Sono oltre 3 milioni gli ucraini in fuga dalle bombe. In 100 mila potranno scegliere l’Italia. L’Ue ha attivato per loro la protezione temporanea che permette di lavorare. E l’Italia un bonus accoglienza per chi ha casa, ma per gli altri continuano a esserci i Cas.
Vedere con i propri occhi cosa significhi dover fuggire da un giorno all’altro dal proprio Paese, sotto la minaccia delle bombe, fa la differenza. Non ci succedeva da molto tempo. Decine di giornalisti occidentali sono partiti per l’Ucraina, ci mostrano le immagini delle donne e dei bambini ammassati in luoghi di rifugio, filmano i corpi delle vittime rimasti senza sepoltura, le case, gli asili e gli ospedali distrutti dalla guerra. Ininterrottamente video, immagini, interviste, notizie e false notizie ci ricordano cosa è (davvero) la guerra: sofferenza, vite spezzate, distruzione, perdita repentina della vita di prima e, già in molti casi, dei propri cari, famiglie divise, necessità di fuggire per cercare di sopravvivere, di non morire di fame e di freddo, prima ancora che sotto le bombe.
Questa guerra esibita, tanto da sfiorare la pornografia del dolore, dovrebbe aiutarci a comprendere meglio le storie dei circa 84 milioni di sfollati (di cui 48 milioni interni) che nel mondo, secondo Unhcr, hanno dovuto abbandonare le proprie case; dei 26,6 milioni di rifugiati e dei 4,4 milioni di richiedenti asilo costretti a lasciare il proprio Paese (dati metà 2021). Ciò almeno in teoria. Nella pratica, come vedremo, chi fugge dall’Ucraina o dalla Siria, dallo Yemen o dal Sudan non è trattato allo stesso modo. E la discriminazione arriva a colpire anche le persone straniere di Paesi terzi che, come molti cittadini ucraini, cercano di lasciare l’Ucraina.
Al 18 marzo 2022 i cittadini ucraini fuggiti dall’Ucraina sono circa 3,2 milioni, ma il numero cresce di ora in ora, e sono concentrati soprattutto nei Paesi confinanti. Secondo una nota predisposta da ECRE (European Council of Refugees and Exils), al 18 marzo la Polonia ha accolto 1,9 milioni di rifugiati ucraini, la Romania 508.692, la Slovacchia 234.738, l’Ungheria 291.230. La Moldavia, con una popolazione di circa 3 milioni di abitanti, ha accolto sul suo territorio 355.426 persone e, sebbene sia soprattutto un paese di transito, ha il proprio sistema di accoglienza (100 mila le persone ospitate, tra cui 48 mila bambini) in grande affanno. La Commissione Europea ha stanziato 5 milioni di euro per sostenerla in questa crisi e ha firmato un accordo con il governo moldavo che prevede l’invio di circa 150 operatori di Frontex per fornire un supporto nelle zone di frontiera.
Circa 175 mila risultano le persone ucraine accolte in Germania e 50 mila nei Paesi Bassi, mentre, secondo quanto riferito dal ministro dell’Interno francese, sarebbe ancora limitato il numero dei profughi ucraini registrati in Francia (17 mila).
A quattro settimane dall’invasione del paese e nonostante la scelta di applicare ai profughi ucraini la direttiva 55/2001 sulla protezione temporanea, i diversi Paesi europei stentano a trovare un coordinamento per gestire quella che oggettivamente è una crisi umanitaria senza precedenti, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Una emergenza vera, che le politiche migratorie e sull’asilo europee prevalse in questi anni, ottusamente “emergenziali”, sicuritarie, egoistiche e subalterne ai diversi nazionalismi degli Stati membri, non aiutano a gestire. Soprattutto da parte di quei Paesi, che, come l’Italia, si fanno trovare impreparati. Le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte in Italia al 19 marzo sono 55.711. Di queste, 28.537 sono donne, 4.776 uomini e 22.398 minori (dati ministero dell’Interno), ma il governo stima che possano scegliere di rifugiarsi nel nostro Paese sino a 100 mila cittadini ucraini.
