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La Germania nella crisi dell’Europa

L’austerità voluta dai tedeschi ha portato non solo al perdurare di una crisi economica senza precedenti ma anche all’affermarsi sempre più importante di sentimenti nazionalisti e xenofobi

L’anno da poco finito lascia, per unanime considerazione, diverse pesanti eredità a quello nuovo.

Tra di esse, vogliamo ricordare i problemi economici, sociali, politici, del nostro continente, che, tra l’altro, sembrano per alcuni aspetti aggravarsi con il tempo. Va in particolare sottolineato che chi, nel corso degli ultimi anni, ha almeno un po’ sperato che la Germania, i suoi politici, la sua opinione pubblica, alla fine arrivassero non solo a capire sino in fondo il quadro della situazione, ma anche a cercare di contribuire ad alleviare i rilevanti punti di crisi che la loro rigida politica di austerità ha portato all’Europa, ormai dovrebbe essersi ampiamente ricreduto; questo, a meno di rifiutarsi ancora, cosa che di frequente capita e a molte persone, di guardare in faccia la realtà e di arrendersi all’evidenza dei fatti, che, come è noto, sono testardi.

In effetti, l’analisi degli avvenimenti degli ultimi mesi sembra suggerire chiaramente che la costruzione europea si sta a poco a poco ormai letteralmente disfacendo. Non si tratta soltanto del fatto che l’economia di molti paesi non riesce più a riprendere veramente slancio, ma anche dello sviluppo di forti sintomi di rigetto della costruzione europea da parte di strati crescenti della popolazione del continente, dell’affermarsi sempre più importante di sentimenti nazionalisti e xenofobi, della mancanza di qualsiasi seria reazione al riguardo nell’UE e nell’eurozona. Tutte cose, peraltro, ampiamente note.

Certo, non sono soltanto i tedeschi ad avere delle colpe evidenti in quello che sta succedendo; così accuse molto rilevanti si possono giustificatamente addossare alla Francia e, per altro verso, i guai dell’Italia sono per una parte consistente colpa nostra.

Per quanto riguarda il paese transalpino, poi, si può aggiungere en passant che il candidato che più probabilmente dovrebbe conquistare la presidenza della repubblica alle prossime elezioni, François Fillon, promette, tanto per cambiare, di applicare un programma di austerità interna piuttosto duro. Egli minaccia, tra l’altro, di mandare a casa 500.000 funzionari pubblici e di intervenire pesantemente sulla sanità, oltre, ovviamente, a prendersela in ogni modo con gli immigrati.

Ma comunque i tedeschi, dall’alto della loro forza economica e politica e per il fatto che sono loro a guidare sostanzialmente e per una parte molto rilevante il gioco a Bruxelles, rappresentano la forza con le responsabilità maggiori della presente situazione del continente e in ogni caso gli ideologi dell’austerità a tutti i costi.

I tedeschi all’offensiva

Che la Merkel, Schauble e compagnia non abbiano alcuna voglia di cambiare idea, almeno sul terreno economico e finanziario, è dimostrato negli ultimi tempi da una serie di fatti sempre più numerosi che si vanno allineando implacabilmente uno dopo l’altro.

Va considerato che l’avvicinarsi delle elezioni, visto anche l’irrigidimento almeno di una parte consistente dell’opinione pubblica, non permetterebbe loro probabilmente, in ogni caso, di mostrare una qualche nuova visione delle cose, ammesso che ne avessero voglia, ciò di cui si può comunque ampiamente dubitare, di fronte ad esempio alle ormai quasi quotidiane dichiarazioni oltranziste di Schauble e di chi lo circonda.

Cerchiamo a questo punto di allineare alcune delle vicende che documentano lo stato delle cose nel paese teutonico.

Valutando che la sola politica realista per l’Europa sia oggi quella dell’applicazione stretta del trattato di Maastricht, il governo tedesco e i dirigenti della Bundesbank non cessano di scagliare i loro strali contro chiunque tenti anche alla lontana di deviare dall’obiettivo indicato.

