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La crisi del pacifismo e la guerra in Ucraina

Viaggio tra i movimenti pacifisti di Germania, Belgio, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. L’assunzione di posizioni intermedie che facilitino il ritorno al dialogo, la copertura bellicista dei media mainstream che ignorano le iniziative dei pacifisti e le politiche dei loro governi che hanno intrapreso una politica di riarmo. Da Vita.it

La guerra in Ucraina si trascina ormai da quasi tre mesi e, con essa, le ombre di un mondo che sembra aver detto addio al pacifismo. Per rendersene conto basta fare un confronto con il 2003, quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq. In quell’occasione le manifestazioni portarono in strada milioni di persone in tutto il mondo in una delle più grandi proteste contro la guerra di sempre. Nei mesi scorsi, invece, quando i movimenti per la pace hanno organizzato mobilitazioni contro l’invasione russa e l’invio di armi a Kiev, in piazza non è sceso quasi nessuno.

A Bruxelles, per esempio, “c’erano 3 mila persone, forse 4 mila, non molte”, ha detto a The Intercept Ludo De Brabander, pacifista belga del gruppo Vrede vzw. “È stato davvero difficile mobilitarsi”. Certo, in Iraq era tutto molto chiaro: era una guerra d’aggressione basata su false argomentazioni. In Ucraina, al contrario, è stata la Russia a fare un’invasione, illegale e non provocata. “Questo ha messo i pacifisti in difficoltà – analizza De Brabander – perché se da un lato non vogliamo sostenere la NATO dall’altro ci opponiamo naturalmente a ciò che sta facendo la Russia. E una posizione intermedia, con alternative alla guerra, ma è molto difficile da ‘far passare’”.

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