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La dimensione economica e ambientale dell’AI

Esistono stime contraddittorie sul potenziale economico dell’Intelligenza Artificiale, che abbisogna di grandissimi investimenti. Secondo i Nobel Acemoglu e Johnson anche i riflessi sul Pil mondiale saranno scarsi. Con impatto devastante sull’ambiente.

Premessa

Le persone hanno certamente ragione nell’essere in generale colpite e interessate dai grandi progressi in atto nelle tecnologie digitali e dalle importanti promesse che comportano. Le nuove macchine e i nuovi programmi possono in prospettiva espandere in maniera massiccia le attività che possiamo fare e possono trasformare per il meglio le nostre vite, come ci ricordano due economisti statunitensi vincitori del premio Nobel per il 2024 nella loro categoria (Acemoglu, Johnson, 2023). 

Ma forse tali entusiasmi andrebbero un poco frenati, dovrebbero lasciare lo spazio a valutazioni più realistiche di quello che ci attende, certo con tutti i possibili importanti avanzamenti, ma anche con tutti i problemi che l’innovazione tecnologica comporterà. Ed è questo il secondo aspetto delle considerazioni generali fatte in proposito dai due economisti sopra citati. Il futuro della tecnologia appare ben vedere strettamente legato alle decisioni prese in merito dagli uomini e dalle loro istituzioni. In tale quadro, le note che seguono tentano di dare una visione per quanto possibile realistica delle prospettive che si possono intravedere almeno per quanto riguarda la dimensione economico-finanziaria e ambientale di queste conquiste dell’ingegno umano.

I profitti del settore

I sistemi di IA hanno bisogno di grandi impegni finanziari perché comportano fortissimi investimenti in ricerca, impegnando stuoli di persone di profilo elevato, risorsa peraltro abbastanza scarsa; presuppongono grandi capacità di calcolo che solo le grandissime imprese si possono permettere, hanno bisogno di grandi quantità di energia e di acqua.

I data center in particolare – questi centri dati dove si trovano i calcolatori che permettono di far funzionare l’IA e che qualcuno ha chiamato le ”fabbriche del futuro” – sono una componente chiave dell’architettura e del funzionamento dei modelli di Intelligenza Artificiale. La quantità di investimenti in proposito appare enorme. Amazon, Microsoft, Google e Meta da soli vi stanno investendo solo nel 2024 circa 200 miliardi di dollari, che dovrebbero diventare 250 miliardi nel 2027. Nell’arco di pochi anni si stima che soltanto negli Stati Uniti si dovranno impegnare in tale attività almeno 1.000 miliardi di dollari (Goldman Sachs; Nvidia), mentre c’è anche chi va oltre e avanza la cifra di 1.400 miliardi. 

Mentre servono ogni anno tali livelli di risorse per finanziare l’industria dell’IA, la crescita delle entrate relative sono molto inferiori. Così ad esempio secondo le stime Microsoft genererà vendite nel settore per soli 10 miliardi di dollari quest’anno. 

Il Financial Times del 31 luglio 2024 (Lex, 2024) sottolineava, con una certa ironia, come sino ad oggi chi ci abbia guadagnato di più con l’IA siano le grandi società di consulenza, da Boston Consulting Group ad Accenture. Le loro fortune sono legate al fatto che le imprese sono molto disorientate e non sanno bene al momento cosa fare con questi nuovi strumenti ed ecco allora arrivare gli “esperti”. Un altro studio, questa volta della Rand Corporation (Pollard, 2024), indica che in effetti al momento attuale più dell’80% dei progetti nel campo dell’IA falliscono e questo in gran parte per ragioni organizzative interne alle imprese.

Anche Nvidia, che produce i chip che alimentano l’IA, appare un’impresa vincente, perché i suoi prodotti hanno già un mercato vastissimo fatto degli altri grandi operatori del settore che sono obbligati ad acquistare i suoi prodotti, necessari per alimentare in particolare i loro grandi data center. Accanto a Nvidia, anche il principale produttore di chip del mondo, la taiwanese TSMC, annuncia risultati economici in forte crescita.

Ma al di là dei casi citati molti centri di analisi, dalla Barclays a Sequoia Capital, a Goldman Sachs pongono qualche dubbio sui ritorni in termini economici di tali colossali investimenti (Wallace-Wells, 2024).