Una protezione selettiva
Con l’atto del Consiglio Europeo del 4 marzo 2022 (382/2022) è stata attivata la Direttiva 55/2001 sulla protezione temporanea, mai attivata prima, neppure nelle crisi umanitarie più gravi. Non nel 2015, quando migliaia di cittadini siriani giunsero sulla rotta balcanica: la foto del corpo del piccolo Aylan, ritrovato inerme sulle spiagge di Bodrum, resta scolpita nella memoria. Non nell’agosto 2021, quando la scelta degli Stati Uniti di ritirarsi dall’Afghanistan, ha riaperto una crisi umanitaria oggi scomparsa dalle cronache che ha lasciato nel paese milioni di persone in condizioni umanitarie difficilissime. E nemmeno pochi mesi dopo, quando alcune migliaia di persone sono state violentemente respinte dalle autorità dei Paesi confinanti con l’Ucraina, in primo luogo la Polonia, al confine con la Bielorussia.
La Direttiva 55/2001 prevede un meccanismo di protezione immediata e temporanea nel caso di “arrivi massicci” di sfollati nell’Unione Europea a seguito di situazioni di emergenza causate da guerre, violenze o violazioni dei diritti umani nei Paesi di provenienza. La protezione temporanea prevista in base alla Direttiva consente il rilascio rapido di un titolo di soggiorno valido dodici mesi, prorogabile, su decisione qualificata del Consiglio, di un altro anno.
I titolari di protezione temporanea possono esercitare attività di lavoro subordinato o autonomo; accedere all’istruzione per adulti, alla formazione professionale e a esperienze di lavoro; ottenere un alloggio adeguato; ottenere assistenza sociale, sostegno economico e cure mediche. I minori hanno diritto all’istruzione al pari dei cittadini del paese ospitante.
L’attivazione della Direttiva 55/2001 consente in effetti di offrire una risposta immediata alla domanda di accoglienza degli sfollati ucraini che si stanno dirigendo in Europa.
Con la Decisione di esecuzione del 4 marzo 382, il Consiglio ha identificato le persone cui può applicarsi la protezione temporanea. Ancora una volta, i paesi del gruppo di Visegrad (che sono anche quelli confinanti con l’Ucraina e più direttamente investiti dalla crisi), insieme all’Austria, hanno condizionato i contenuti del provvedimento, riuscendo a limitarne l’applicazione nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che fuggono dal Paese. L’art. 1 della Decisione prevede infatti che abbiano diritto alla protezione temporanea i cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022; gli apolidi e i cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente, in Ucraina da prima del 24 febbraio 2022, e i loro familiari.
I cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina o gli apolidi non titolari di una forma di protezione in Ucraina, possono accedere alla protezione temporanea solo se “possono dimostrare che soggiornavano legalmente in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 sulla base di un permesso di soggiorno permanente valido rilasciato conformemente al diritto ucraino e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese o regione di origine.”
Infine, “gli Stati membri possono estendere la protezione temporanea a tutti gli altri apolidi o cittadini di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che soggiornano legalmente in Ucraina e che non possono ritornare in condizioni sicure e stabili nel proprio paese o regione di origine. Tali persone potrebbero comprendere i cittadini di Paesi terzi che si trovavano in Ucraina per un breve periodo per motivi di studio o di lavoro al momento degli eventi che hanno determinato l’afflusso massiccio di persone sfollate.”
La necessità di dimostrare l’impossibilità di rientrare senza pericolo nel proprio Paese lascia spazio a una notevole discrezionalità. Di fatto, gli studenti e i lavoratori stranieri di breve termine che si trovavano in Ucraina stanno incontrando molte difficoltà, come è stato denunciato subito da diverse organizzazioni della società civile e come documenta bene Luca Rondi in un pezzo pubblicato su Altraeconomia.
L’ossessione sicuritaria per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea, finalizzato a ostacolare in ogni modo l’ingresso di cittadini di Paesi terzi (soprattutto non europei e non “bianchi”) e a limitare l’arrivo di potenziali richiedenti asilo, non è dunque venuta meno nemmeno di fronte alle atrocità prodotte dalla guerra scatenata dall’invasione russa. Come nota bene Gianfranco Schiavone, ancora su Altraeconomia, “una pagina nera della storia europea che doveva e poteva essere evitata”.
E’ cruciale ora il lavoro di monitoraggio e di supporto che stanno dando alcune organizzazioni della società civile proprio ai confini esterni e interni dell’Unione.
