario per combattere i poteri criminali e restituire la democrazia ai cittadini e il mercato alla libera concorrenza: introduzione del reato di traffico di influenze, inasprimento delle pene per alcuni reati societari, inserimento del reato di autoriciclaggio, aumento della prescrizione… Riforme che possono dar vita a un vero blocco sociale per la legalità. Il caso di Confindustria Sicilia insegna.Stefano Rodotà – Un programma per i diritti fondamentaliNascere, vivere, morire. Ma anche amare, muoversi, usare internet… Proprio quando l’‘età dei diritti’ appare al tramonto è urgente rilanciare la proposta politica per codificare, ampliare e fissare lo spazio dei diritti fondamentali della persona, che si mostrano sempre più nel loro indissolubile intreccio. Non è una questione etica. È una questione costituzionale.Patrizio Gonnella – Un programma per il carcereIl sistema carcerario è al collasso tra processi infiniti, sovraffollamento e ingiuste detenzioni. Solo con una urgente riforma del codice penale si potrà finalmente consentire ai penitenziari di svolgere il loro compito di reinserimento socio-lavorativo del detenuto. E si porrà fine a una intollerabile illegalità.Filippo Miraglia – Un programma per l’immigrazioneDall’abolizione del reato di clandestinità a una nuova legge sul diritto d’asilo, dalla sospensione della chiamata nominativa per entrare in Italia al permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, fino all’introduzione del principio dello ius soli per l’acquisizione della cittadinanza. Ricette per affrontare la ‘questione stranieri’ con un approccio pragmatico e non ideologico.Guido Viale – Un programma per l’ambienteLa tutela dell’ambiente non è un ‘settore’, ma un principio che dovrebbe ispirare l’intera attività di governo. Dall’energia alla mobilità, dai rifiuti all’edilizia, dieci proposte concrete (anche se paiono utopistiche) per migliorare la qualità della vita di tutti noi. Quello dell’ambiente, non a caso, nella legge istitutiva era un ‘superministero’, per vagliare la eco-compatibilità di tutte le iniziative di governo.Carlo Petrini – Un programma per l’agricolturaPromuovere le produzioni di piccola e media scala, sostenere quelle locali ed ecosostenibili, favorire i giovani agricoltori. Le nostre campagne si stanno spopolando, con grave danno sia per il territorio che per le produzioni alimentari. L’agricoltura deve e può tornare ad essere davvero il settore ‘primario’ dell’economia.Marina Boscaino – Un programma per la scuolaPiù filosofia, più lingue straniere (antiche e moderne), più scienze. Più tempo pieno, meno segmentazione, insegnanti più qualificati (e meglio retribuiti). La ‘rivoluzione della serietà’ per la scuola – pubblica, laica, pluralista – deve essere al centro di un programma di governo di sinistra. Perché è nella scuola che si forma la comunità e si costruisce il futuro del paese.Angelo d’Orsi – Un programma per l’università e la ricercaCome per la scuola, anche per l’università italiana ci vuole una ‘rivoluzione della serietà’ che chiuda per sempre la triste parentesi inaugurata dalla riforma Berlinguer e arrivata fino all’era Gelmini. Abolizione del 3+2, introduzione di una cooptazione dichiarata e regolata, elezione del rettore e di tutte le cariche gestionali e direttive degli atenei, investimenti massicci nel diritto allo studio, estremo rigore nelle valutazioni, drastica riduzione dei corsi di studio: sono solo alcuni dei punti per la riforma di un settore sempre più strategico per la democrazia e l’economia di domani.Pier Giovanni Guzzo – Un programma per i beni culturaliL’attuale ‘catena di comando’ dei beni culturali è un’infernale macchina burocratica. Gli uffici territoriali sono i soli che possono prendersi cura direttamente di monumenti, aree archeologiche, musei, biblioteche ed archivi. Un primo passo – assieme alla separazione tra beni culturali e spettacoli – per ridare dignità a un patrimonio culturale che cade letteralmente a pezzi.Salvatore Cannavò – Un programma per abrogare la CastaNon sarà la lotta contro gli sprechi della Casta a risolvere il problema del debito pubblico. Ma costituisce un tema improcrastinabile per la salute della nostra democrazia. Ecco tutte le misure per abolire i privilegi della Casta e ristabilire un rapporto di fiducia tra rappresentati e rappresentanti.ICEBERG 2 – si puòGian Carlo Caselli – Una giustizia più efficiente è possibile (il caso Torino)Da anni si ciancia di ‘riforme’ della giustizia, intendendo invece la ‘normalizzazione’ dei magistrati. Eppure per rendere più efficiente la macchina del servizio-giustizia basterebbero pochi ma nevralgici interventi: innanzitutto fornire le risorse umane e materiali necessarie, in secondo luogo mettere mano all’organizzazione, estremamente farraginosa, degli uffici giudiziari. E visto che la politica non si muove, alcune procure lo stanno già facendo motu proprio. Ecco l’esempio di Torino.Pierfranco Pellizzetti – Genova Cep: un esempio di riformismo realeUn’altra periferia è possibile: l’esperienza esempleare di riqualificazione urbana e sociale di un quartiere di Genova. Tutto inizia dalla ‘missione’ di un farmacista brianzolo che fa dello scambio interculturale e dell’inclusione solidi progetti per dare identità a una comunità emarginata.SCHERZOAlessandro Robecchi – Titoli di codaNell’Italia finalmente liberata dal regime berlusconiano vagano, cercando di mimetizzarsi con la popolazione, le persone compromesse con il passato regime. Sacconi, Scilipoti, Tremonti, Minetti, Cicchitto…: c’è chi – grazie all’amnistia D’Alema – ha cambiato cognome, e persino i connotati. Vi sveliamo che fine hanno fatto i berluschini. www.micromega.net