Così un analista della Barclays stima che il totale delle risorse finanziarie impegnate nel settore supererà di tre volte i ritorni attesi, mentre Sequoia Capital ha calcolato che gli esborsi in IA mancheranno dei profitti relativi per un margine di almeno alcune centinaia di miliardi di dollari all’anno e parla di “riduzione in cenere degli investimenti”. Anche il professor Cory Doctorow (Piquard, 2024, a) pensa che il potenziale economico dell’IA sia molto basso.

Intanto uno dei più importanti hedge fund del mondo, Elliott Management, in una lettera ai suoi clienti, sottolinea come le grandi corporation del settore siano in una bolla e che comunque l’IA sia estremamente gonfiata (overhyped) dai suoi mentori. Il fondo afferma ancora che molte delle supposte applicazioni della tecnologia non funzioneranno mai: esse costano troppo, richiedono enormi quantità di energia e non sono del tutto affidabili (Fletcher, Mourselas, 2024). Sulla stessa linea, Linus Torvalds, il creatore del sistema operativo Linus, stima che passeranno diversi anni perché l’IA possa avere un reale impatto sulla nostra quotidianità. Per il momento egli afferma, forse esagerando un poco, che l’IA di oggi è per il 90% marketing e solo per il 10% realtà (De Agostini, 2024).

L’influenza sul Pil e sulla produttività

Una questione ancora più controversa riguarda l’influenza che l’introduzione dell’IA nell’economia può avere in futuro sulla crescita del Pil mondiale. 

In questo caso si scontrano delle visioni molto diverse tra di loro. Così dei centri come la Goldman Sachs e il McKinsey Global Institute fanno delle previsioni molto ottimistiche al riguardo. Ad esempio, la prima società sopra citata valuta che le nuove tecnologie aumenteranno il Pil mondiale nei prossimi 10 anni globalmente del 7%, mentre le stime della seconda organizzazione citata sono ancora più ottimistiche.

Daron Acemoglu (Acemoglu, 2024) appare invece molto più prudente al riguardo. Le sue stime prevedono un aumento, sempre in dieci anni, dell’1-1,5% in totale, obiettivo che egli comunque pensa sia già molto ambizioso e raggiungibile con difficoltà.

Appare complicato valutare con oggettività la bontà delle due relative valutazioni; le variabili in gioco sono molte ed appaiono soggette ad ampie incertezze. Chi scrive, comunque, si dichiara più convinto dalle argomentazioni dell’economista turco-statunitense piuttosto che da quelle dei centri studi citati.

Ci vorrà così presumibilmente molto tempo, forse anche dieci anni o più, perché l’IA abbia un effetto importante sulla crescita dell’economia anche per altri autori (Santelli, 2024). 

E’ poi noto che le trasformazioni tecnologiche degli ultimi decenni non sembrano aver portato nei paesi occidentali incrementi significativi nel mondo delle imprese per quanto riguarda i livelli di produttività. Già nel 1987 un economista statunitense, Robert Solow, notava che l’epoca del computer, che allora batteva già al suo pieno, si poteva vedere dovunque tranne che nelle statistiche sulla produttività.  La situazione appare a tale proposito migliore negli Stati Uniti rispetto all’Europa, mentre nel nostro continente comunque l’Italia è il fanalino di coda di tale processo. 

Perché a fronte di tali importanti trasformazioni tecnologiche degli ultimi decenni la produttività non abbia seguito se non in minima parte appare un mistero su cui gli economisti, pur attraverso un grande numero di studi e ricerche, hanno a lungo dibattuto senza arrivare ancora a conclusioni adeguate. Ora si aspetta di vedere se anche con l’IA non si vedranno dei segni positivi di miglioramento su tale fronte.

