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La china dell’Europa

Le previsioni per le europee del 9 giugno e per la prossima Commissione non sono rosee. Già oggi l’Europa sta sposando sempre più la linea della guerra, della chiusura ai migranti e sta indebolendo le prospettive del Green Deal. Eppure in Europa bisogna stare. Tornare alla logica degli Stati nazionali sarebbe pericolosissimo. Si tratta di […]

A poco più di due mesi dalle elezioni del 9 giugno, c’è da chiedersi che ne sarà dell’Europa, dopo il pronunciamento dei cittadini (con percentuali di voto prevedibilmente sempre più basse) dei 27 paesi dell’Unione. Le previsioni non sono proprio rosee: avanzamento della destra nazionalista e populista e scivolamento della nuova Commissione verso politiche sempre più conservatrici e grette.

Già oggi le avvisaglie sono pesanti: l’Europa sta sposando sempre più la linea della guerra, della chiusura ai migranti e sta indebolendo le prospettive dello sviluppo del Green Deal. A questo vanno aggiunte la ripresa delle politiche dell’austerità – con l’introduzione del nuovo Patto di Stabilità – e una politica monetaria che con la motivazione della lotta all’inflazione, rallenta lo sviluppo e una più veloce ripresa economica del continente.

Per inseguire la destra, l’establishment europeo la rincorre sul suo terreno, avvantaggiandola e preparandone il terreno dell’avanzata. 

L’Europa soffre di pesanti deficit. Il primo è quello democratico, è una istituzione dominata largamente da logiche intergovernative: perché i cittadini dovrebbero andare a votare, quando il Parlamento europeo ha funzioni assai limitate? Dov’è finito l’ideale federalista di Altiero Spinelli e degli europeisti della prima ora? Il secondo è quello sociale. Vincoli stringenti sul bilancio, ma nessuno sul lavoro, le diseguaglianze, la parità di genere, il welfare. Il terzo è quello delle politiche comuni. Ad esempio sui sistemi fiscali: ognuno va per conto proprio, praticando il dumping fiscale ed entrando in concorrenza con gli altri Paesi.

L’Europa dovrebbe essere un attore di pace, mentre si sta schierando per la guerra. I vincoli del Patto di Stabilità continuano a valere per le spese sociali e per l’istruzione, ma vengono meno se bisogna spendere per le armi. Un’Europa sempre più succube della NATO, e quindi degli Stati Uniti. E’ una strada scellerata, che ci porta tutti a mani legate nelle guerre odierne.

Eppure in Europa bisogna stare. Tornare alla logica degli Stati nazionali sarebbe pericolosissimo; in un contesto in cui avanzano processi deglobalizzazione, significherebbe tornare alla logica della concorrenza commerciale, alla competizione economica più spinta, al conflitto dei mercati e come all’inizio del Novecento questo ci porta alla guerra generalizzata, che già sta avanzando – a pezzi – in tutto il mondo, come ricorda Papa Francesco.

Per cui il 9 giugno andiamo a votare: si tratta di continuare a lottare, a combattere per un’Europa sociale e di pace. Non è facile, ma bisogna continuare. Votate, ma non per i nazionalisti e i populisti.