Al 20 marzo il governo italiano non ha ancora approvato il DPCM che dovrebbe definire le modalità di applicazione della Direttiva 55/2001 in Italia. In attesa del DPCM, una Circolare decisamente restrittiva del ministero dell’Interno del 10 marzo ha, per ora, riservato la possibilità di richiedere la protezione temporanea in Italia ai cittadini ucraini e ai loro familiari, ai cittadini apolidi e di Paesi terzi diversi dall’Ucraina che beneficiavano di protezione internazionale o di protezione nazionale equivalente prima del 24 febbraio 2022.
L’accoglienza dei cittadini ucraini in Italia
In Italia, prima del 24 febbraio, risiedevano già stabilmente 236 mila cittadini ucraini, nella grande maggioranza (77%) donne, impiegate per lo più nel settore di assistenza domestica e familiare (dati Istat al 31 dicembre 2020).
Il mondo della solidarietà italiana si è attivato immediatamente, subito dopo il 24 febbraio, in molti casi dal basso e in modo spontaneo, soprattutto nei primi giorni della guerra. Decine di iniziative di raccolta di beni di prima necessità e di medicinali sono state attivate sul territorio, insieme a diverse raccolte di fondi, con una proliferazione di interventi non coordinati tra loro.
Il governo italiano ha adottato il 28 febbraio un primo decreto-legge. Il Decreto Legge n. 16/2022 (art. 3) ha aumentato la ricettività della rete di accoglienza per accogliere i cittadini ucraini in fuga dalla guerra stanziando a questo fine 54,162 milioni di euro per il 2022 (rispetto ai 900 già previsti) per la rete dei centri di prima accoglienza gestiti dalle prefetture. Ha previsto inoltre l’ampliamento di 3 mila posti del Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI).
Positiva la scelta di ampliare il sistema di accoglienza, negativa l’opzione (ennesima) per l’utilizzo dei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) che non sono strutture idonee ad offrire un’accoglienza dignitosa alle famiglie composte prevalentemente da donne, bambini e anziani (dato che gli uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il Paese invaso). Per garantire l’accoglienza dei cittadini ucraini è stato inoltre dichiarato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2022.
Lo sbilanciamento a favore di strutture temporanee è uno dei principali ostacoli alla predisposizione di un sistema che sia in grado di offrire in modo strutturale un’accoglienza dignitosa alle persone straniere che necessitano di protezione, come sostengono ormai da tempo le organizzazioni umanitarie. Ancora al 15 marzo 2022, il 65% dei richiedenti asilo o dei titolari di qualche forma di protezione accolti in Italia erano ospitati nei CAS.
Sempre il Decreto-legge n.16/2022 ha istituito un apposito fondo di 500 mila euro, destinato a finanziare misure di sostegno per studenti, ricercatori e docenti ucraini affinché possano svolgere le proprie attività presso università ed enti italiani.
Il Consiglio dei ministri del 18 marzo ha poi approvato il Decreto-legge «Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina» (non ancora pubblicato al momento in cui scriviamo) che stanzia 428 milioni di euro per il 2022 per l’accoglienza umanitaria dei cittadini ucraini, il loro sostentamento e l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale.
Va registrata positivamente la scelta di prevedere anche forme di accoglienza diffusa, anche in famiglia (circa 15 mila posti), che saranno coordinate dalla Protezione civile in collaborazione con i Comuni, il terzo settore e i centri di servizio per il volontariato.
Un contributo monetario per tre mesi è previsto per circa 60 mila persone che non richiedano accoglienza e provvedano autonomamente alla propria sistemazione.
Un contributo forfettario per le spese di assistenza sanitaria sarà invece riconosciuto alle Regioni per circa 100 mila persone in totale.
Questo secondo decreto sembra tenere maggiormente conto della specificità della situazione e delle esigenze delle persone ucraine in arrivo. Molte di loro hanno familiari in Italia e non sono interessate a ricevere accoglienza, mentre è presumibile che molte avranno bisogno di un supporto economico, almeno sinché non riusciranno a trovare un lavoro. Da questo punto di vista sarà importante vedere che tipo di interventi saranno promossi a livello regionale e comunale per favorirne l’inserimento sociale, scolastico e lavorativo.