I problemi ambientali

I grandi data center presentano in ogni caso degli altri problemi, oltre a quello dei costi. Essi, come già accennato, richiedono grandi quantità di energia per funzionare, mentre generano rilevanti volumi di CO2 e questo in piena emergenza climatica; secondo la IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il loro consumo totale di energia dovrebbe raggiungere già nel 2026 i 1.000 TWh, ciò che corrisponde a quelli totali attuali del Giappone, mentre il centro di ricerca SemiAnalysis stima che nel 2030 i data center per l’IA consumeranno il 4-5% dell’energia totale a livello mondiale. Ancora, si valuta che già nel 2023 quelli irlandesi abbiano consumato più elettricità di tutti gli utenti domestici del paese messi insieme (Ambrose, 2024); e siamo solo agli inizi. Google e Microsoft avevano ambedue promesso nel 2019 di raggiungere il livello di emissioni zero nel 2030, ma hanno invece nel frattempo aumentato le emissioni del 50% (Wallace-Wells, 2024). Degli altri ricercatori fanno delle previsioni ancora più pessimistiche: secondo il professor Massimiliano Diventra, dell’Università di San Diego, il fabbisogno di energia dei data center sarà pari, entro il 2040, a tutta l’energia prodotta nel mondo (Carfagna, 2024).

L’IA così potrebbe far saltare ancora di più i già precari obiettivi climatici (Milmo, Hern, Ambrose, 2024). Ad onore del vero, sono in atto alcuni tentativi per cercare di ridurre il consumo di risorse energetiche. Inoltre, tra l’altro, la stessa Irlanda, insieme a Germania, Singapore, Cina, nonché alla città di Amsterdam, hanno imposto restrizioni alla creazione di nuovi data center. Incidentalmente, si può ricordare che solo in Italia ne verranno costruiti 83 entro il 2025 (Carfagna, 2024), cosa che non dovrebbe, come sta invece facendo, dare adito a manifestazioni di giubilo.

Bisogna registrare anche un rilevante impatto idrico, collegato in particolare alla necessità di raffreddare le apparecchiature, nonché una forte spinta al sovraccarico delle reti elettriche locali. Per quanto riguarda il primo tema, si può ricordare come secondo una stima lo sviluppo degli stessi data center può portare entro il 2027 ad un incremento nel consumo di acqua che si collocherebbe intorno alla metà di quanto se ne consuma oggi in totale in Gran Bretagna.

Da segnalare infine che i grandi gruppi del settore, mentre almeno nel caso di alcuni di essi stanno avviando la costruzione di centrali alimentate con energia nucleare, stanno anche comunque cercando di nascondere in qualche modo il loro rilevante contributo ai processi di inquinamento ambientale (Bryan, Hodgson, Tanoschinski, 2024). Una ricerca sempre del quotidiano The Guardian (O’Brien, 2024)mostra come già nel periodo 2020-2022 le emissioni reali dei data center di Microsoft, Google, Meta e Apple siano state di ben 7,6 volte superiori a quanto ufficialmente dichiarato.

La Borsa

I titoli azionari statunitensi rappresentano oggi il 61% del totale della capitalizzazione mondiale in un paese il cui Pil si colloca invece intorno al 25% del totale mondiale utilizzando il criterio dei prezzi di mercato, a molto meno invece, intorno al 15%, utilizzando quello della parità dei poteri di acquisto. Nell’ultimo periodo i valori di Borsa dei titoli tecnologici statunitensi sono cresciuti in maniera esponenziale, raggiungendo in alcuni casi qualche migliaia di miliardi di dollari; prima il titolo Nvidia, poi quelli Microsoft e Intel, viaggiavano ormai nell’ottobre del 2024 intorno a 3.500 miliardi di dollari ciascuno o poco meno; da sottolineare che il Pil italiano del 2023 è stato pari a poco più di 2.130 miliardi di euro.  

Si riflette in tali cifre la dominazione tecnologica del paese, ma anche e forse soprattutto la dominazione dei loro mercati finanziari che tendono a sopravalutare i titoli Usa rispetto a quelli di altri paesi. 

Prendiamo il caso rispettivo della statunitense Tesla e della cinese BYD. Le due imprese operano ambedue nel settore delle auto elettriche – settore che è da loro dominato -, vendendo un numero sostanzialmente vicino di vetture ogni anno; eppure la quotazione dell’impresa Usa era, alla fine dell’ottobre 2024, di sette volte tanto quella dell’azienda cinese, che pure presenta una maggiore dinamica di crescita. Ma non si tratta certo del solo caso.

