I meccanismi della crisi hanno al centro il potere della finanza e le bolle speculative, e si sono intrecciati a un’economia sempre più disuguale, negli Usa come in Europa. Ma non sono le disuguaglianze da sole a portare alla crisi
La tesi secondo cui la disuguaglianza abbia giocato un ruolo nella crisi finanziaria che affligge le nostre economie dal 2007 ottenne una certa risonanza mediatica quando la propose R. Rajan [1]. L’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale suggeriva che la pressione esercitata sulla coda sinistra della distribuzione del reddito da una maggiore disuguaglianza avesse spinto i politici a favorire l’accesso al credito, favorendo il formarsi della bolla immobiliare. La tesi è stata largamente dibattuta, anche in ambito accademico, e non appare del tutto convincente, visto il notoriamente scarso peso che hanno i poveri nell’agenda iper-lobbizzata di Washington. Tuttavia è indice di un rinovato interesse, anche in ambito ortodosso, sul ruolo negativo della disuguaglianza, dopo decenni in cui a essa si celebravano peana in nome della crescita (relazione tutta da dimostrare nonostante una notevole mole di ricerche).
Rajan non è l’unico che sottolinea una possibile relazione causale tra disuguaglianza e crisi: il tema ritorna più o meno esplicitamente in alcuni recenti testi [2] e naturalmente è alla base di tutte le spiegazioni keynesiane che vedono nel peggioramento distributivo una pressione al ribasso sulla propensione al consumo aggregata, che a sua volta incentiva il ricorso al credito [3]. Un articolo di Glaeser sul New York Times critica le varie tesi sul legame causale dal punto di vista empirico [4].
Sebbene l’attenzione sui problemi e sui rischi della disuguaglianza sia benvenuta, il dibattito soffre di alcuni vizi, sia di carattere metodologico che analitico.
Innanzitutto, c’è un problema metodologico: la crisi è di per sé un evento raro (anche se non così raro come i modelli di gestione del rischio ipotizzavano), che la maggior parte delle volte non accade. In questo senso esercizi empirici sulle crisi sono viziati per definizione [5]: quello che conta sono le determinanti dei fattori di squilibrio da cui la crisi può generare, ma quest’ultima hic et nunc è di per sé effetto di uno shock di qualche tipo. La disuguaglianza in effetti è relazionata con l’indebitamento delle famiglie [6] e con la “cattura” del decisore politico [7], entrambi fattori di instabilità economica.
Secondariamente, la tesi solleva una serie di problemi analitici. Disuguaglianza è il nome con cui riassumiamo qualcosa che è il risultato di processi di mercato, meccanismi organizzativi e istituzionali; capirne le determinanti fondamentali in questa congiuntura storica aiuta a dare una risposta più efficienteal problema.
Soprattutto, rivela un sostanziale problema di selezione: a partire da fine anni Settanta, la sequenza di crisi è andata crescendo, a partire dai focolai sudamericani, passando per il Sudest asiatico, per terminare con il crack statunitense e l’attuale crisi di Eurolandia [8].
Un’analisi della sequenza delle crisi rivela che la tendenza è sorprendentemente omogenea: in tutti i casi i problemi sono generati da un bolla, capitali che continuano ad affluire espandendo il credito fino a che la fragilità finanziaria diventa insostenibile e al primo shock la situazione esplode. I meccanismi sono essenzialmente due: a) a livello micro, la presenza di aspettative correlate (noisy traders) porta gli investitori ad approfittare delle aspettative a breve termine per realizzare guadagni con prezzi lontani dai fondamentali [9], b) a livello macro, il meccanismo del credito permette di “monetizzare” i profitti che dovrebbero andare a riserve di future potenziali perdite, in un meccanismo piramidale simile a uno schema di Ponzi.
La prolungata cecità di fronte agli sviluppi dei mercati finanziari non regolamentati ha permesso anche al famoso uno per cento di avere accesso a quote sempre più grandi del reddito prodotto, alterando in molti casi il gioco politico per la capacità di influenzare il decisore. La disuguaglianza è naturalmente da combattere, ma la causa è sempre quella: quando ci decideremeo a ritornare alla repressione finanziaria, forse cominceremo anche a risolvere i problemi [10-.
note
[1] R. Rajan (2010) “Fault Lines”, Princeton University Press
[2] J. Stiglitz (2012) “The price of inequality” W.W. Norton & Co.; P. Krugman (2012) “End this depression now” W.W. Norton & Co.
[3] J.P. Fitoussi and F. Saraceno (2010) “INEQUALITY AND MACROECONOMIC PERFORMANCE” OFCE/POLHIA 2010-13.
[4] E. J. Glaeser “Does Economic Inequality Cause Crises?” (disponibile a http://economix.blogs.nytimes.com/2010/12/14/does-economic-inequality-cause-crises/).
[5] Vedasi per esempio A.B. Atkinson and S. Morelli “Inequality and Banking Crises: A First Look” disponibile a http://isites.harvard.edu/fs/docs/icb.topic457678.files/ATKINSON%20paper.pdf
[6] S. Lansley (2012) “The Cost of Inequality” Gibson Square
[7] R. Reich (2008) “Supercapitalism” Knopf Doubleday Publishing Group
[8] Frenkel, R., Rapetti, M. (2009) A developing country view of the current global crisis: what should not be forgotten and what should be done. Cambridge Journal of Economics,
[9] J.B. DeLong, A. Shleifer, L.H. Summers, R.J. Waldman (1990) “Noise Trader Risk in Financial Markets” Journal of Political Economy
[10] C. Diaz-Alejandro (1985) Good-bye Financial Repression, Hello Financial Crash. Journal of Development Economics