Apprezzabile, da un lato, anche la scelta di derogare temporaneamente alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie. Il Decreto-legge in corso di approvazione consentirà (sembra) agli operatori sociosanitari e ai medici ucraini, residenti in Ucraina prima del 24 febbraio, di esercitare la professione in Italia presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private sino al 4 marzo 2023. Ciò dovrebbe infatti favorire il rapido inserimento professionale di molti operatori ucraini qualificati, senza appesantire inutilmente il sistema di accoglienza e di assistenza.
Desta però perplessità la discriminazione che verrebbe a crearsi tra i cittadini ucraini qualificati giunti dopo il 24 febbraio da un lato, i loro concittadini residenti in Italia prima di quella data e gli altri cittadini di Paesi terzi qualificati, dall’altro: questi incontrano, infatti, ancora molte limitazioni nell’accesso alle professioni sociosanitarie e sanitarie nelle strutture pubbliche del nostro paese.
Superare il cinismo ottuso della Fortezza Europa
La risposta che l’Europa e l’Italia stanno dando di fronte all’esodo dei profughi ucraini è stata ed è sorprendente e, naturalmente, condivisibile. Si tratta di una scelta storica, in forte discontinuità con il passato, che sembra aver momentaneamente ricomposto la frattura che da sempre divide i Paesi europei più esposti alle migrazioni provenienti dal Sud del Mediterraneo, quelli che ospitano la frontiere esterne orientali dell’Unione Europea, che si sono distinti sino ad oggi per la costruzione di muri e fili spinati e i respingimenti dei migranti e dei richiedenti asilo, e i paesi del Centro e del Nord Europa, dotati di sistemi di welfare e di accoglienza più efficienti e, anche per questo, mete preferenziali di molti migranti e richiedenti asilo.
Questa crisi ci racconta in modo esemplare come la scelta di accogliere o di respingere sia a tutti gli effetti una scelta squisitamente politica. Le tesi di insostenibilità sociale ed economica dell’accoglienza che ci sono state propinate quando si è trattato di accogliere i profughi siriani, quelli afghani e quelli provenienti dalle zone martoriate da guerre e conflitti civili in Africa (che nessuno, tranne poche eccezioni, ci racconta), si sono sciolte come neve al sole, di fronte alla tragica crisi ucraina.
E allora diventa oggi ancora più incomprensibile capire le sofferenze cui sono sottoposti ancora oggi i cittadini siriani, kurdi e afghani tra la Bielorussia e la Polonia. Risultano ancor più inaccettabili i respingimenti illegali dei migranti compiuti nel Mar Egeo sotto gli occhi di Frontex; l’accordo miliardario stipulato dall’Unione Europea con Erdogan per chiudere le porte dell’Europa a chi cerca protezione; i milioni di euro investiti in alcuni Paesi africani con lo stesso fine; la collaborazione del governo italiano con quelle autorità libiche che sparano sui migranti e li torturano nei centri di detenzione, mentre nel Mediterraneo continuano a morire affogati donne e bambini.
La verità è che i migranti e rifugiati sono sempre più spesso usati come merce di scambio nelle ciniche strategie che governano il mondo sempre più interdipendente. Non è escluso che anche il presidente russo abbia pensato, per fortuna sbagliandosi, di mettere in difficoltà l’Europa, sperando di dividerla, anche in merito all’accoglienza dei profughi ucraini. Come è stato osservato, la storia è del resto piena di precedenti simili.
Questi giorni così tristi e difficili ci raccontano invece che accogliere è possibile anche in tempi in cui i nazionalismi egoistici e i populismi xenofobi incontrano un forte consenso nell’opinione pubblica, ma ci dicono anche un’altra cosa.
In un mondo in cui circolano liberamente denaro e merci, è impossibile continuare a pensare di limitare la libertà di circolazione delle persone: una migrazione più libera anche per i migranti in cerca di lavoro o interessati a studiare all’estero, risparmierebbe molte morti e crudeli sofferenze a milioni di persone. Allieverebbe i “costi” di accoglienza e toglierebbe argomenti a coloro che scelgono le politiche del rifiuto, la xenofobia e il razzismo come principale arma di acquisizione del consenso. Chissà se l’Unione Europea vorrà davvero tenerne conto in futuro.