Così, sopravalutando le azioni statunitensi e sottovalutando quelle degli altri paesi si verifica una sorta di scambio ineguale nel settore e si contribuisce a catturare le risorse finanziarie di questi ultimi.

Sempre a proposito di sistema finanziario un noto esperto del settore, James Rickards, sottolinea in un suo volume recentissimo (Rickards, 2024) i grandi pericoli che l’IA pone al sistema finanziario globale, potendo arrivare a causare il caos nello stesso.

La concentrazione a livello di imprese e di paesi

-A livello di paesi

C’è certamente un campo in cui lo sviluppo dei sistemi di IA sta già comportando e comporterà ancora di più in futuro degli effetti importanti, quello della spinta all’incremento dei processi di concentrazione nell’economia e questo sia a livello di imprese che a quello di paesi. 

Solo gli Stati Uniti e la Cina hanno in effetti la capacità di stanziare grandi somme e di mobilitare un gran numero di ricercatori per sviluppare il settore – e comunque sono i due paesi di gran lunga all’avanguardia nel campo dell’IA -, mentre quelli europei arrancano finanziariamente, anche se disporrebbero di un importante know-how scientifico relativo. Certo, l’UE da qualche anno sta cercando di fare qualcosa, ma gli sforzi sono minimi rispetto alla dimensione del compito. Troppo poco, troppo tardi. Secondo le cifre disponibili (Simonetta, 2024) in dieci anni l’UE ha investito nel settore circa 20 miliardi di dollari, contro i 330 degli Stati Uniti, paese che ora, come abbiamo già visto, sta accelerando ancora la sua corsa. 

Per altro verso, la Commissione europea ha offerto a suo tempo generosamente il mercato europeo ai giganti americani del numerico; essi controllano oggi più del 90% dei dati delle imprese del continente. E questo nonostante l’esistenza di una regolamentazione generale sulla protezione dei dati varata dell’UE nel 2016, regolamentazione che la Commissione ha fatto finta di ignorare (Valat, 2024).

I ritardi dell’UE vanno poi inseriti in un contesto di più generale difficoltà di prospettive per il nostro continente, in particolare, ma non solo, nel settore industriale, come ricordato con enfasi anche nel recente rapporto Draghi. 

La competizione tra i due protagonisti indiscussi, Stati Uniti e Cina, appare serrata. I due paesi perseguono comunque delle strategie differenti nel settore (Scott, 2024). 

La Cina ha la leadership nel numero dei brevetti depositati (tra il 2014 e il 2023 il paese ha presentato 38.000 richieste di brevetti nel campo specifico dell’IA, con un forte incremento di anno in anno, contro le 6.276 statunitensi), nel numero degli articoli scientifici pubblicati sul tema, nonché nelle applicazioni pratiche dei nuovi sistemi; il paese appare poi ancora avanti nelle economia di scala, fornendo applicazioni altamente economiche, mentre gli Stati Uniti hanno una chiara leadership nelle innovazioni rivoluzionarie (groundbreaking), in particolare nel campo dei programmi di IA, nonché nella concezione dei chip specializzati per il settore. 

Il governo americano cerca di bloccare in ogni modo la vendita dei chip avanzati per l’IA alla Cina, ma da una parte il paese asiatico è inondato di importazioni clandestine degli stessi (tra l’altro, paradossalmente si possono affittare in loco i servizi dei chip Nvidia a prezzi molto più ridotti che negli stessi Stati Uniti), dall’altra una società come la Huawei, pur soggetta a blocchi specifici da parte del governo americano, sta immettendo sul mercato chip analoghi a quelli di Nvidia e comunque i cinesi, pur con qualche difficoltà a ottenere in Occidente le tecnologie più avanzate, riescono ugualmente a tenere il passo attraverso soluzioni hardware e software innovative. 

-A livello di imprese

Anche a livello di imprese, gli sforzi richiesti per stare adeguatamente nel settore sono concentrati al massimo in una dozzina di grandi gruppi statunitensi e cinesi. 