Così è toccato soprattutto al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, di prendersela a più riprese con Mario Draghi, accusato, con la sua politica di quantitative easing e di bassi tassi di interesse, di aver permesso ai cattivi allievi del Sud Europa di non portare avanti le riforme necessarie (Leparmentier, 2016).

Sotto la mannaia tedesca sono anche finiti e a più riprese anche il presidente della Commissione, Claude Junker e il commissario Pierre Moscovici, rei, secondo loro, di portare avanti una gestione “politica” e non tecnica dell’euro, rifiutato le giuste sanzioni contro Madrid e Lisbona per le loro derive budgetarie, mostrandosi anche troppo tolleranti con l’Italia e di aver persino chiesto – cosa inaudita – un piano di rilancio budgetario europeo (Leparmentier, 2016).

Non sono mancati poi gli attacchi diretti ai paesi del Sud.

Così, poche settimane fa, la Germania è quasi riuscita a bloccare gli ulteriori flussi di denaro promessi alla Grecia solo perché il governo ellenico aveva distribuito modeste somme ai pensionati più poveri. In questo caso è stata, tra l’altro e per fortuna, l’opposizione decisa della Francia, nella persona in particolare di Pierre Moscovici, che ha forse fermato la mano del boia.

Infine, per quanto riguarda il nostro paese, la cartina di tornasole dell’atteggiamento tedesco è stata la decisione ormai obbligata del nostro governo di intervenire direttamente per salvare il sistema bancario, in particolare con l’operazione sul Monte dei Paschi. In Germania, approfittando anche naturalmente del modo maldestro con cui è stata messa a punto l’operazione, c’è stata quasi una unanime sollevazione contro tale decisione, da parte di CDU e socialdemocratici, della solita Bundesbank, dal consiglio dei cinque saggi, degli istituti di ricerca, di molti giornali.

Da qualche tempo aleggia poi su Bruxelles una proposta di Schauble che vorrebbe legare le risorse che oggi l’Europa spende per la politica di coesione e per quella agricola a finanziare le cosiddette “riforme strutturali” dei paesi membri. Bisognerebbe in ogni caso, per il ministro, collegare le risorse di bilancio dell’Unione alle raccomandazioni di politica economica proposte ogni anno da Bruxelles. È facile dedurre che la principale destinataria della proposta è proprio l’Italia (Chiellino, 2016).

Sullo sfondo stanno le riflessioni crescenti di una parte almeno dei circoli dirigenti del paese sempre più orientati a vedere l’Italia come un peso per l’Europa e a preferirla fuori dall’euro (Business insider, 2016).

Conclusioni

La Germania, con il passare del tempo, continua a non mostrare grandi segni di consapevolezza della potenzialità della crisi che l’Europa attraversa ed anzi sembra irrigidirsi nelle sue idee. Del resto le attuali politiche europee e il livello di cambio dell’euro vanno molto bene al paese teutonico, anche se certamente non a molti altri. Né le prossime elezioni francesi possono apparentemente portare a delle novità positive.

Una flebile speranza di cambiamento viene ora comunque da Sigmar Gabriel, il candidato socialdemocratico alle prossime elezioni parlamentari del nostro ingombrante vicino. Di recente egli sembra aver cambiato tono rispetto agli orientamenti precedenti del partito e predica ormai la necessità di una revisione della politica di austerità, che riconosce essere dannosa per l’Europa. Ma il possibile peso di tali dichiarazioni sul futuro delle politiche tedesche appare quanto mai aleatorio.

Testi citati nell’articolo

-Chiellino G., Il “ricatto” tedesco sui fondi, Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2016

-Lepartmentier A., Maastricht ou Thatcher?, Le Monde, 1 dicembre 2016

-Business Insider Italia, La Germania spinge l’Italia fuori dall’euro, Draghi fa muro, www.repubblica.it, 26 dicembre 2016