La concentrazione a livello di imprese ha diversi inconvenienti; tra questi ricordiamo soltanto il fatto che essa tende a uccidere l’innovazione (Lemley, Wansley, 2024). Le partnership tra le Big Tech e le start-up (si sono verificati molti esempi di grandi gruppi consolidati che assorbono le start-up innovative) danno certo a queste ultime enormi somme di denaro e i chip di cui esse hanno bisogno; peraltro esse forniscono ai grandi gruppi l’intelligenza sulle minacce competitive e l’abilità di influenzare la direzione di sviluppo delle stesse start-up. Bisogna ricordare però che nel lungo termine è la concorrenza, non la concentrazione, che fornisce la spinta maggiore al progresso tecnologico. L’evidenza empirica indica che le innovazioni derivano più probabilmente dalle nuove iniziative che dalle imprese consolidate. 

Un inconveniente parallelo è rappresentato dal fatto che i grandi gruppi sono in grado di offrire compensi molto allettanti ai migliori tecnici delle start-up, e lo stanno facendo, privando quindi tali società delle basi per andare avanti (Piquard, 2024, b). Una ulteriore tecnica con cui le grandi imprese mettono in difficoltà le piccole è quella di esaurirle finanziariamente portandole a giudizio con qualche pretesto (es. infrangimento brevetti, concorrenza sleale, ecc,).

Più in generale, non si sono mai viste società così potenti come quelle tecnologiche di oggi. Ora, con la vittoria di Trump, le attività dell’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, attivissimo nelle tecnologie avanzate, sta per accedere al cuore del potere.

L’Antitrust statunitense ha percepito la minaccia e sta cercando di intervenire (Morris, Espinoza, Palma, 2024). Ma siamo piuttosto scettici sul fatto che una qualche seria azione sarà portata avanti sino in fondo.

Testi citati nell’articolo

Acemoglu D., Don’t believe the AI hype, Project Syndicate, 21 maggio 2024

-Acemoglu D., Johnson S., Power and progress, Basic Books UK, Londra, 2023

-Ambrose J., Ireland data centres overtake electricity use of all urban homes combined, www.theguerdian.com, 23 luglio 2024

-Bryan K., Hogson C., Tauschinsky J., How big rech is quietly trying to reshape how pollution is reported, www.ft.com, 14 agosto 2024 

-Carfagna B., Intelligenza artificiale: consumi di energia enormi, non sappiamo chi la produrrà, Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2024

-De Agostini M., L’IA di oggi è per il 90% marketing, per il 10% realtà: il parere di Linus Torvalds, www.hwupgrade.it, 30 ottobre 2024

-Fletcher L., Mourselas C., Elliott says Nvidia is in a «bubble» and AI is « overhyped », www.ft.com, 2 agosto 2024

-Lex, Management consultants have become the main group profiting from AI, Financial Times, 31 luglio 2024

-Lemley M., Wansley M., How big tech is killing innovation, www.nytimes.com, 13 giugno 2024

-Milmo D., Hern A., Ambrose J., Can the climate survive the insatiable energy demands of the AI arms race ?, www.theguardian.com, 4 luglio 2024  

-Morris S., Espinoza J., Palma S., US antitrust enforcer says « urgent » scrutiny needed over Big Tech’s control of AI, www.ft.com, 6 giugno 2024

-O’Brien I., Data center emissions probably 662% higher than big tech claims. Can it keep the ruse ?, www.theguardian.com, 15 settembre 2024

-Piquard A., « L’intelligence artificielle est une bulle », Le Monde, 1-2 settembre 2024, a

-Piquard A., Souvent déficitaires, les start-up de l’IA sont sous pression, Le Monde, 19 settembre 2024, b

-Pollard J., Study suggests ways to overcome high failure rate in AI projects, www.asiafinancial.com, 30 agosto 2024

-Rickards J., Money GPT. AI and the threat to the global economy, Penguin Business, Londra, 2024 

-Santelli F., L’AI da sola non è sufficiente per stimolare la crescita, Repubblica, Affari & Finanza, 17 giugno 2024

-Scott J. Z., Understanding China’s pragmatic AI plan, Financial Times, 31 luglio 2024

-Simonetta B., Il ritardo dell’Europa nell’intelligenza artificiale: numeri e sfide, Il Sole 24 Ore, 23 agosto 2024

-Valat J., L’Europe perpétue sa dépendance technologique, Le Monde, 29-30 settembre 2024

-Wallace-Wells D., How long will AI’s ’slop’ era last?, The New York Times International, 26 luglio 2024